24/09/2019 – Affidamento diretto della società in house: la giurisdizione sul danno erariale rimane della Corte dei Conti

Affidamento diretto della società in house: la giurisdizione sul danno erariale rimane della Corte dei Conti
di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 21871, del 30 agosto 2019, ha confermato che la giurisdizione della Corte dei Conti si estende alla società in house in materia di danno erariale a carico della società titolare della gestione del servizio rifiuti sul territorio comunale, se vi è un disservizio nella raccolta dei rifiuti.
Il contenzioso
Con sentenza del novembre 2014, la Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Campania condannava la società in house, che nel periodo novembre 2006-ottobre 2007 aveva espletato quale mandataria in A.T.I. il servizio di raccolta dei rifiuti nel territorio di un Comune della Regione Campania, al pagamento in favore del Comune stesso della somma di oltre 200mila euro maggiorata degli accessori, corrispondente alla quota parte ad essa attribuita del danno complessivo, ascritto alla società e anche alle persone fisiche (rispettivamente Dirigente del Servizio di N.U. e Assessore all’igiene urbana), conseguente alla prolungata omissione della raccolta differenziata dei rifiuti, nella duplice articolazione derivante dal mancato raggiungimento delle percentuali minime e dal mancato introito oltre ai maggiori costi per lo smaltimento dei rifiuti presso gli altri impianti.
La decisione aveva, tra l’altro, rigettato l’eccezione, sollevata dalla società in house per il difetto di giurisdizione per assenza del rapporto di servizio.
Il ricorso proposto dalla società in house veniva rigettato dalla Prima Sezione giurisdizionale dì appello della Corte dei Conti con sentenza dell’aprile 2017, che confermava fra l’altro la giurisdizione contabile sulla azione per risarcimento di danno erariale esercitata nei confronti della società.
Avverso tale sentenza la società in house ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La società in house nel panorama legislativo italiano
Con l’espressione in house providing, si fa riferimento all’affidamento di un appalto o di una concessione da parte di un ente pubblico in favore di una società controllata dall’ente medesimo, senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica, in virtù della peculiare relazione che intercorre tra l’ente pubblico e la società affidataria.
La società in house è una società dotata di autonoma personalità giuridica che presenta connotazioni tali da giustificare la sua equiparazione ad un “ufficio interno” dell’ente pubblico che l’ha costituita, una sorta di longa manus; non sussiste tra l’ente e la società un rapporto di alterità sostanziale ma solo formale.
Queste caratteristiche della società in house giustificano e legittimano l’affidamento diretto, senza previa gara, per cui un’amministrazione aggiudicatrice è dispensata dall’avviare una procedura di evidenza pubblica per affidare un appalto o una concessione. Ciò in quanto, nella sostanza, non si tratta di un effettivo “ricorso al mercato” (outsourcing), ma di una forma di “autoproduzione” o, comunque, di erogazione di servizi pubblici “direttamente” ad opera dell’amministrazione, attraverso strumenti “propri” (in house providing).
La società in house, infatti, avrebbe della società solo la forma esteriore, costituendo, in realtà, un’articolazione in senso sostanziale della pubblica amministrazione da cui promana e non un soggetto giuridico ad essa esterno e da essa autonomo.
Una tale configurazione, si giustifica in base al fatto che solo quando la società affidataria è partecipata in modo determinante dall’ente pubblico, esercita in favore del medesimo la parte più importante della propria attività ed è soggetta al suo controllo in termini analoghi a quello in cui si esplica il controllo gerarchico dell’ente sui propri stessi uffici, non sussistono esigenze di concorrenza e, quindi, si può escludere il preventivo ricorso a procedure di evidenza pubblica.
Per l’individuazione dell’in house sono richiesti adesso tre requisiti: 1) controllo analogo; 2) oltre l’80 per cento delle attività della persona giuridica controllata deve essere effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’ente controllante; 3) partecipazione totalitaria.
In ordine al controllo analogo, secondo la giurisprudenza del Consiglio, è stabilito che “un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore esercita su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi … qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata” (art. 5, comma 1, lett. a).
Il controllo cd. analogo è un elemento centrale della fattispecie in house, in quanto si caratterizza per la particolare incisività, effettività e concretezza del suo esercizio. Infatti, esso si manifesta con una intensità tale da risultare incompatibile con la presenza di “ampi poteri di gestione” da parte dell’organo amministrativo, in tal modo delineando un rapporto di subordinazione gerarchica tra esso e l’ente pubblico socio (Corte di Giustizia CE, 13 ottobre 2005, C- 458/03, punto 67-68).
Ai fini dell’in house, l’espressione “controllo” non starebbe ad indicare l’influenza dominante che il titolare della partecipazione maggioritaria (o totalitaria) è in grado di esercitare sull’assemblea della società, ma individuerebbe “un potere di comando direttamente esercitato sulla gestione dell’ente con modalità e con un’intensità non riconducibili ai diritti e alle facoltà che normalmente spettano al socio (fosse pure socio unico) in base alle regole dettate dal codice civile, e sino a punto che agli organi della società non resta affidata nessuna autonoma rilevante autonomia gestionale”.
Il D.Lgs. n. 175/2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), stabilisce, in linea con quanto prescritto dalle direttive comunitarie (cfr. art. 12 della direttiva cd. appalti), che gli statuti delle società in house debbano prevedere che “oltre l’ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci”, ma, innovando rispetto ad esse, consente che “la produzione ulteriore rispetto al suddetto limite di fatturato sia consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economia di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale della società”.
La sentenza della Cassazione
Per la Corte di Cassazione con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 1L. n. 20/1994 sostenendo che erroneamente la sentenza impugnata ha fatto riferimento, ai fini della ritenuta sussistenza del rapporto di servizio, alla responsabilità delle società concessionarie di servizi pubblici senza tenere conto che nella specie il rapporto una società e il Comune avrebbe natura contrattuale privatistica essendo derivato da un contratto di appalto pubblico, non da un provvedimento amministrativo di concessione; e che quindi il danno di cui si chiede il ristoro sarebbe conseguenza di comportamenti che la società avrebbe tenuto nella veste di controparte contrattuale della Amministrazione pubblica, con quanto ne consegue ai fini della attribuzione alla giurisdizione del giudice ordinario della relativa controversia, secondo quanto affermato dalla Cassazione (cfr. sentenza n. 22615/2014).
Per i giudici di legittimità tale tesi non è fondata. La sentenza impugnata ha correttamente applicato il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui sussiste il rapporto di servizio, costituente il presupposto normativo della attribuzione alla giurisdizione della Corte dei Conti della azione di responsabilità per danno erariale, allorchè un ente privato esterno all’amministrazione venga incaricato di svolgere, nell’interesse di quest’ultima e con risorse pubbliche, un attività o un servizio pubblico in sua vece, in tal modo inserendosi pur temporaneamente nell’apparato organizzativo della P.A., mentre resta irrilevante il titolo in base al quale la gestione è svolta, che può consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, in una concessione amministrativa, in un contratto e perfino mancare del tutto, potendo il relativo rapporto modellarsi indifferentemente secondo gli schemi generali previsti e disciplinati dalla legge, ovvero discostarsene in tutto o in parte.
Non pertinente peraltro appare il riferimento nel ricorso a quanto affermato dalla Cassazione (cfr. sentenza n. 22615 del 24 ottobre 2014) in fattispecie – azione di responsabilità nei confronti di una società incaricata di uno specifico lavoro con contratto di appalto – affatto distinta da quella qui in esame; ove ben può dirsi sussistente quell’inserimento temporaneo della società, in ragione dello
svolgimento continuativo del servizio pubblico di raccolta rifiuti, nell’apparato organizzativo della P.A. che come detto integra in sé, a prescindere dalla esistenza o dalla natura giuridica dell’atto pubblico di investitura del soggetto, quel rapporto di servizio costituente il presupposto normativo della attribuzione alla giurisdizione della Corte dei Conti della azione di responsabilità per danno erariale.
In conclusione il ricorso è rigettato.

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