21/11/2023 – La natura normativa del decreto “Carburanti” del Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

NOTA A TAR LAZIO 10 NOVEMBRE 2023, N. 16777, PRES. POLITI, EST. BIANCHI

Abstract

La sentenza del Tar Lazio del 10 novembre 2023, n. 16777, annulla il Decreto ministeriale del 31 marzo 2023, avente ad oggetto, tra gli altri, l’obbligo di esposizione dei prezzi medi di riferimento da parte dei gestori degli impianti di distribuzione del carburante. In particolare, i giudici amministrativi, individuando nel Decreto impugnato la natura di atto normativo, ravvisano la violazione della L. 400/88, ed in particolare nelle norme che disciplinano il procedimento di adozione degli atti normativi dell’Esecutivo.

Sommario:1. Premessa. 2. Gli atti normativi secondari nella gerarchia delle fonti; 2.1. segue: la fuga dal Regolamento; 3. La decisione del Tar Lazio; 4. Rilievi conclusivi.

  1. Premessa

Il decreto-legge 14 gennaio 2023, n. 5, convertito con modificazioni con legge 10 marzo 2023, n. 23, ha previsto – tra le altre misure volte a garantire una maggiore trasparenza in tema di prezzi di vendita dei carburanti – l’obbligo di esposizione dei prezzi medi dei carburanti da parte dei gestori di impianti di distribuzione di carburante per autotrazione.

Con decreto attuativo del MiMiT del 31 marzo 2023, pubblicato in GU n. 118 del 22 maggio 2023, sono state poi definite le modalità dell’obbligo in parola nonché le caratteristiche di esposizione dei cartelloni riportanti i prezzi medi di riferimento. Ebbene, la Federazione Gestori Impianti Carburanti e Affini – Fe.Gi.Ca. e la Federazione Italiana Gestori Impianti Stradali Carburanti – F.I.G.I.S.C. ha proposto ricorso avverso il provvedimento citato, sostenendo come gli obblighi imposti sarebbero stati “sproporzionati, ingiustamente afflittivi e irragionevoli”.

Il Tar Lazio, analizzando il quadro normativo di riferimento e, focalizzandosi più sulla natura del provvedimento oggetto di impugnazione che sul merito della questione, ha ritenuto il suddetto decreto adottato in violazione delle norme procedimentali. In particolare, “il decreto – afferma il giudice amministrativo – per i suoi contenuti presenta tutti i caratteri di una fonte normativa”. Secondo il Tar, esiste quindi una “violazione delle norme procedimentali per la sua adozione”, perché, “nel caso di specie, sono mancati sia la preventiva comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri, sia il parere preventivo del Consiglio di Stato”.

 

  1. Gli atti normativi secondari nella gerarchia delle fonti

 

Al fine di meglio comprendere il percorso motivazionale del Tar Lazio nella sentenza di annullamento del Decreto ministeriale del 31 marzo 2023, è necessario un previo inquadramento degli atti normativi all’interno del sistema delle fonti.

Le fonti dell’ordinamento italiano, come noto, sono rappresentate da atti o fatti produttivi di norme giuridiche e che si pongono su una scala gerarchica: al vertice si collocano gli atti costituzionali instaurativi di un nuovo ordine costituzionale, espressione del potere costituente (es. d.lgt. 16 marzo 1946, n. 98, che ha demandato la scelta istituzionale al Referendum popolare; la Costituzionale italiana del 1948) nonché le fonti di diritto dell’Unione europea; fanno immediatamente seguito, gli atti espressione del potete costituito tra cui le leggi costituzionali e le leggi di revisione costituzionale; seguono le fonti primarie (es. leggi ordinarie, d.lgs., d.l., leggi regionali, regolamenti parlamentari) e le fonti secondarie; infine, le consuetudini o fonti terziarie.

Senza addentrarsi in un approfondito esame dell’intera piramide delle fonti, non praticabile nell’economia di questa nota, con il termine “fonti secondarie” si è soliti riferirsi a quegli atti che si collocano al di sotto delle fonti primarie, e che si caratterizzano per essere atti formalmente amministrativi ma sostanzialmente normativi, trovando per l’appunto legittimità nelle fonti primarie.

Le fonti secondarie attengono essenzialmente all’amministrazione, tra cui assumono particolare rilievo i Regolamenti. Essi sono generalmente definiti, per l’appunto, come atti formalmente amministrativi sostanzialmente normativi. La natura amministrativa è conseguenza del fatto che i regolamenti sono adottati da pubbliche amministrazioni e, in particolare, da organi di indirizzo politicoamministrativo e non da organi dirigenziali: Governo e Ministri (regolamenti statali); Giunta o Consiglio Regionale (regolamenti regionali); Consiglio comunale (enti locali). I regolamenti vengono, inoltre, in rilievo nella vicenda amministrativa quali atti presupposti dotati di una loro autonomia funzionale[1]. La natura normativa è conseguenza, invece, dell’attitudine dei regolamenti a produrre, salvo ipotesi eccezionali di cui si dirà nel prosieguo, norme giuridiche generali e astratte e non provvedimenti puntuali e concreti.

Nel sistema delle fonti essi sono norme secondarie, come si desume dalla Costituzione e dall’art. 4 delle disposizioni sulla legge in generale, il quale dispone che «i regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi».

Il potere regolamentare rinviene la propria base legale nella legge 23 agosto 1988, n. 400 del 1988, la quale prevede una disciplina puntuale di tale potere.  L’art. 17 di tale legge, infatti, regola il procedimento di formazione e le tipologie dei regolamenti del Consiglio dei Ministri (commi 1, 2, 4, e 4bis), e prevede i regolamenti ministeriali, i regolamenti interministeriali ed i regolamenti di «altre autorità sottordinate al Ministro» (comma 3). Tale procedimento si può così sintetizzare in: i) proposta di regolamento da parte di uno o più Ministri; ii) parere preventivo, obbligatorio e non vincolante del Consiglio di Stato; iii) deliberazione del Consiglio dei Ministri; iv) emanazione con decreto da parte del Presidente della Repubblica; v) visto e registrazione della Corte dei conti (controllo di legittimità); vi) pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

La natura di norma sulla produzione giuridica, individuata nell’art. 17 della l. n. 400 del 1988, ha portato parte della dottrina ad ipotizzare la natura rinforzata della legge in parola, e dunque una sua peculiare resistenza passiva all’abrogazione, sostenuta dalla copertura costituzionale dell’art. 95 Cost., di cui la stessa costituiva certamente la prima importante attuazione[2].

Stesso iter, mutatis mutandis, si ha per i regolamenti ministeriali ed interministeriali: tutti i regolamenti devono recare – al fine della facile identificazione – la denominazione di “regolamento”. All’uopo, il comma 3 dell’articolo citato precisa: “Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione”. Atteso il tenore della norma, i regolamenti ministeriali ed interministeriali – a differenza delle prime quattro tipologie di regolamenti governativi – necessitano di una espressa attribuzione legislativa del potere regolamentare (al Ministro o a più Ministri); non si tratta cioè di un potere a carattere generale spettante al Ministro in quanto tale nelle materie di attribuzione del relativo Ministero[3].

All’evidenza tra regolamento governativo e regolamento ministeriale e interministeriale vi è un rapporto di gerarchia, come confermato – con più ampio ambito – dall’art. 4 delle preleggi.

Occorre osservare, tuttavia, come esistano altresì decreti ministeriali “di natura non regolamentare”: essi si situano al di fuori di ogni tentativo di razionalizzazione dell’ordinamento giuridico[4], sono innominati e liberi nel procedimento, a differenza di quelli normativi, non si inquadrano tra le fonti tipiche del diritto, non producono l’effetto iura novit curia, e vincolano non tutti i soggetti dell’ordinamento giuridico ma solo alcuni destinatari determinati[5]. Alcuni esempi di questo genere sono i provvedimenti di determinazione di aliquote, i provvedimenti di fissazione dei prezzi, i provvedimenti di contingentamento della produzione economica o agricola, i piani urbanistici.

Tali decreti, invero, celano a loro volta un contenuto propriamente normativo, venendo ad essere definiti come “atti ministeriali privi di forma regolamentare e tuttavia abilitati a derogare alla legge e a stabilire regole innovative, i quali non possono non destare perplessità sul piano della legalità e della legittimità costituzionale[6]. Essi, dunque, appaiono come uno dei tanti frutti perversi conseguenti all’alterazione del principio di separazione dei poteri[7], finendo per determinare un duplice ordine di problemi: per un verso, il legislatore ha mutato la sua veste in quella di amministratore dando luogo alla c.d. “amministrativizzazione della legge” (basti pensare all’uso sempre più frequente delle “leggi-provvedimento”) e, dall’altro, l’amministrazione sembra aver cucito su sé stessa la funzione legislativa[8]. La proliferazione dei decreti “di natura non regolamentare” – quale forma “esasperata” dell’esercizio del potere regolamentare[9] –mette in discussione dunque il rispetto del principio di legalità, la cui effettiva tutela passa anche attraverso il rispetto delle norme sulla fonte regolamentare, qualificabili quali norme sulla normazione, e sulla quale si concentra il percorso motivazionale della sentenza del Tar Lazio oggetto di commento.

2.1. segue: la fuga dal Regolamento

Questione immediatamente correlata a quanto finora esposto è quella che viene definita “fuga dal regolamento”[10], ossia la scelta dell’organo esecutivo di adottare atti normativi secondari diversi dai regolamenti, aprendo così al dibattito circa la configurabilità di fonti secondarie c.d. “atipiche”.

Nel decennio successivo all’entrata in vigore della legge n. 400 del 1988 la prima categoria di “fuga dal regolamento” ha trovato ampio modo di svilupparsi, essenzialmente in quanto le norme legislative approvate negli anni immediatamente seguenti all’entrata in vigore della legge suddetta continuavano perlopiù a riferirsi genericamente all’adozione di un decreto governativo o ministeriale, senza precisare se si trattasse o meno di un regolamento e senza richiamare l’art. 17 della legge n. 400 del 1988[11].

Con l’entrata in vigore della riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione  (legge costituzionale n. 3 del 2001), e in particolare del sesto comma dell’art. 117, si è aperta una nuova stagione della “fuga dal regolamento”: la tendenza a preferire atti governativi non qualificati come normativi al posto dei regolamenti ha trovato infatti sostegno nell’esigenza di aggirare il limite fissato all’ambito materiale di intervento dei regolamenti statali, configurato in modo piuttosto drastico (potendo questi intervenire nelle sole materie di competenza esclusiva) e immediatamente garantibile[12].

Da ciò, appunto, la diffusione della sopra esaminata figura dei decreti ministeriali “di natura non regolamentare”. All’interno di questo quadro normativo variegato, nel 2012 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, seppur non prendendo una posizione chiara sulla configurabilità di atti normativi secondari atipici, ha avuto modo di affermare che «nonostante la crescente diffusione di quel fenomeno efficacemente descritto in termini di “fuga dal regolamento” (…) deve, in linea di principio, escludersi che il potere normativo dei Ministri e, più in generale, del Governo possa esercitarsi medianti atti “atipici”, di natura non regolamentare, specie laddove la norma che attribuisce il potere normativo nulla disponga (…) in ordine alla possibilità di utilizzare moduli alternativi e diversi rispetto a quello regolamentare tipizzato dall’art. 17 legge n. 400 del 1988»[13].

Ed è proprio sulla base di tale arresto, come si vedrà infra, che si fonda la declaratoria di annullamento del Decreto “carburanti” del MiMit del 31 marzo 2023 da parte del Tar Lazio.

 

  1. La decisione del Tar Lazio

 

Il Tar Lazio, nell’esaminare le doglianze presentate dai ricorrenti avverso il Decreto ministeriale, ed in particolare la sua invalidità per violazione e falsa applicazione dell’art.17, commi 3 e 4, della l. 23 agosto 1988, n. 40, richiama per l’appunto la pronuncia dell’Adunanza Plenaria del 2012, facendone discendere la statuizione secondo il legislatore non ha tipizzato alcun modello procedimentale alternativo a quello di cui all’art. 17 legge n. 400/1988 per l’adozione delle disposizioni attuative in questione.

Assume così valore centrale, secondo i giudici amministrativi, l’indagine circa la natura normativa ovvero meramente amministrativa del gravato D.M. 31 marzo 2023, posto che solo nel primo caso l’Amministrazione doveva ritenersi vincolata all’osservanza delle norme procedimentali dettate dal menzionato art. 17 della legge citata. Nel procedere a detta indagine, il Tar Lazio accoglie il criterio sostanziale di identificazione degli atti normativi[14], incentrato sulla natura intrinseca delle prescrizioni contenute nell’atto, le quali, per essere normative, devono possedere i caratteri della “generalità” (indeterminabilità a priori a posteriori dei soggetti ai quali l’atto si indirizza), “innovatività” (intesa quale capacità di concorrere a costituire o ad innovare stabilmente l’ordinamento giuridico) ed “astrattezza” (indefinita ripetibilità ed applicabilità a fattispecie concrete).

Ebbene, nel caso di specie, secondo il Tar, sussistono tutti i requisiti identificativi la natura normativa dell’atto, in quanto con riguardo al primo requisito, «le disposizioni ivi contenute sono destinate ad una generalità di destinatari […]»Con riferimento all’innovatività, poi, «non può negarsi che il D.M. di cui si discute innovi l’ordinamento giuridico atteso, per un verso, che la sua emanazione ha reso concretamente operativa la disciplina dettata dalla norma primaria, che altrimenti sarebbe rimasta inoperante; per l’altro, che esso ha introdotto, con carattere di stabilità, una serie di regole (aventi carattere giuridico piuttosto che tecnico) prima inesistenti (in quanto non contenute nel D.L. n. 5/2023), con le quali è stata completata una disciplina che la disposizione legislativa lasciava parzialmente incompiuta». Per quanto concerne, infine, l’astrattezza, «le prescrizioni in questione risultano dirette a regolare una serie indefinita di casi, dettando una disciplina generale valevole in via permanente, in assenza di qualsivoglia limite temporale di applicazione».

Da quanto esposto, i giudici amministrativi concludono nel senso che il decreto impugnato, per i suoi contenuti, presenta tutti i caratteri di una fonte normativa, con conseguente illegittimità per violazione delle norme procedimentali, dettate dall’art. 17 della legge n. 400 del 1988, in ragione dell’assenza della preventiva comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri (art. 17, comma 3) e del parere preventivo del Consiglio di Stato (art. 17, comma 4).

 

  1. Rilievi conclusivi

 

La pronuncia in commento, dunque, respingendo la tesi della natura amministrativa dell’atto ministeriale, propugnata dalla difesa erariale, si colloca nel solco di quell’orientamento giurisprudenziale che esclude la configurabilità di atti normativi secondari “atipici”, ossia diversi dal tipo prefigurato dal modello procedimentale di cui alla L. 400/1988. E’ d’uopo sottolineare come la sentenza, coerentemente con l’orientamento accolto, non faccia espressa menzione della discussa figura dei decreti ministeriali “di natura non regolamentare”; vi è da chiedersi, dunque, se si sia ormai al cospetto del definitivo tramonto della figura in questione[15], ovvero se la scelta di non farne menzione sia legata alla circostanza che, trattandosi di “atti liberi nel procedimento di adozione”, la censura della violazione della procedura ex art. 17 della legge n. 400/1988 non sarebbe stata di per sé sufficiente per giungere alla declaratoria di annullamento del provvedimento oggetto di gravame.

Sullo sfondo residuano poi le doglianze non esaminate dal Tribunale amministrativo, tra cui quella della invalidità autonoma del d.m. per violazione dei principi di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza, nonché quella della “invalidità derivata” del decreto ministeriale per illegittimità costituzionale del decreto legge 14 gennaio 2023, n. 5. 

Il Ministero, da quanto si è appreso, ha dato mandato all’Avvocatura dello Stato di proporre immediato appello al Consiglio di Stato con richiesta di sospensione degli effetti della sentenza del Tar del Lazio, dovendo così attendere la definitiva pronuncia dei giudici di Palazzo Spada per confermare o meno la legittimità del Decreto ministeriale.

 

 

[1] Lopilato V., Manuale di Diritto Amministrativo, III ed., Torino, 2021, p.90

[2] Riassume il contenuto delle principali posizioni dottrinali Tarli Barbieri G., Le delegificazioni, Torino 1996, pp. 53 ss.

[3] Cerulli Irelli V., Lineamenti del diritto amministrativo, VI ed., Torino, 2017, p. 17.

[4] Moscarini A., Sui decreti del governo “di natura non regolamentare” che producono effetti normativi, in www.associazionedeicostituzionalisti.it e in Giurisprudenza costituzionale, fasc. n. 6/2008, pp. 5075-5108.

[5] Bin R., “Problemi legislativi e interpretativi nella definizione delle materie di competenza regionale”, I ed., Napoli 2004, pp. 337 ss.

[6] Così, V. Piergigli, Le regole della produzione normativa, Torino, 2009, p. 77.

[7] Genna A.A., Il Comitato per la legislazione e le anomalie nel sistema delle fonti del diritto: un tentativo di ricostruzione sui decreti governativi e ministeriali “di natura non regolamentare”, in Osservatoriosullefonti.it, fasc. 3/2011, p. 6.

[8] D’auria G., La “funzione legislativa” dell’amministrazione, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 3/1995, pp. 697-728.

[9] Genna A.A., op. cit., p. 7.

[10] Fenomeno ben descritto, tra gli altri, da De Siervo U., Lo sfuggente potere regolamentare del Governo (riflessioni sul primo anno di applicazione dell’art. 17 l. 400/1988), in Scritti per Mario Nigro, Stato e Amministrazione, Milano, 1991, pp. 279 ss.

[11] Lupo N., Il Consiglio di stato individua un criterio per distinguere tra atti normativi e atti non normativi – Il commento, in Giornale di diritto amministrativo, n. 12, 1° dicembre 2012, p. 1209.

[12] Idem, La potestà regolamentare del Governo dopo il nuovo Titolo V della Costituzione: sui primi effetti di una disposizione controversa, in Osservatorio sulle fonti, 2002, (a cura di) P. Caretti, Torino, 2003, pp. 233 ss.

[13] Cons. Stato, Ad. Plen., 4 maggio 2012, n. 9. Vale la pena ricordare che lo stesso Consiglio di Stato, in altra sentenza (Cons. Stato, 30 novembre 2016, n. 5036), ha ammesso la configurabilità di atti normativi “atipici”, a condizione che vi sia una copertura legislativa che ne definisca la procedura di formazione ed i relativi contenuti.

[14] Cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 30 novembre 2016, n. 5035.

[15] Permarrebbero, ad ogni modo, alla stregua dei decreti “non avente natura regolamentare”, i DPCM adottati durante l’emergenza pandemica che, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 198 del 2021, sono da qualificarsi quali atti amministrativi “necessitati”.

 

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