18/08/2020 – Gli incentivi a decidere tempestivamente e il danno da ritardo

Gli incentivi a decidere tempestivamente e il danno da ritardo[1]
 
1. La tempestività della decisione: cause e rimedi dell’atteggiamento inerziale della p.a.. 2. Le varie figure di danno da ritardo e l’indennizzo da ritardo. 3. Il quadro normativo sostanziale e processuale della responsabilità per ritardo nell’attività provvedimentale della p.a.. 4. L’evoluzione della giurisprudenza sulla risarcibilità del danno da ritardo mero. 5. La configurabilità del c.d. danno da ritardo mero in dottrina. 6. Le affinità con la responsabilità precontrattuale: l’adunanza plenaria n. 5/2018; 7. Considerazioni conclusive.
 
1.Diceva Roosvelt, in una delle celebri frasi a lui attribuite: “In any moment of decision, the best thing you can do is the right thing. The second best is the wrong thing. The worst thing you can do is nothing.”
Una decisione, dunque, prima ancora che essere “giusta” deve essere tempestiva. Anzi, paradossalmente, meglio una decisione sbagliata che la non decisione, che comporta il permanere indefinitamente in uno stato di incertezza.
Questa frase, sicuramente pensata per le scelte della vita politica e personale, si attaglia molto bene al tema della decisione amministrativa.
Una decisione ammnistrativa tardiva, a prescindere dal suo contenuto, è infatti il più delle volte inutile e spesso anche dannosa.
 
E tuttavia, come è stato bene messo in evidenza recentemente[2], non di rado accade che l’amministrazione non concluda il procedimento oppure che non lo concluda nei termini previsti dalla legge o, ancora, che lo concluda salvo poi in un secondo momento rimettere in discussione la propria decisione. Di contro, si evidenzia la tendenza della amministrazione ad adottare un provvedimento espresso, ancorché di carattere negativo, solo a seguito della proposizione del ricorso avverso il silenzio, tanto che il tasso di cessazioni della materia del contendere o improcedibilità in questo genere di contenzioso è altissimo.
In questo quadro, spesso, in supplenza dell’amministrazione, intervengono il legislatore o il giudice. Infatti, quando l’amministrazione non svolge la sua funzione di decisore, strumenti di esercizio del potere amministrativo diventano la legge (nella forma della legge provvedimento) e/o la sentenza del giudice amministrativo, chiamato a dare impulso ad un’amministrazione inerte o arroccata in posizioni difensive, volte cioè più a proteggere se stessa che a realizzare il pubblico interesse, con inevitabili cortocircuiti nel sistema di separazione dei poteri.
 
Quali sono le ragioni che spingono l’amministrazione ad assumere un tale atteggiamento?
Sicuramente le cause sono molteplici. Tra di esse, probabilmente ha uno spazio rilevante il tema di cui si è parlato poc’anzi di “un’amministrazione difensiva”, cioè di un’amministrazione che, intimidita dallo “spauracchio della responsabilità contabile” [3] e dall’intervento di procure penali, per la paura di sbagliare, o si appiattisce sulla applicazione letterale della legge o, più spesso, resta inerte, in attesa di indicazioni da parte del giudice amministrativo, così rinunciando all’esercizio della funzione che le è propria, vale a dire quella di cura dell’interesse pubblico[4].
 
Le recenti esperienze concernenti la pandemia di covid 19 hanno ancora una volta evidenziato invece l’importanza di una decisione tempestiva, soprattutto nei momenti emergenziali. L’attuazione del principio di precazione è infatti possibile solo se la risposta della amministrazione al rischio arriva prontamente, se la scelta tra le opposte esigenze (nel caso del covid 19, tra la tutela della salute pubblica e delle libertà dei cittadini e dell’economia) viene effettuata in tempi rapidissimi e senza seguire necessariamente il parametro della gradualità, non compatibile, il più delle volte, coi contesti emergenziali[5].
 
Purtroppo, le note questioni, oggi oggetto di attenzione anche da parte della magistratura penale, delle zone rosse nel Nord Italia, della mancata chiusura degli ospedali, dei ritardi negli approvvigionamenti di dispositivi di protezione al personale medico e dei macchinari sanitari hanno mostrato le difficoltà dell’apparato amministrativo nel far fronte ad una così grave emergenza e come il ritardo, anche solo di pochi giorni, nell’assumere le necessarie decisioni abbia cagionato tremende conseguenze.
 
Non vanno poi sottovalutati i danni economici derivanti dal ritardo nell’adozione di misure preventive, in tutti i contesti emergenziali, in quanto le misure ripristinatorie, da assumersi ex post, sono spesso assai più costose[6].
In relazione a tali profili, il tema della capacità dell’amministrazione di decidere con tempestività e di assumersi le relative responsabilità, tanto più in contesti emergenziali in cui l’informazione è ridotta o carente, appare centrale.
 
Le risposte che l’ordinamento ha approntato per contrastare il problema della “fuga dalla responsabilità” ed incentivare decisioni più rapide della P.A. vanno dalla c.d. “codificazione pignola”, come l’ha definita nella sua relazione il Prof. Travi, volta a seguire passo passo l’azione amministrativa, nella convinzione di rassicurare così i pubblici funzionari dal rischio di sanzioni, all’inasprimento delle forme di responsabilità già previste, per indurre l’amministrazione ad agire.
Le misure adottate negli scorsi anni ad esempio, fanno leva ancora una volta sulla responsabilità disciplinare, dirigenziale, amministrativo-contabile e penale[7], oltre che sulla valutazione delle performance ecc. (cfr. art. 2 comma 9, l. 241/90). E’ inoltre prevista la trasmissione in via telematica delle pronunce sul silenzio alla Procura della Corte dei conti (art. 2, comma 8, l. 241/90). Tali rimedi, tuttavia, non sembrano al momento avere efficacemente funzionato.
 
Il ricorso in modo generalizzato ai poteri sostitutivi, sul versante procedimentale, rappresenta anch’esso uno strumento che è stato approntato per assicurare la conclusione – anche ad opera di un organo diverso da quello procedente – del procedimento[8]. Vanno poi menzionati gli istituti del silenzio assenso procedimentale, potenziato con l’art. 17 bis l. 241/90, della conferenza di servizi, ecc. e in genere tutti gli strumenti di semplificazione.
 
Tuttavia, sembra si possa affermare – anche sulla base quanto emerge dalla giurisprudenza – che il ricorso ai poteri sostitutivi non abbia rappresentato uno strumento di grande applicazione.
Per come è strutturato, infatti, il rimedio del ricorso ai poteri sostitutivi appare afflitto delle stesse disfunzionalità del ricorso amministrativo gerarchico o improprio, il quale ormai non è pressoché più utilizzato.
Senza contare che esso pone problemi non semplici di spostamento delle competenze ordinariamente attribuite nell’ambito della stessa amministrazione o – talvolta – anche tra amministrazioni diverse (v. art. 21 del testo unico dell’edilizia) e che a volte l’intervento dell’ente dotato di poteri sostitutivi ingenera un ulteriore contenzioso amministrativo.
 
In questo quadro, il DL Semplificazioni, n. 76 del 16 luglio 2020, all’art. 12, cercando di innovare rispetto alla precedente impostazione ancorata alla prospettiva delle responsabilità, ha proposto ulteriori misure di tipo organizzativo, di maggiore trasparenza sui tempi del procedimenti; con l’introduzione di un comma 4 bis all’art. 2 della l. 241/90, ha previsto l’obbligo per le pubbliche amministrazioni “di misurare e rendere pubblici i tempi effettivi di conclusione dei procedimenti amministrativi di maggiore impatto per i cittadini e per le imprese, comparandoli con i termini previsti dalla normativa vigente.” Al comma 2 dell’art. 12, il DL Semplificazioni prevede inoltre che: “Entro il 31 dicembre 2020 le amministrazioni e gli enti pubblici statali provvedono a verificare e a rideterminare, in riduzione, i termini di durata dei procedimenti di loro competenza ai sensi dell’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241.” 
L’uso dello strumento della trasparenza appare, come è stato messo in evidenza, di grande rilievo al fine di indurre nell’amministrazione comportamenti virtuosi, senza accentuare il profilo delle responsabilità ma valorizzando invece il controllo da parte del pubblico e gli stimoli reputazioni.
Si prevede poi l’inefficacia dei provvedimenti di assenso o di divieto di prosecuzione di attività adottati fuori termine (mediante l’introduzione di un comma 8 bis all’art. 2 l. 241/90).
E’ stato inoltre per la prima volta elaborato un meccanismo premiale per i pubblici dipendenti più operosi, fondato sulla previsione di limiti alla responsabilità erariale che non operano in caso di inerzia.
L’art. 21 prevede infatti, a proposito dell’elemento soggettivo, che la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”[9].
La norma sembra porsi in continuità l’art. 5 quater comma 3 della l. 27/20 (di conversione del decreto legge 18/20) il quale prevede per gli atti del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri che: “tali atti sono altresì sottratti al controllo della Corte dei conti. Per gli stessi atti la responsabilità contabile e amministrativa è comunque limitata ai soli casi in cui sia stato accertato il dolo del funzionario o dell’agente che li ha posti in essere o che vi ha dato esecuzione”.
Molto interessante è poi, al fine di contrastare l’atteggiamento inerziale proprio dell’amministrazione difensiva, la previsione di cui all’art. 21 DL semplificazioni che prevede la non applicazione del principio, secondo cui la responsabilità erariale si ravvisa solo quando la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta, per le ipotesi di omissione o inerzia del soggetto agente, così spingendo appunto l’amministrazione comunque ad agire.
L’uso della trasparenza in funzione di stimolo per garantire il rispetto dei termini di conclusione del procedimento e il ricorso a meccanismi premiali – in termini di limitazioni di responsabilità – per i funzionari che affrontano il “rischio della decisione” appaiono strumenti nuovi, di sicuro interesse, che potrebbero aiutare l’amministrazione ad uscire dall’impasse della fuga dalla responsabilità.
 
In questo contesto, non perde tuttavia di importanza, lo strumento rimediale del risarcimento del danno da ritardo, da tenere ben distinto – come si vedrà – dall’indennizzo da ritardo, cui si dedicheranno le restanti pagine di questo scritto.
 
2. Al fine di affrontare il tema del danno da ritardo, va preliminarmente chiarito che a detta categoria di danno possono essere ricondotte tre ipotesi tra loro ben distinte: a) la tardiva adozione di un provvedimento a contenuto favorevole per il privato; b) l’adozione tardiva di un provvedimento legittimo ma sfavorevole per il privato interessato; c) la mera inerzia e cioè la mancata adozione di alcun provvedimento[10].
Nell’ipotesi sub a), la risarcibilità del danno da ritardo sostanzialmente coincide con una delle possibili forme di risarcimento dell’interesse legittimo pretensivo: quello riferibile al ritardo nel conseguimento del bene della vita spettante,  in quanto esso presuppone che, a seguito dell’attività successiva dell’amministrazione, vi sia stato l’accertamento della spettanza del bene della vita richiesto mediante il tardivo rilascio del provvedimento favorevole[11].
In questi casi, si deve pertanto unicamente risarcire il danno che eventualmente derivi dal tardivo riconoscimento di un bene della vita, che il privato ha comunque conseguito.
Le restanti ipotesi sub b) e c), invece prescindono dall’accertamento della spettanza. Anzi, nel caso sub b) (danno cagionato dal ritardo nella emanazione di un provvedimento a contenuto sfavorevole per il privato ma legittimo) vi è addirittura l’accertamento della non spettanza del bene della vita richiesto, mentre nel caso sub c) (mera inerzia nel provvedere) nessuna certezza si ravvisa in ordine a tale profilo.
 
Queste due ultime ipotesi rientrano nel novero dei danni per lesione di situazioni soggettive di natura procedimentale e sono generalmente ricondotte alla controversa figura del “danno da ritardo mero”, della quale la dottrina si è lungamente occupata e che invece la giurisprudenza amministrativa, dopo alcune aperture, non ritiene, secondo l’orientamento ad oggi maggioritario, suscettibile di tutela. 
 
Pur trattandosi di figure completamente diverse tra loro per struttura e presupposti, esse trovano il loro referente normativo nell’articolo 2 bis della l. 241/1990 ed è questa una delle ragioni che ha reso spesso complessa a ricostruzione della materia.
Si tratta infatti di forme di danno tra loro non sovrapponibili, tanto che esse possono essere azionate in giudizio sia alternativamente che cumulativamente ma comunque – come meglio si vedrà – sempre con autonome azioni, che hanno avuto in dottrina un inquadramento dogmatico assolutamente diverso e che generano problematiche applicative differenti, quanto alla selezione dei danni risarcibili e alla prova.
In questo ambito è poi intervenuto, alcuni anni fa, anche l’art. 28 del   decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, che ha disciplinato l’indennizzo per la ritardata conclusione del procedimento, inserendo nell’articolo in commento un nuovo comma 1 bis, il quale prevede che l’istante ha diritto ad ottenere un  indennizzo  per il mero ritardo alle condizioni stabilite dalla legge o sulla base della legge. [12]. Con direttiva del Ministero per la pubblica amministrazione e la semplificazione del 9 gennaio 2014, quindi, sono state dettate le linee giuda per le amministrazioni sulla applicazione dell’art. 28.
La direttiva ha in primo luogo sottolineato la diversa natura dell’indennizzo da ritardo rispetto alla fattispecie del risarcimento del danno da ritardo, in quanto sganciata da ogni profilo di colpevolezza della amministrazione e dunque riconoscibile anche nel caso in cui il ritardo sia scusabile o addirittura dovuto a forza maggiore. L’indennizzo da ritardo viene quindi inquadrato come una forma di ristoro, prevista equitativamente dal legislatore, in caso di disagio patito per la violazione dei termini di conclusione del procedimento.
E’ chiaro però che l’introduzione di una specifica forma di indennizzo per il mero ritardo provvedimentale ha ulteriormente complicato il quadro in esame.
Nelle pagine che seguono si cercherà di tenere ben distinte le due figure di danno da ritardo sopra menzionate e le ipotesi indennitarie previste dalla legge e di chiarire, in relazione a ciascuna di esse, la portata e il significato delle norme in esame.
La prospettiva da cui muove questo intervento è che, nonostante i recenti approdi della giurisprudenza amministrativa maggioritaria sembrano aver sconfessato le aperture di qualche anno addietro, con l’eccezione di un importante obiter contenuto nella sentenza dell’Ad. plen. n. 5/2018, di cui si darà contro più avanti, la tematica del danno da ritardo mero mantenga la sua importanza.  Si tratta infatti di una categoria concettualmente distinta dal danno per ritardato conseguimento del bene della vita richiesto e non sovrapponibile alle ipotesi coperte dall’indennizzo per il mero ritardo; essa dunque appare tuttora meritevole di approfondimento.
 
3. Il quadro normativo rilevante, in materia di danno da ritardo provvedimentale, comprende sia norme di diritto sostanziale che processuale.
Il danno da ritardo, infatti, è stato per la prima volta riconosciuto dal legislatore con l’art. 2 bis, comma 1, della l. 241/90, introdotto dalla l.18 giugno 2009, n. 69, secondo il quale: “1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.”
La disciplina del danno da ritardo tuttavia ha ricevuto un’ampia rimodulazione con la codificazione del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010, d’ora in avanti c.p.a.). La previsione della giurisdizione esclusiva, originariamente prevista dal comma 2 dell’art. 2 bis, l. 241/90, è stata scorporata dall’articolo 2 bis e disciplinata all’interno del codice, all’art. 133, lett. A., il quale prevede: “Sono devolute alla giurisdizione esclusiva le controversie in materia di danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo.
E’ stata inoltre risolta, in senso negativo, la questione, legata alla tematica della c.d. pregiudiziale amministrativa (se occorresse cioè previamente esperire il giudizio sul silenzio ex art. 21 bis l. TAR, disciplinato ora dall’art. 117 c.p.a. ovvero tempestivamente impugnare il provvedimento negativo).
A mente dell’art. 30, comma 1, c.p.a., infatti, l’azione di condanna può anche essere chiesta autonomamente, il che non solo esclude la necessità del previo esperimento del giudizio sul silenzio, ma ha anche determinato il venir meno della preclusione, sancita dalla precedente giurisprudenza amministrativa, al risarcimento del danno da ritardo nel caso di provvedimento di carattere negativo non tempestivamente impugnato.
La nuova disciplina dell’azione di condanna di cui all’art. 30 c.p.a. ha fatto inoltre venir meno tutta la problematica, in passato esaminata dalla giurisprudenza, relativa al termine di decorrenza della prescrizione quinquennale.  Infatti, il codice, in conformità con quanto previsto dall’art. 30, comma 3, c.p.a. per la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi, ha sostituito il termine di prescrizione quinquennale con il termine di decadenza di 120 giorni e ha previsto all’art. 30, comma 4, che detto termine nel caso del risarcimento del danno da ritardo non decorre finché perdura l’inadempimento.
La stessa norma, tuttavia, ha aggiunto che il termine inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine di provvedere. Si tratta di un termine identico a quello previsto per l’esperibilità dell’azione di cui all’art. 117 c.p.a. avverso il silenzio (art. 31, comma 2, c.p.a)[13].
Il codice del processo amministrativo, inoltre, sembra aver confermato la natura extracontrattuale (o comunque assimilabile a quella extracontrattuale) di tale responsabilità, che è stata affiancata a quella da illegittimo esercizio dell’azione amministrativa e a quella da mancato esercizio di attività amministrativa obbligatoria (art. 30, comma 2, c.p.a.).
A proposito della natura extracontrattuale della responsabilità del danno da ritardo, si noti che la lettera dell’art. 30, comma 4 parla di “risarcimento dell’eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell’inosservanza, dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento” con ciò sottolineando – ad avviso di chi scrive –  in primo luogo che il danno è meramente eventuale, ovvero non è risarcibile in re ipsa il mero superamento del termine di conclusione del procedimento ma occorre la prova di un effettivo danno conseguente alla violazione delle norme sulla conclusione del procedimento e che detta prova deve essere fornita dal danneggiato[14]. In questi termini si è espresso in alcun importanti sentenze il Consiglio di Stato nel 2014[15].
Prima delle novità normative, in verità, era stata prospettata, in particolare da chi sosteneva la risarcibilità anche del danno da ritardo mero, una ricostruzione alternativa a quella della responsabilità aquiliana e cioè la c.d. responsabilità da contatto qualificato, derivante dalla violazione di obblighi di natura procedimentale, imposti alla P.a. dalla l. 241/90 e da altre fonti, nei confronti del privato[16].
Nel caso del danno da ritardo mero, tale obbligo procedimentale – come meglio si vedrà in seguito –  consisterebbe appunto nel rispetto dei tempi di conclusione del procedimento, il cui inadempimento può generare un danno risarcibile. Dopo l’introduzione dell’art. 2 bis e dell’art. 30 c.p.a., tuttavia, la dottrina maggioritaria ha ritenuto confermata la natura aquiliana della responsabilità per danno da ritardo e anche – qualora lo si ammetta, del danno da ritardo mero[17]
In conformità con la natura aquiliana dell’illecito, giurisprudenza e dottrina sottolineano che grava sul danneggiato l’onere di dimostrare l’esistenza di un pregiudizio in rapporto di derivazione causale dal provvedimento o dalla condotta omissiva dell’amministrazione stessa, nonché il profilo soggettivo della colpa[18]. Tuttavia, in dottrina, si ritiene che – anche per facilitare la prova da parte del cittadino –  dolo e colpa debbano essere riferiti alla mancata adozione di quelli che il d.p.r. n. 231 del 2001 definisce come “modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire gli illeciti e, in definitiva, delle misure idonee ad evitare il danno di cui all’art. 2050 cc.” [19]
L’onere della prova inoltre riguarda l’an e il quantum dei danni risarcibili. Sul punto, la giurisprudenza sostiene che va fornita la prova rigorosa a cura della parte che invoca il risarcimento; ed esclude, coerentemente, che in carenza della prova del danno si possa invocare l’equità integrativa ex art. 1226 c.c. o l’ausilio del c.t.u.[20]
Va rilevato infine che l’art. 117, comma 6, c.p.a. prevede che, qualora l’azione di risarcimento del danno da ritardo sia proposta congiuntamente a quella avverso il silenzio, tipico caso di cumulo di azioni, il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il silenzio ma deve trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria.
Secondo Consiglio Stato[21], alla luce dell’art. 117, comma 6, del c.p.a., deve ritenersi ammissibile la domanda di risarcimento proposta unitamente al ricorso avverso il silenzio, da trattarsi tuttavia, con rito ordinario.  Secondo tale pronuncia, infatti, la citata disposizione in primo luogo ammette la proponibilità contestuale delle due domande, e, a differenza di quanto previsto per l’impugnazione del provvedimento sopravvenuto, non stabilisce una conversione obbligatoria del rito, ma lascia al giudice il potere di decidere con rito camerale l’azione avverso il silenzio, rinviando al rito ordinario la trattazione della domanda risarcitoria.
Si è continuato pertanto ad affermare che la domanda risarcitoria è incompatibile con il giudizio a rito speciale sul silenzio-rifiuto, e tuttavia, anziché dichiararne l’inammissibilità, si è consentito di esaminarla rimettendo a ruolo la causa per la trattazione in udienza pubblica[22].
Più di recente, sulla questione della trattazione della domanda risarcitoria per il danno da ritardo presentata congiuntamente all’azione avverso il silenzio di cui all’art. 117, comma 6 c.p.a., alcuni TAR[23] hanno superato l’impostazione restrittiva della prima giurisprudenza sull’art. 117, comma 6, c.p.a. affermando che la domanda di risarcimento del danno cd. da inerzia o ritardo della p.a. ex art. 30, comma 4, c.p.a., proposta congiuntamente a quella avverso al silenzio di cui all’art. 117 c.p.a., può essere già decisa in sede camerale senza doverla trattare nelle forme ordinarie qualora emerga sin da subito l’infondatezza di tale domanda; invero, l’art. 117 comma 6 c.p.a. si limita ad attribuire al giudice la mera facoltà di trattare la questione risarcitoria nelle forme ordinarie, qualora ciò risulti consono alle esigenze istruttorie e difensive del processo. In numerose ulteriori pronunce, poi, l’applicazione di tale principio è stato esteso ai casi di manifesta inammissibilità[24].
Infine, il Consiglio di stato Sez. V, 5/12/2013, n. 5798, ha stabilito l’ammissibilità della trattazione congiunta delle due domande in camera di consiglio, a patto che ne sia dato preventivo avviso alle parti, pena la violazione del diritto di difesa.[25]
 
4. Come si è già detto nel par. 2, la figura del danno da ritardo mero va ricondotta alle ipotesi di danno cagionato dal ritardo nella emanazione di un provvedimento a contenuto sfavorevole per il privato (legittimo o comunque non impugnato), nonché dalla mera inerzia nel provvedere, senza previo accertamento della spettanza del bene finale della vita richiesto[26].
L’affermarsi di una tutela fornita dall’ordinamento al privato contro l’illegittima condotta della PA che non sia più solo formale ma sostanziale, e che giunga a riconoscere la spettanza del bene finale, ha infatti contestualmente posto il problema della tutela risarcitoria dei c.d. beni intermedi, di natura procedimentale, collegati allo svolgersi della relazione con la pubblica amministrazione. Si pensi all’interesse al rispetto della legalità formale (con tutta la complessa tematica dell’art. 21 octies l. 241/90), al rispetto dei doveri di correttezza e buona fede da parte dell’amministrazione nonché alla tutela dell’affidamento del privato, su cui recentemente si sono espresse l’Adunanza plenaria, a proposito della responsabilità precontrattuale della p.a.[27] e la Cassazione a sezioni unite[28].
Si tratta di un novero di situazioni soggettive, qualificabili lato sensu come procedimentali, la cui lesione, che non è risarcibile in re ipsa, potrebbe cagionare conseguenze dannose nella sfera patrimoniale e non patrimoniale del privato. In relazione a tali fattispecie si sono formulate varie ipotesi ricostruttive che fanno leva sulla teorica del c.d. contatto sociale o dell’obbligo di protezione, come si vedrà in seguito.
Tra queste si pone l’interesse alla tempestiva conclusione del procedimento ovvero ad una decisione tempestiva, la cui lesione pone il tema del risarcimento del danno da ritardo mero.
La risarcibilità di tale tipologia di danni era stata esclusa già dalla Ad. Pl. n. 7/2005.
L’Adunanza Plenaria, infatti, dopo aver affermato come l’ordinamento può apprestare vari strumenti per garantire il rispetto dei tempi dell’azione amministrativa, mediante misure di carattere punitivo, disciplinare o indennitario, ha escluso che  tra di essi possa trovare posto la tutela risarcitoria in sede giudiziale, in tal modo disattendendo l’ordinanza di remissione che aveva mostrato sul punto significative aperture[29].
Il danno da ritardo, nella ricostruzione della Plenaria, altro non è che la forma con cui si risarcisce la lesione dell’interesse pretensivo, e presuppone pertanto che si accerti – giudizialmente o grazie alla attività amministrativa successiva – che al privato spettasse il bene della vita richiesto.
Tale impostazione, peraltro, era coerente con la prevalente giurisprudenza dell’epoca che richiedeva, in applicazione dei principi della c.d. pregiudiziale amministrativa, il previo accertamento, mediante giudizio sul silenzio, della illegittimità del silenzio e della violazione dell’obbligo di provvedere.
Un’apertura verso la tesi della risarcibilità del danno da ritardo mero (ovvero a prescindere dall’accertamento della spettanza del bene della vita finale) nell’ambito della responsabilità da contatto era stata effettuata solo da Consiglio sez. VI, sent. 15 aprile 2003, n. 1945, laddove si era ammesso che la responsabilità potesse sanzionare anche l’inadempimento di quel generico dovere sorto in relazione al “contatto procedimentale”, cosicché il danno potesse consistere nelle perdite economiche subite in conseguenza della scorrettezza del comportamento tenuto dalla amministrazione a prescindere dalla spettanza del bene della vita.
In quella pronuncia, tuttavia, si era anche chiarito che spetta al privato scegliere, nella domanda, come impostare la controversia e decidere cioè se chiedere, oltre o in alternativa al ristoro del pregiudizio derivante dalla perdita del bene finale, anche i danni derivanti dal comportamento scorretto.  E questo appunto perché, come si è già detto, si tratta di due voci di danno assolutamente diverse tra loro.
Successivamente, il Consiglio di Stato[30] ha ribadito tale principio della necessità per l’istante di impostare la pretesa risarcitoria in termini di danno da mero ritardo, in aggiunta o in alternativa alla richiesta di risarcimento del mancato conseguimento del bene della vita richiesto.
Giacché nel caso di specie ciò non era stato fatto, il Consiglio ha ritenuto di non poter prendere esplicitamente una posizione favorevole all’ammissibilità del risarcimento del mero ritardo, lasciando tuttavia intendere che una tale opzione poteva essere percorribile.
In questo quadro è intervenuta la l. n. 69/2009 che ha introdotto l’art. 2 bis della l. 241/1990.
Il testo originariamente proposto (disegno di legge c.d. Nicolais A.S. 1859) nella precedente legislatura conteneva un significativo inciso: “indipendentemente dalla spettanza del beneficio derivante dal provvedimento richiesto”, chiaramente volto a superare l’orientamento restrittivo della giurisprudenza circa la risarcibilità del c.d. danno da ritardo mero. Nella successiva legislatura, tale testo fu ripresentato alla Camera dei deputati con il n. 1441 A.C. , ma durante l’iter parlamentare il citato inciso è stato soppresso.
La giurisprudenza successiva alla entrata in vigore dell’art. 2 bis ha quindi continuato a seguire il suo precedente orientamento restrittivo, sostenendo che la novella aveva soltanto tipizzato la controversa figura del danno da ritardo, senza tuttavia parlare di danno da ritardo mero[31].
Si affermava pertanto che, anche dopo la novella legislativa di cui alla l. 19 giugno 2009 n. 69, non poteva prescindersi dalla spettanza del bene vita per poter riconoscere una tutela risarcitoria al danno da ritardo dell’azione amministrativa[32].
Nel corso del 2010 e del 2011, tanto il CDS che il CGA hanno fatto significative aperture (ancorché per lo più in forma di obiter) circa la risarcibilità del danno da “mera perdita di tempo”.
La prima pronuncia è del  C.G.A[33] in una fattispecie in cui era stato lamentato il danno derivante dal ritardo di oltre un triennio dell’Amministrazione nel rilascio di un provvedimento autorizzatorio alle emissioni in atmosfera, cui la conferenza di servizi aveva subordinato il rilascio della un’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica alimentato da fonti rinnovabili, ritardo che aveva provocato la revoca di un contributo comunitario previamente concesso.
In questa pronuncia il C.G.A. ha mutato la tradizionale prospettiva incentrata sulla questione della spettanza del bene della vita finale (pur essendo nel caso di specie stato, sia pur tardivamente, adottato il provvedimento richiesto) e ha invece affermato che il ritardo imputabile alla P.A. nella conclusione di un qualunque procedimento amministrativo, qualora incidente su interessi pretensivi agganciati a programmi di investimento di cittadini o imprese, è sempre un costo che va risarcito, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica. In questa prospettiva, ogni incertezza sui tempi di realizzazione di un investimento si traduce nell’aumento del c.d. “rischio amministrativo” e, quindi, in maggiori costi, attesa l’immanente dimensione diacronica di ogni operazione di investimento e di finanziamento.
Ancora più di recente, richiamando tale precedente, il Consiglio di Stato[34] ha ribadito che l’art. 2-bis, comma 1, della l. 241/90 presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo.
In detta decisione il Consiglio di Stato ha messo in correlazione ritardo procedimentale e lesione dell’integrità psichica del cittadino.
Tali principi sono stati in seguito ribaditi dal Consiglio Stato[35] in una fattispecie relativa al ritardato rilascio di una autorizzazione per l’esecuzione di lavori di realizzazione di un impianto di gestione dei rifiuti. Pur riconoscendo che nel caso di specie la stessa amministrazione riconosciuto la spettanza del provvedimento favorevole con il (tardivo) rilascio dell’autorizzazione, la sentenza afferma tuttavia ancora una volta che il citato art. 2 bis presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento sempre un costo, richiamando i sopra citati precedenti.
Va infine menzionata una pronuncia del C.G.A.[36], che richiamando i propri precedenti, ha riconosciuto il danno da ritardata conclusione del procedimento amministrativo relativo all’approvazione di un piano di lottizzazione convenzionata. Nel caso di specie infatti era stato concesso un finanziamento pubblico a condizione che i lavori venissero ultimati in una certa data, tuttavia il ritardo nella conclusione del procedimento aveva impedito all’impresa di rispettare il termine prefissato.
Sulla scorta di tali pronunce, diverse sentenze successive hanno ribadito i principi affermati dal Consiglio di Stato e dal CGA, riconoscendo la risarcibilità del danno da ritardo mero e affermando che il tempo costituisce un bene della vita, risarcibile a prescindere dall’accertamento della spettanza del provvedimento favorevole, soprattutto quando si tratti di attività imprenditoriale[37].
 
Ciò nonostante, l’orientamento giurisprudenziale che si è andato sempre più consolidando, e che appare ad oggi maggioritario, è contrario alla risarcibilità del danno da ritardo mero, così facendo un passo indietro rispetto alle significative aperture sopra richiamate.
Sostiene infatti in numerose recenti pronunce il Consiglio di Stato che: “il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, non può essere avulso da una valutazione concernente la spettanza del bene della vita e deve, quindi, essere subordinato, tra l’altro, anche alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e, quindi, alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse; l’entrata in vigore dell’art. 2- bis, l. 7 agosto 1990, n. 241 non ha, infatti, elevato a bene della vita suscettibile di autonoma protezione, mediante il risarcimento del danno, l’interesse procedimentale al rispetto dei termini dell’azione amministrativa avulso da ogni riferimento alla spettanza dell’interesse sostanziale al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato; inoltre, il riconoscimento della responsabilità della Pubblica amministrazione per il tardivo esercizio della funzione amministrativa richiede, oltre alla constatazione della violazione dei termini del procedimento, l’accertamento che l’inosservanza delle cadenze procedimentali è imputabile a colpa o dolo dell’Amministrazione medesima, che il danno lamentato è conseguenza diretta ed immediata del ritardo dell’Amministrazione, nonché la prova del danno lamentato[38].
Non mancano tuttavia pronunce in senso contrario[39].  Va inoltre menzionato un importante obtiter dictum contenuto nella sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 5/2018, di cui ci si occuperà nel paragrafo n. 5.
 
5. In dottrina molte voci si erano espresse (ben prima della introduzione dell’art. 2 bis) a favore della risarcibilità del danno da ritardo mero, inteso come risarcimento della lesione dal un interesse di natura diversa da quello al perseguimento del bene della vita finale. Fu tra i primi M. Clarich a riconoscere che i privati possono subire un danno per effetto della mera situazione di incertezza causata dal ritardo della p.a. e a configurare in termini di diritto tale situazione soggettiva.
La risarcibilità del danno da ritardo per lesione di situazioni soggettive di natura procedimentale era stata poi riconosciuta, come si è già detto, dai sostenitori della c.d. responsabilità da contatto della p.a. per violazione degli obblighi di protezione, senza obbligo primario di prestazione[40].
Si è anche sostenuto che le norme della l. 241/90, che prevedono un termine di conclusione del procedimento, sono da qualificarsi come norme di relazione e quindi la situazione soggettiva dell’istante come di diritto soggettivo[41]. Si è parlato quindi, conseguentemente, di responsabilità contrattuale per il risarcimento dei c.d. “diritti procedimentali”[42].
Altri hanno attribuito addirittura la natura di situazione soggettiva di rango costituzionale o diritto soggettivo indegradabile al diritto al rispetto dei tempi del procedimento[43].
La questione della risarcibilità del danno da ritardo mero, tuttavia, è stata anche affrontata nell’ambito della tematica della responsabilità della pubblica amministrazione, senza necessariamente ricondurla ad una relazione, ovvero ad un “rapporto” con l’amministrazione da inquadrarsi in termini di diritto- obbligo.
Si è affermato infatti semplicemente che il “danno da vero ritardo” (ovvero per il “tempo perduto”) deve essere ritenuto risarcibile, indipendentemente dalla spettanza dell’utilità finale, purché sia chiaro che la domanda deve riguardare il “costo” del ritardo, non l’utilità che ci si riprometteva dal provvedimento richiesto. Si tratta infatti di due danni di natura diversa[44].
Quest’ultima impostazione sembra inquadrare la responsabilità per danno da ritardo mero nell’ambito della responsabilità extracontrattuale con significativi punti di contatto, come si vedrà tra breve, con quella precontrattuale.
Essa ha il pregio di porre l’accento non tanto sulla natura della situazione soggettiva privata asseritamente lesa, quanto sull’entità del danno subito e dunque sulla valutazione dei limiti e delle forme del suo risarcimento.
Il punto centrale, infatti, a ben vedere è come procedere alla selezione dei danni risarcibili nel caso di ritardo mero. Si tratta infatti del profilo che maggiormente differenzia questa fattispecie da quella del risarcimento del danno da ritardo tout court.
Nel caso del risarcimento del danno da ritardo previo accertamento della spettanza, infatti, ciò che si risarcisce – come si è visto   – è sia la perdita subita che il mancato guadagno, in relazione al bene della vita che il privato avrebbe dovuto tempestivamente ottenere.
A parte le questioni – da esaminarsi caso per caso – dell’assolvimento dell’onere della prova, la selezione dei danni risarcibili è in questo caso più semplice, perché fondata sulla lesione consistente nel mancato tempestivo conseguimento del bene della vita richiesto. In sostanza, il privato, che ha tardivamente ottenuto l’utilità che gli spettava, ha diritto ad essere risarcito mediante l’azzeramento di tutte le conseguenze dannose del ritardo.
Molto più complessa è invece la procedura di selezione degli interessi da risarcire nel caso del danno da ritardo mero.
Sostanzialmente due sono le tesi elaborate dalla dottrina.
Secondo una prima tesi, nella quale si riconosce la dottrina che ha inquadrato la tematica nell’ambito della responsabilità da contatto amministrativo[45], il danno da mero ritardo viene costruito come lesione della situazione soggettiva procedimentale correlata all’obbligo di conclusione tempestiva del procedimento.
Tale situazione viene – come si è visto – normalmente qualificata in termini di diritto soggettivo o come “diritto procedimentale”[46].
In questi casi, inoltre, sembra talvolta potersi parlare anche di un danno in re ipsa, una sorta di danno evento costituito dalla lesione del mero interesse procedimentale.
Il ristoro in questo caso dovrebbe pertanto essere forfettario o liquidato in via equitativa avendo ad oggetto la lesione dell’interesse procedimentale in sé, a prescindere dalla prova di ulteriori danni conseguenza.
Tale tesi, tuttavia, si scontra in modo frontale con le previsioni normative che hanno delineato la responsabilità per il ritardo provvedimentale come rientrante nell’ambito della responsabilità aquiliana. Essa pertanto deve ritenersi ormai superata alla luce dell’attuale quadro normativo.
Secondo una seconda tesi, l’oggetto della tutela risarcitoria, in caso di danno da ritardo mero, non è la perdita di tempo in sé, ma sono gli altri beni della vita lesi in conseguenza del mancato rispetto del termine procedimentale[47].
Il parametro di riferimento è dunque quello della responsabilità da atto illecito o meglio della responsabilità precontrattuale, nella quale l’entità del risarcimento è limitata all’interesse negativo, mentre l’oggetto di tutela risarcitoria sono tutti i danni conseguenza, di natura patrimoniale e non.
Seguendo le linee di tendenza della più moderna civilistica,  dunque occorrerebbe porre l’accento sul giudizio di meritevolezza degli interessi, ai fini della selezione dei danni risarcibili in caso di danno da ritardo mero[48].
In tale prospettiva,  non sembra  utile il riferimento ad un astratto interesse alla certezza dei tempi, quale contenuto di uno specifico obbligo che, in sé considerato, non può che condurre verso soluzioni di tipo indennitario (come in effetti è avvenuto). Né appare necessario considerare tale interesse come oggetto di un’obbligazione di natura contrattuale o “contattuale”, giacché in tal modo potrebbero venire a perdersi le caratteristiche del caso concreto[49].
In sostanza, la questione del danno da mero ritardo andrebbe inquadrata nell’ambito di una complessiva riflessione sulla risarcibilità degli interessi legittimi, quale in primo luogo delineata dalla sent. n. 500/99[50].
E’ stato pertanto evidenziato che dall’impostazione della sent. n. 500/99, fondata sulla tesi dell’atipicità dell’illecito, avrebbe dovuto derivare un atteggiamento di apertura della giurisprudenza verso la pluralità degli interessi legittimi risarcibili, dovendosi fondare la loro selezione sul giudizio di meritevolezza. Invece, la giurisprudenza amministrativa ha finito per restringere l’ambito degli interessi legittimi risarcibili a quelli pretensivi e oppositivi di natura sostanziale, aventi cioè ad oggetto il conseguimento del bene della vita finale, che invece la sentenza n. 500 aveva preso in considerazione solo a titolo esemplificativo. In tal modo, la giurisprudenza ha effettuato   una sorta di “tipizzazione” dell’illecito[51].
Non si tratta infatti di risarcire un mero interesse legittimo (o un diritto) procedimentale ma delle situazioni, cd. intermedie, di carattere sostanziale e aventi consistenza patrimoniale e non, connesse al rispetto della regola procedimentale ma che prescindono dal conseguimento del bene della vita finale, quali ad esempio le spese derivanti dalla immobilizzazione delle risorse, dalla perdita di altre occasioni favorevoli, ecc.[52] 
Ad esempio, nel caso in cui nel caso in cui la P.A. concluda, con ritardo il procedimento, negando (legittimamente) il rilascio dell’autorizzazione commerciale, il privato può chiedere i danni, a lui derivanti dal non aver tempestivamente appreso dell’impossibilità di avviare in quell’immobile la propria attività economica e dal non aver conseguentemente intrapreso le pratiche per aprire l’attività in altro immobile nella sua disponibilità[53].
Sarebbe inoltre anche possibile il risarcimento dei danni non patrimoniali, nei limiti in cui esso è consentito.
In quest’ottica, la tutela risarcitoria può prescindere dalla questione della spettanza del bene della vita finale ma non dalla prova degli effettivi danni conseguenziali alla violazione del termine del procedimento.
Essa però, nello stesso tempo, non giustifica il risarcimento del mero interesse procedimentale, come una sorta di “danno evento”, sganciato cioè dalla prova delle conseguenze dannose e non si presta pertanto a giustificare rischiosi eccessi di protezione.
Infatti, non si risarcisce il privato per la lesione del termine in sé ma per le conseguenze dannose nella sua sfera patrimoniale (e non) che tale comportamento antigiuridico ha cagionato. Deve trattarsi ovviamente della conseguenze immediate e dirette.
Si tratta dunque in sostanza del risarcimento delle conseguenze dannose della violazione procedimentale, nei limiti dell’interesse negativo, in analogia con quanto previsto per la responsabilità precontrattuale, con la quale tale ricostruzione ha ampie affinità[54].
La giurisprudenza, nei casi in cui il risarcimento del danno da ritardo mero è stato riconosciuto, pare aver seguito quest’ultima tesi.
In alcune sentenze, si è infatti fatto esplicito riferimento alle categorie di danno –evento e danno conseguenza per chiarire che il danno da ritardo risarcibile presuppone, al pari di ogni pregiudizio di cui si rivendichi il ristoro in sede aquiliana, che la lesione del bene della vita tempo, integrante il c.d. danno – evento, sia seguita dalla produzione di effetti pregiudizievoli nella sfera patrimoniale e non, ossia il danno – conseguenza, di cui compete al ricorrente fornire adeguata dimostrazione sul duplice versante dell’an e del quantum.
Il danno risarcibile non è, cioè, il tempo perso in sé, ma il concreto nocumento che la lesione del bene tempo abbia sortito nella sfera giuridica del danneggiato.
Ed infatti, va esclusa la risarcibilità del danno non patrimoniale consistito in meri disagi e fastidi, ove non sussistano lesioni di diritti costituzionalmente garantiti.
Viceversa è possibile il risarcimento dei danni non patrimoniali, purché  nei limiti in cui ciò è consentito nel nostro ordinamento,  e cioè, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.: a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale.
Una sentenza in particolare[55] ha espressamente teorizzato che il danno da ritardo della P.A. presuppone pur sempre la lesione di un “diverso” – rispetto al tempo – bene giuridicamente protetto, ponendosi il fattore temporale quale mero nesso causale tra fatto e lesione. In tale prospettiva, dunque, se da un lato non può accordarsi una tutela risarcitoria per il danno derivante dalla mera “perdita di tempo” in sé considerata – non potendosi riconoscere nel fattore “tempo” un bene della vita meritevole di autonoma dignità e tutela –  deve ritenersi che il ritardo possa costituire la causa di ulteriori e differenti danni rispetto ad esso conseguenti alla violazione dei termini procedimentali.
 
6. Così ricostruita la natura della responsabilità per danno da ritardo mero, appare chiaro che le assonanze rispetto alla responsabilità precontrattuale non attengono solo alla selezione delle voci di danno risarcibili.
Come ha affermato l’Adunanza plenaria n. 5/2018, la responsabilità precontrattuale poggia sul “generale dovere di solidarietà che grava reciprocamente su tutti i membri della collettività, si intensifica e si rafforza, trasformandosi in dovere di correttezza e di protezione, quando tra i consociati si instaurano “momenti relazionali” socialmente o giuridicamente qualificati, tali da generare, unilateralmente o, talvolta, anche reciprocamente, ragionevoli affidamenti sull’altrui condotta corretta e protettiva.”
”Il dovere di correttezza (nella sue proteiformi manifestazioni concrete)  – prosegue la Plenaria – è, nella maggior parte dei casi, strumentale alla tutela della libertà di autodeterminazione negoziale, cioè di quel diritto (espressione a sua volta del principio costituzionale che tutela la libertà di iniziativa economica) di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte negoziali, senza subire interferenza illecite derivante da condotte di terzi connotate da slealtà e scorrettezza.”
Lo stesso danno alla libertà di autodeterminazione negoziale, tuttavia, viene riconosciuto espressamente dall’Adunanza plenaria anche con riferimento al ritardo nell’adozione del provvedimento, che  genera “una situazione di incertezza in capo al privato e può, dunque, indurlo a scelte negoziali (a loro volta fonte di perdite patrimoniali o mancati guadagni) che non avrebbe compiuto se avesse tempestivamente ricevuto, con l’adozione del provvedimento nel termine previsto, la risposta dell’amministrazione.”
La situazione soggettiva lesa, dunque, riconducibile al novero dei diritti soggettivi, appare la stessa, sia quando l’amministrazione agisce in modo scorretto o sleale in ambito negoziale, sia quando non rispetta le norme sulla durata massima del procedimento, in ambito pubblicistico.
L’ulteriore affinità tra le due figure di responsabilità attiene alla circostanza che in entrambi i casi “viene in rilievo un danno da comportamento, non da provvedimento”.
Infatti, la violazione del termine di conclusione del procedimento “rappresenta un comportamento scorretto dell’amministrazione, comportamento che genera incertezza e, dunque, interferisce illecitamente sulla libertà negoziale del privato, eventualmente arrecandogli ingiusti danni patrimoniali.”
Ciò ulteriormente dimostra, secondo la Plenaria, come “i doveri di correttezza e di lealtà gravano sulla pubblica amministrazione anche quando essa esercita poteri autoritativi sottoposti al regime del procedimento amministrativo.
Il modello della responsabilità precontrattuale, dunque, serve a descrivere tutte le ipotesi di responsabilità, che siano o meno calate nella realtà procedimentale ( come nel caso del risarcimento del danno da mero ritardo) in cui oggetto della pretesa risarcitoria non sia il bene della vita finale, ma la lesione di un bene intermedio, di un generale diritto all’autodeterminazione negoziale, con tutte le necessitate conseguenze in tema di selezione dei danni risarcibili e di onere della prova.
In questo quadro, un breve cenno va riservato alla recente sentenza delle Sezioni unite civili, 28 aprile 2020, n. 8236, con cui la Cassazione, portando alle estreme conseguenze gli approdi cui era pervenuta nelle tre ordinanze 6594, 6595 e 6596 a Sezioni Unite del 2011, con cui aveva affermato che spettano al giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto il risarcimento dei danni per lesione dell’affidamento ingenerato da provvedimento favorevole poi legittimamente annullato, ha riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario sulla pretesa risarcitoria del danno all’affidamento che il privato abbia riposto nella condotta procedimentale dell’amministrazione (la quale si sia poi determinata in senso sfavorevole), indipendentemente da ogni connessione con l’invalidità provvedimentale (o, come si precisa, dalla stessa esistenza di un provvedimento)[56].
La questione invero avrebbe potuto essere agevolmente inquadrata nell’ambito della materia edilizia, con conseguente attribuzione della giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo.
Tuttavia, le Sezioni Unite, facendo riferimento anche all’Adunanza Plenaria n. 5/2018, hanno preferito creare una nuova categoria di danno, da lesione dell’affidamento derivante dalla mancata adozione di un provvedimento amministrativo favorevole richiesto, all’esito di un lungo procedimento. Sostengono le Sezioni unite che in questo caso, giacché l’amministrazione non ha posto in essere alcun atto di esercizio del potere amministrativo; il rapporto tra la stessa ed il privato giocherebbe interamente sul piano del comportamento, nemmeno riconducibile mediatamente all’esercizio del potere, non esistendo un provvedimento a cui astrattamente imputare la lesione di un interesse legittimo.
Ad avviso di chi scrive, le premesse da cui parte la sentenza delle SU avrebbero dovuto condurla a conclusioni opposte, sia in termini di giurisdizione che di inquadramento dogmatico della fattispecie in esame. Lo svolgimento della vicenda nell’ambito di un procedimento amministrativo (in cui un privato aveva presentato un progetto preliminare di massima per la realizzazione di un grande complesso alberghiero mediante lo strumento del Piano Attuativo Comunale (PAC)), infatti, non può che connotare il comportamento dell’amministrazione, asseritamente in violazione dei canoni di correttezza e buona fede, come sicuramente riconducibile all’esercizio del potere. La circostanza che il piano non sia stato adottato non toglie che l’atto di diniego sia un provvedimento amministrativo, costituente esercizio del potere, al pari del suo accoglimento.
La circostanza che la lesione lamentata riguardi non tanto il diniego di adozione del progetto preliminare presentato dal privato istante quanto la lesione del suo affidamento non può escludere il collegamento, anche mediato, con l’esercizio del potere e quanto meno la giurisdizione esclusiva in materia di urbanistica ed edilizia. Inoltre, al di là della prospettazione di parte, appare chiaro che la società ricorrente abbia in sostanza lamentato una lesione della sua libertà di autodeterminazione negoziale a causa del comportamento ondivago dell’amministrazione, che l’avrebbe indotta a confidare dell’ottenimento del titolo richiesto, secondo un modello astrattamente riconducibile alla responsabilità precontrattuale, al pari della responsabilità per danno da mero ritardo. Dunque, forse, anche sotto quest’ultimo profilo sarebbe stata da riconoscere la giurisdizione amministrativa esclusiva.
 
7. In conclusione, ad avviso di chi scrive, la prospettiva ricostruttiva che sottolinea le affinità tra la responsabilità per danno da ritardo mero e la responsabilità precontrattuale, sopra esposta, che si radica nell’esperienza del giudice civile, appare molto convincente soprattutto perché sembra poter offrire un’unica chiave di lettura per comprendere come possano convivere con la tutela risarcitoria degli interessi legittimi oppositivi e pretensivi di natura sostanziale anche le varie forme di responsabilità della p.a. (la responsabilità precontrattuale, per perdita di chance, da provvedimento legittimo, per danno da disturbo, ecc.), che sono tutte accomunate dal riconoscere tutela risarcitoria a prescindere dalla questione della spettanza del bene della vita.
In questo senso, non si ritiene che l’introduzione da parte dell’art. 28 del d. legge del 21 giugno 2013, n. 69, convertito nella legge 9 agosto 2013, n. 98, del comma 1 bis dell’art. 2 bis della l. 241/90, il quale sancisce il diritto dell’interessato ad ottenere un indennizzo da ritardo, abbia sottratto rilevanza alla tematica del danno da ritardo mero.
Anzi, il fatto che sia ora chiaramente distinta la fattispecie indennitaria da quella risarcitoria consente di definire in modo più netto la sfera tuttora riconducibile alla figura del danno da ritardo mero, categoria da inquadrare anch’essa nell’ambito del 2043 c.c., ma distinta sia dal danno da ritardo nel conseguimento del bene della vita di cui sia accertata la spettanza (per il quale è previsto l’integrale risarcimento sia del lucro cessante che del danno emergente) sia dall’indennizzo da ritardo, in quanto presuppone comunque l’accertamento della colpa e della imputabilità del danno e consente il risarcimento unicamente nei limiti dell’interesse negativo[57].
In sostanza, la previsione normativa di un indennizzo da ritardo ha sicuramente il pregio di aver liberato la figura del danno da ritardo dalle commistioni con i profili indennitari che, come si è visto, l’hanno talvolta in passato accompagnata.
Infatti, la ricostruzione del danno da ritardo mero come risarcimento per la lesione del bene “tempo” in sé poteva portare ( e in effetti talvolta ciò è stato teorizzato) anche ad un risarcimento di un danno in re ipsa, equitativamente liquidato, con caratteri molto simili se non identici, ad un indennizzo.
Ora, alla luce della nuova disciplina, tali prospettazioni non sono più sostenibili.
L’introduzione dell’indennizzo da ritardo ha, inoltre, sostanzialmente confermato la tesi della risarcibilità dei soli danni (patrimoniali e non) effettivamente riconducibili in modo immediato e diretto alla violazione procedimentale, così sconfessando la possibilità che possa essere oggetto di risarcimento il tempo come bene della vita in sé, ovvero la mera “perdita di tempo” sganciata dalle conseguenze patrimoniali del ritardo.
Infatti, per il mero ritardo nella conclusione del procedimento viene ora previsto, con forme e limiti che si vedranno, unicamente un indennizzo.
Il che significa, di contro, che il risarcimento può essere invece riconosciuto solo in presenza di tutti gli elementi costituivi dell’illecito, soggettivi ed oggettivi, e soprattutto della prova del danno.
In tale quadro, la posizione della giurisprudenza attualmente prevalente, che  si mostra piuttosto restia ad ammettere la categoria del danno da ritardo mero, appare meritevole di ripensamento.
L’ancoraggio al tema della spettanza del bene della vita, infatti, finisce per svuotare e svilire il processo interpretativo che si regge proprio sul modello della atipicità dell’illecito di cui all’art. 2043 c.c. e che ha consentito di superare il dogma della irrisarcibilità degli interessi legittimi.
In questo quadro, appare opportuno da parte della giurisprudenza un maggior ricorso alla criterio della meritevolezza dell’interesse per effettuare di volta in volta la selezione degli interessi suscettibili di tutela risarcitoria. Peraltro, analoga sensibilità dovrebbe essere coltivata dalle parti del giudizio, in quanto – come si è detto – l’azione per il risarcimento del danno da ritardo mero deve essere in primo luogo specificamente esercitata dalla parte danneggiata, chiarendo nella sua domanda il tipo di danno per il quale chiede ristoro e fornendo la prova dei danni corrispondenti all’interesse negativo.
Non si può negare che un’attesa ingiustificatamente lunga rispetto ad una istanza di provvedere, ancorché alla fine venga adottato un provvedimento di contenuto sfavorevole immune da vizi, possa di per sé produrre danni, ad esempio per un imprenditore che immobilizzi le proprie risorse e magari rinunci ad altre opportunità di guadagno, in attesa della determinazione della amministrazione.
Di contro una celere risposta, anche di contenuto sfavorevole, può consentire all’imprenditore di modificare tempestivamente i propri progetti di investimento e magari dirigersi verso altre opportunità, senza subire inutili aggravi di costi.
E’ chiaro però che ciò che si intende tutelare non è il bene tempo in sé.
Tuttavia, se è vero che “per l’imprenditore il tempo è sempre un costo” – come sostenuto dalla giurisprudenza sopra citata – allora da tali costi, in caso di attese colpevolmente eccessive e inutili, l’imprenditore deve essere tenuto esente.
Tali tematiche potrebbero anche riguardare, in ipotesi, un privato non imprenditore. Nessun ostacolo di ordine concettuale potrebbe frapporsi a tale considerazione. E’ chiaro però che in questo caso ben più difficile sarebbe fornire la prova dei danni patrimoniali (e non) conseguenti alla attesa del provvedimento a contenuto negativo.
Il tema, come si vede, deve essere sempre incentrato sulla selezione degli interessi risarcibili e sui mezzi di prova dell’an e del quantum del risarcimento, dovendosi rifuggire da petizioni di principio astratte che mal si conciliano con la natura dinamica e duttile della elaborazione giurisprudenziale in materia di responsabilità aquiliana.
 
 Maria Laura Maddalena
Consigliere TAR Napoli
 
Pubblicato il 31 luglio 2020
 
 

[1] Testo dell’intervento svolto in occasione del webinar dal titolo: “L’efficienza dell’azione amministrativa nel 30ennale della legge generale del procedimento amministrativo”, organizzato dall’Università di Torino e dall’Università del Piemonte Orientale, tenutosi il 13 luglio 2020.
[2] C. FELIZIANI, Quanto costa con decidere? A proposito delle conseguenze delle mancate o tardive decisioni della Pubblica amministrazione*, in Il diritto dell’economia, ISSN 1123-3036, anno 65, n. 98 (1 2019), pp. 155-192.
[3] Così S. CASSESE, L. TORCHIA, Diritto amministrativo. Una conversazione, Bologna, 2014, p. 109..
[4] Cfr. A. ROMANO, Introduzione, in Aa.Vv., Diritto amministrativo. Parte generale, vol. I, IV ed., cit., 1 ss
[5] D. DE FALCO e M.L. MADDALENA, La politica del tracciamento dei contatti e dei test per covid-19 alla luce delle ultime direttive OMS: nessun ostacolo giuridico impedisce di utilizzare il ‘modello coreano’ anche in Italia il modello coreano, in www.federalismi.it
[6] Cfr. FELIZIANI, Quanto costa non decidere? Cit.
[7] Cfr.  Corte di Cassazione, Sezione VI, sentenza n. 42610/2015, secondo cui la fattispecie di cui all’art. 328, comma 2, c.p. incrimina non tanto l’omissione dell’atto richiesto, quanto la mancata indicazione delle ragioni del ritardo entro i trenta giorni dall’istanza di chi vi abbia interesse.
[8] Esso, come meccanismo rimediale interno alla Amministrazione con il carattere della generalità, è stato introdotto dal Decreto Legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, in Legge 4 aprile 2012, n. 35 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo)
[9] Articolo 21
(Responsabilità erariale)
1. Al comma 1 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, dopo il primo periodo e le parole “ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali”, è aggiunto: “La prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”.
2. Limitatamente ai fatti commessi dall’entrata in vigore del presente decreto legge e fino al 31 luglio 2021, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal periodo precedente non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente.
[10] T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 17 giugno 2011 , n. 613.
[11] In relazione all’uso del termine “spettanza” v. per primo G. FALCON , Il giudice amministrativo tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di spettanza (*), in Dir. proc. amm., fasc.2, 2001, pag. 287. v. anche Id. La responsabilità dell’amministrazione e il potere amministrativo (*), in Dir. proc. amm., fasc.2, 2009, 241 ess.
[12] Per un primo commento alla nuova disciplina, v. A. VACCARI, Brevi cenni sulla responsabilità della pubblica amministrazione per ritardo nell’attività provvedimentale, Foro amm. TAR, fasc.9, 2013, pag. 2949, il quale critica la scelta del legislatore di limitare la corresponsione dell’indennizzo solo ad alcuni procedimenti. V. inoltre V.M. DONOFRIO,  IL concetto di “tempo amministrativo”: da emblema di discrezionalità dell’agere publicum a bene suscettibile di indennizzo economico. in Il nuovo diritto amministrativo, 2013, 28 e ss. e L.OLIVIERI, Semplificazioni amministrative, in BEDESSI – BIONDARO-DEL MAESTRO – OLIEVIERI .RICCADONNA, Decreto del fare, Rimini, 2013, 55 e ss..
[13] La contraddittorietà di una tal previsione è stata subito segnalata (v. R. CHIEPPA, Il danno da ritardo (o da inosservanza dei termini di conclusione del procedimento, in R. CHIEPPA – R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2011, p 758. e R. CHIEPPA, Commento all’art. 30 c.p.a., azioni di condanna, in A. Quaranta e V. LOPILATO (a cura di), Il  processo amministrativo, Milano, 2011, 306 e ss.) sottolineandosi che in sostanza ora il termine per proporre l’azione di risarcimento del danno da ritardo è di un anno e 120 giorni decorrenti dalla scadenza del termine per provvedere, il che sembra porsi in contrasto con quanto indicato nella stessa relazione governativa, la quale afferma che “fintanto che perdura l’inadempimento, non possa decorrere alcun termine per l’esercizio dell’azione risarcitoria, in quanto l’inosservanza del termine di conclusione del procedimento costituisce un illecito di carattere permanente, in relazione al quale non vi è alcuna ragione di certezza delle posizioni giuridiche che giustifichi il consolidamento di una (illecita) situazione di inerzia” (testualmente dalla relazione del Governo)
[14] Cfr. M.L. MADDALENA, Art. 2 bis – Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento”, in L’azione amministrativa a cura di A. Romano, 2016, Torino.
[15] Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 22 maggio 2014, n. 2638, secondo cui la norma non collega l’ipotesi risarcitoria al mero superamento del termine di conclusione del procedimento amministrativo (senza che sia intervenuta l’emanazione del provvedimento finale), ma pone l’inosservanza del termine normativamente previsto come presupposto causale del danno ingiusto eventualmente cagionato “in conseguenza” dell’inosservanza dolosa o colposa di detto termine. Pertanto, l’inosservanza del termine di conclusione procedimentale comporta: a) in generale, il risarcimento del danno ingiusto, qualora – con dimostrazione del nesso di causalità – questo consegua ad una inosservanza colposa o dolosa della P.A..
Sulla stessa lunghezza d’onda, Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 14 novembre 2014, n. 5600, ha rilevato che il mero superamento del termine fissato ex lege o per via regolamentare alla conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo, ma non integra piena prova del danno” (Cons. Stato, sez. VI, 10 giugno 2014, n. 2964).
Elementi costitutivi della responsabilità della pubblica amministrazione, sul piano della fattispecie, sono: i) l’elemento oggettivo consistente nella violazione dei termini procedimentali; ii) l’elemento soggettivo (colpa o dolo); iii) il nesso di causalità materiale o strutturale; iv) il danno ingiusto, inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo al rispetto dei predetti termini. Sul piano delle conseguenze, il fatto lesivo, così come sopra individuato, deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati.
In relazione alla colpa, deve ritenersi che violazione del termine faccia presumere la sua sussistenza, che può essere superata mediante la dimostrazione di un errore scusabile dell’amministrazione. In particolare, integra gli estremi dell’esimente da responsabilità l’esistenza di: a) contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma; b) una formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore; c) una rilevante complessità del fatto; d) una illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata (cfr. Cons. Stato, sez. III, 6 maggio 2013, n. 2452; Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2013, n. 798; Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2007, n. 1114).
In relazione al nesso di causalità, lo stesso, in presenza di vicenda quale quella in esame, deve essere ricostruito valutando se, in applicazione della teoria condizionalistica e della causalità adeguata, è “più probabile che non” che l’omissione della pubblica amministrazione sia stata idonea a cagionare l’evento lesivo (si vedano le argomentazioni contenute in Cons. Stato, Sez. VI, 29 maggio 2014, n. 2792).
[16] La tesi della responsabilità da contatto della p.a. è stata elaborata, muovendo da una critica alla qualificazione della responsabilità civile della p.a. come responsabilità aquiliana, dal momento che tra il privato e la p.a. si instaura una relazione procedimentale, da una parte della dottrina e da una pronuncia della Cassazione (n. 157 del 10.1.2003 in Foro it., 2003, I, 78).
Si tratta di un modello di responsabilità di matrice tedesca, a metà tra la responsabilità aquilina e quella da contratto (mancando la prestazione), riconducibile come fonte all’art. 1173 c.c. (che prevede tra le fonti delle obbligazioni “ogni altro fatto o atto idoneo secondo l’ordinamento giuridico”). In sostanza, la p.a. nel corso del procedimento assume obblighi in parte tipizzati dalla legge e in parte riconducibili ai principi di correttezza e buona fede e buona amministrazione dei quali il privato è beneficiario. La violazione di tali obblighi dà luogo ad una responsabilità contrattuale (1218 c.c.), con tutte le conseguenze in campo probatorio e di prescrizione. Oggetto del risarcimento però non è la perdita del bene della vita sostanziale, la cui spettanza per tale ragione non deve essere provata, ma solo l’interesse al comportamento procedimentale corretto della p.a.: l’ottica è capovolta rispetto a quella della sentenza 500/99.
[17] F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, II ed., Roma, 2010, 187-188, 200-201, secondo il quale sono da ritenersi superate le pur affascinanti teorie contrattualistiche del c.d. contatto qualificato; negli stessi termini, sia pure criticamente per le minori garanzie di tutela del privato di tale regime di responsabilità; R. GISONDI, Il legislatore consacra la risarcibilità del danno da ritardo, in F.CARINGELLA – M.PROTTO, Il nuovo procedimento amministrativo, Roma, 2009, 159, CARINGELLA – GIANNINI,  Codice del procedimento amministrativo,  Roma, 2010, 100; M. RENNA,  Commento all’art. 2 bis , in GAROFOLI _FERRARI,  Codice dell’azione amministrativa e delle responsabilità, Roma, 2010, 136, il quale tuttavia segnala l’incoerenza di una tale soluzione approntata dal legislatore rispetto al sistema della responsabilità della P:A: per danno da ritardo che presuppone la lesione di “diritti procedimentali”; GRECO, La riforma della legge 241/90,con particolare riguardo alla legge 69/2009: in particolare, le novità sui termini di conclusione del procedimento e la nuova disciplina della conferenza dei servizi, in www.giustizia-amministrativa.it, p. 10 e 13;  P.M. ZERMAN, Il risarcimento del danno da ritardo: l’art. 2 bis della legge 241/1990 introdotto dalla legge 69/2009, in www.giustizia-amministrativa.it (luglio 2009); S D’ANCONA, Il termine di conclusione del procedimento amministrativo nell’ordinamento italiano. riflessioni alla luce delle novità introdotte dalla legge 18 giugno 2009 n. 69. www.giustamm.it, 2009, 3, secondo il quale l’art. 2-bis propone una figura di illecito ««ricalcata sullo schema dell’art. 2043 c.c..»; G. SORICELLI, La codificazione della disciplina speciale della responsabilità della P.A. per danno da ritardo?, in www.giustamm.it, 5, 2009, secondo il quale,  la lettura dell’art. 2 bis, per ragioni sistematiche, non può che condurre ad affermare che la responsabilità della p.a. deve restare di natura aquiliana in quanto proprio l’ingiustizia del danno consente di operare una congrua selezione degli interessi meritevoli di tutela e, quindi, risarcibili.
[18] Cfr. ex multis Cons. Stato. IV sez.  12/12/2016 n. 5199; Cons. Stato, Sez. V, n. 3059 del 2016 e n. 1239 del 2016; n. 675 del 2015;   n. 63 del 2014.
[19] GRECO, La riforma della legge 241/90, con particolare riguardo alla legge 69/2009 cit..
[20] Cfr. ex multis Cds. IV sezione 12/12/2016 n. 5199
[21]  sez. V, 21 marzo 2011 , n. 1739.
[22] T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 08 novembre 2010 , n. 4356).  Nel senso di trattare la domanda risarcitoria con il rito ordinario dopo aver definito con il rito camerale il giudizio sul silenzio, v. T.A.R. Emilia Romagna Parma, sez. I, 30 giugno 2011 , n. 238
[23] T.A.R.  Latina (Lazio) sez. I 20/05/2013, 470 e il T.A.R.  Salerno (Campania) sez. II, 18/11/2013, n. 2277.
[24] cfr. ex multis  T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 14/04/2014, n. 4040.
[25] In questo senso anche parte della successiva giurisprudenza TAR Calabria, n. 1177/2018; T.A.R. Campania Napoli -2016, n. 4131; T.A.R. Sicilia, Catania,
sez. IV, n. 58 del 2014; TAR, Campania, Napoli, n. 4131 del 2016, secondo cui: “il comma 6 dell’art. 117 “attribuisce al giudicante la facoltà di decidere separatamente le due azioni, ciascuna con il proprio rito, ovvero disporre che l’intero giudizio venga trattato in udienza pubblica o in camera di consiglio” . La possibilità di rinviare a decisione con rito ordinario l’azione risarcitoria infatti, sarebbe solo una facoltà e non un obbligo, di conseguenza “la norma in esame va interpretata nel senso che non obbliga il giudice alla conversione del rito, ma quest’ultima opzione è solo una facoltà discrezionale dell’organo giudicante in funzione della maggiore o minore complessità delle questioni risarcitorie introdotte con il ricorso ex art. 117 c.p.a.”
[26] V. NERI, “Il bene della vita”, in Urbanistica e appalti, Fasc.6, 2018.
[27] AP n. 4 del 4 maggio 2018
[28] V. Cass. SU, 28 aprile 2020, n. 8236; v. inoltre G. TULUMELLO, Le sezioni unite e il danno da affidamento procedimentale, in www.giustizia-amministrativa.it
[29] Cons. St., ord. 7 marzo 2005, n. 875 secondo cui “l’affidamento del privato alla certezza dei tempi dell’azione amministrativa sembra … essere interesse meritevole di tutela in sé considerato.
[30] sez. IV – sentenza 29 gennaio 2008 n. 248.
[31] Consiglio Stato, sez. VI, 06 aprile 2010 , n. 1913.
[32]T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 20 gennaio 2010 , n. 582.
[33] CGA, sez. giurisdizionale, sent. n. 4 novembre 2010 n. 1368
[34] Sez. V – sentenza 28 febbraio 2011, n. 1271
[35] Sez. V, 21 marzo 2011, n. 1739
[36] Sez. giurisdizionale, sent. 24 ottobre 2011 n. 684
[37] Consiglio di Stato, sez. III , 31/01/2014, n. 468,  v. anche in termini Consiglio di Stato    sez. IV , 04/09/2013, n. 4452 e Consiglio di Stato,  sez. V, 21/06/2013, n. 3405. T.A.R.  Lecce (Puglia)  sez. III , 15/01/2014, n. 112. T.A.R.  L’Aquila (Abruzzo) sez. I , 19/12/2013, 1064. v. anche T.A.R.  Bari (Puglia)  sez. II , 10/09/2013, n. 1318; T.A.R.  Bari (Puglia) sez. I , 19/07/2013, n. 1148; T.A.R.  Catania (Sicilia) sez. II , 01/02/2013, 390; T.A.R.  Lecce (Puglia)  sez. I , 28/01/2013, 190.
[38]  Cfr. Cons. stato IV sezione 6 aprile 2016 n. 1371 e 02 novembre 2016 n. 4580, v. inoltre, sez. V, 25 marzo 2016, n. 1239 e del 22 settembre 2016 n.3920. v. inoltre di recente Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 1437/2020, che richiama n termini, tra le tante, Cons. Stato, IV, 23 giugno 2017, n. 3068; IV, 2 novembre 2016, n. 4580; IV, 6 aprile 2016, n. 1371.
[39]  V. sentenze citate in nota n. 15.
[40] v. M. PROTTO, Responsabilità della P.A. per lesione di interessi legittimi: alla ricerca del bene perduto, in Urbanistica e appalti, 2000, 1005 e F. Fracchia, Risarcimento del danno causato da attività provvedimentale dell’Amministrazione: la Cassazione effettua un’ulteriore (ultima) puntualizzazione, nota a Cass.,sez. I, 10 gennaio 2003, n. 517 in Foro it., 2003, I, 78.
Si veda inoltre G.M. RACCA, in GAROFOLI; RACCA; PALMA,  Responsabilità della pubblica amministrazione e risarcimento del danno innanzi al giudice amministrativo, Milano, 2003, 187, la quale aveva elaborato, sia pure non con specifico riguardo alla responsabilità per danno da ritardo, la figura della responsabilità da inadempimento dell’obbligo di correttezza, che – similmente alla responsabilità precontrattuale- si caratterizza per l’individuazione di un danno risarcibile che si ricollega all’inadempimento e non alla c.d. spettanza di provvedimento.
[41] V. G. PASTORI, Attività amministrativa e tutela giurisdizionale nella legge 241/90 riformata, in L. R. Perfetti (a cura di) Le riforme della l. 7 agosto 1990 n. 241 tra garanzia della legalità e amministrazione di risultato, 2008, Padova, 3 e ss.  
[42] M. RENNA, Obblighi procedimentali e responsabilità della amministrazione, in dir. Amm.2005, 566.
[43] G. MICARI, Provvedimento amministrativo negativo tardivo: l’adunanza plenaria sul danno da ritardo «mero» infittisce la «rete di contenimento». In Giust. civ., fasc.6, 2006, pag. 1329 e ss., nota Consiglio di Stato ad. plen. , 15 settembre 2005, n.7, Consiglio di Stato , 07 marzo 2005, n.875, sez. IV, il quale ha sostenuto: “Se, dunque, deve riconoscersi la sussistenza di un vincolo costituzionale di provvedere in capo alla pubblica amministrazione ed un correlativo diritto soggettivo all’esercizio del potere funzionalizzato entro i termini normativi fissati, e se tale diritto assume rilevanza costituzionale attraverso la mediazione del principio del giusto procedimento, un provvedimento amministrativo tardivo, indipendentemente dal suo contenuto favorevole o non favorevole all’istante, non solo sarà illegittimo (secondo la communis opinio secondo cui il provvedimento contra Constitutionem è annullabile), ma non possiederà neppure la forza tipica di degradazione del diritto contrapposto”.
[44] Cfr. F.PATRONI GRIFFI, La responsabilità dell’amministrazione: danno da ritardo e class action, in www.federalismi.it (27.1.2009)
[45] v. M. PROTTO, Responsabilità della P.A. per lesione di interessi legittimi: alla ricerca del bene perduto, in Urbanistica e appalti, 2000, 1005 e F.FRACCHIA, Risarcimento del danno causato da attività provvedimentale dell’Amministrazione: la Cassazione effettua un’ulteriore (ultima) puntualizzazione, nota a Cass.,sez. I, 10 gennaio 2003, n. 517 in Foro it., 2003, I, 78. v. inoltre, sulla questione R. GIOVAGNOLI, I silenzi della pubblica amministrazione dopo la legge n.80/2005, Milano, 2005, 205 e ss. F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2005, 502 e ss.
[46] v. M. RENNA, Obblighi procedimentali e responsabilità dell’amministrazione, cit., p. 573). 
[47] Cfr.  M. CLARICH e G. FONDERICO, La risarcibilità del danno da mero ritardo, in Urb. e app., 2006, 67 e ss
[48] M. CLARICH e G. FONDERICO, La risarcibilità del danno da mero ritardo,  in Urb. e app., 2006, 67 e ss;  E. SCOTTI, Appunti per una lettura della responsabilità dell’amministrazione tra realtà e uguaglianza , in Dir amm. 2009, 521 e ss. v. anche M.L. MADDALENA, Il danno da ritardo tra bene della vita finale e mero interesse al rispetto dei tempi del procedimento, in Urbanistica e appalti, 2008, 7, 860  e ss.
[49] Ibidem.
[50] v. M. CLARICH E G. FONDERICO, La risarcibilità del danno da mero ritardo, in Urb. e app., 2006, 67 e ss.
[51] ibidem
[52] ibidem
[53] Cfr. R. CHIEPPA, Il danno da ritardo (o da inosservanza dei termini di conclusione del procedimento). in www.giustizia-amministrativa.it e in R. Chieppa – R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2011.
[54] L’Adunanza plenaria n. 4 del 2018, occupandosi appunto di responsabilità precontrattuale, ha infatti chiarito che essa è configurabile anche nella fase che precede la scelta del contraente, e, quindi, prima e a prescindere dall’aggiudicazione, e cioè dall’accertamento della spettanza del bene della vita. Secondo il Supremo Consesso “ a) il dovere di correttezza e di buona fede oggettiva (e la conseguente responsabilità precontrattuale derivante dalla loro violazione) è configurabile in capo all’Amministrazione anche prima e a prescindere dall’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva; b) tale responsabilità è configurabile senza che possa riconoscersi rilevanza alla circostanza che la scorrettezza maturi anteriormente alla pubblicazione del bando oppure intervenga nel corso della procedura di gara.”
[55] TAR Lazio, sez., II quater, sent. del 24.1.2012, n. 762
[56] Cfr. G. TULUMELLO, cit. p.1
[57] In questi termini si è espresso a chiare lettere anche il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 22 maggio 2014 n. 2638, sopra citata.
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