17/08/2020 – Limiti ai ricorsi – Impugnabilità solo per vizi propri

La Ctr Firenze sulle contestazioni degli atti tributari
Limiti ai ricorsi – Impugnabilità solo per vizi propri
Pagina a cura di Sergio Trovato

Gli atti tributari sono impugnabili solo per vizi propri. Non si può impugnare un atto successivo se non è stato contestato il provvedimento precedente. Pertanto, il contribuente non può fare ricorso contro un’intimazione di pagamento, se non per vizi propri, qualora non abbia proposto impugnazione contro la cartella di pagamento, divenuta definitiva. Lo ha stabilito la Commissione tributaria regionale di Firenze, settima sezione, con la sentenza 405 del 15 giugno 2020.

La ricorrente non aveva sollevato eccezioni riguardanti vizi propri dell’intimazione di pagamento, ma aveva contestato le irregolarità delle cartelle, che non erano però state impugnate e, quindi, erano divenute definitive. Secondo il giudice d’appello, «per contestare un provvedimento impositivo dell’amministrazione finanziaria, il contribuente deve contestare e provare eventuali profili di illegittimità dell’atto e non la infondatezza della pretesa tributaria sottesa, ormai divenuta definitiva perché non impugnata nei termini». Pertanto, «è infondato il motivo d’appello con cui l’appellante sostiene che l’impugnazione delle cartelle non preclude l’impugnazione del successivo invito al pagamento».
 
Inammissibilità del ricorso. Nel caso in esame, il contribuente non ha impugnato la cartella di pagamento, nonostante fosse stata regolarmente notificata. Quindi, non era consentito contestare l’intimazione di pagamento, in mancanza dell’impugnazione dell’atto presupposto (provvedimento finalizzato alla riscossione coattiva), formulando peraltro dei rilievi di merito sulla legittimità della pretesa dell’ente impositore. La correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria esige il rispetto della sequenza ordinata di questi atti, affinché possa essere garantito un efficace esercizio del diritto di difesa. Solo l’omissione della notifica dell’atto presupposto dà luogo a un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato. Del resto, l’articolo 19 del decreto legislativo 546/1992 che consente di impugnare l’atto presupposto, non notificato, unitamente all’atto successivo, è posto a tutela del contribuente e non a favore dell’amministrazione creditrice. Questa disposizione, in effetti, che riconosce al contribuente la facoltà di impugnare anche gli atti presupposti non notificati, contiene una clausola di salvaguardia a favore del contribuente. La norma, però, elenca gli atti che possono essere contestati innanzi al giudice tributario. E questi possono essere autonomamente impugnati solo per vizi propri. Costituisce vizio proprio dell’atto successivo, per esempio della cartella o dell’ingiunzione di pagamento, la mancata notifica dell’atto precedente, vale a dire l’avviso di accertamento. Allo stesso modo, se non viene impugnata la cartella non è ammesso ricorrere contro l’intimazione di pagamento. Ne consegue che il ricorso è inammissibile.
 
Atti impugnabili e loro contenuto. Sono contestabili innanzi al giudice tributario tutti gli atti che contengono una pretesa dell’amministrazione, anche se non indicati espressamente nella norma processuale, la cui elencazione non è tassativa ma esemplificativa. Infatti, sono contestabili anche gli avvisi di pagamento bonari (Cassazione, ordinanza 22222/2018). Per stabilire se un atto sia impugnabile bisogna verificare la sostanza e non la forma o la denominazione. Spetta al giudice accertare se un avviso di pagamento, anche se definito bonario, contenga una pretesa che incide sulla posizione patrimoniale del contribuente. Ai fini dell’accesso alla giurisdizione tributaria devono essere qualificati come avvisi di accertamento o di liquidazione di un tributo tutti quegli atti con cui l’amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita. Anche se contengono non una formale intimazione al pagamento, con la prospettazione di una successiva attività esecutiva, ma un invito bonario a versare quanto dovuto. Secondo la Cassazione si è di fronte a un atto impositivo tutte le volte in cui la pretesa è compiuta e non condizionata, nonostante possa essere sollecitato il pagamento spontaneo per evitare spese ulteriori.
In base all’articolo 7 dello Statuto del contribuente (legge 212/2000), gli atti devono tassativamente indicare: l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato e il responsabile del procedimento; l’organo competente al riesame dell’atto in sede di autotutela e il giudice cui è possibile ricorrere in caso di impugnazione, con i relativi termini e le modalità per la costituzione in giudizio. Negli atti di accertamento o di riscossione, poi, non è sufficiente informare che l’autorità innanzi alla quale fare ricorso è la commissione tributaria provinciale: occorre specificare anche le modalità di presentazione e di costituzione in giudizio.

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