26/11/2017 – Terza ondata di stabilizzazioni in 10 anni e trionfo della soft law

Terza ondata di stabilizzazioni in 10 anni e trionfo della soft law

 
 
 
Con la circolare della Funzione Pubblica 3/2017 può partire la terza grande ondata di stabilizzazioni di lavoratori “precari” pubblici, dopo quelle del 2007 e 2008.

Dieci anni non sono bastati ad assorbire il precariato. Ma nemmeno la nuova ondata prevista dal d.lgs 75/201 sarà sufficiente. La stima ottimistica è l’assunzione a tempo indeterminato di 50.000 lavoratori flessibili, ma il “bacino d’utenza” è molto più ampio, di 3-4 volte. Considerando i requisiti soggettivi molto ristretti, non sarà nemmeno facile stabilizzare i 50.000 previsti.
Stremo a vedere. Certo è che col 2018 prende il via un altro processo di sostanziale sanatoria di assunzioni non del tutto rispettose dei vincoli e limiti per reclutare personale flessibile, che approfondisce sempre più il divario tra lavoro pubblico e privato.
Si è assistito, proprio negli ultimi giorni, al dato ormai acquisito secondo il quale nel sistema privato oltre il 90% delle assunzioni sono flessibili, senza che esista alcuno strumento di “stabilizzazione” se non volto a sanzionare l’illecita apposizione del termine o sequenza di contratti a termine.
Nel pubblico, invece, oltre ad essere stato ripristinato il sistema della reintegra, con la riforma dell’articolo 63, comma 2, del d.lgs 267/2000, invece di configurare la stabilizzazione come una conseguenza di illegittime modalità di reclutamento a termine, essa viene di fatto appunto a sanare comportamenti operativi non del tutto commendevoli, con strumenti anche discutibili. Basti pensare, ad esempio, alla possibilità prevista dall’articolo 20, comma 2, del d.lgs 75/2017 mirato a consentire (come del resto le precedenti ondate di stabilizzazioni) l’assunzione in ruolo di personale precario assunto senza preventive selezioni pubbliche, in base ad un “concorsino” riservato, che salva la faccia dell’articolo 97 della Costituzione, vulnerandone contemporaneamente la sostanza.
Contestualmente, il legislatore non è riuscito a porre rimedio alla situazione paradossale, secondo la quale i giudici del lavoro considerano illecito inanellamento di rapporti a termine la circostanza che alcuni lavoratori superino i 36 mesi di lavoro con una PA, essendo però stati reclutati non mediante rinnovi, bensì in conseguenza di procedure concorsuali che, per quanto periodiche, certamente evidenziano l’assenza di qualsiasi abuso del datore pubblico nell’assumere a tempo determinato. Tant’è.
Dunque tra pochi giorni si potranno aprire le danze delle stabilizzazioni, per le quali la circolare 3/2017 della Funzione pubblica ci spiega che la nuova modalità di programmazione triennale dei fabbisogni di personale non è necessaria, con buona pace dell’innovatività della riforma Madia sul punto.
La nuova ondata di stabilizzazioni si apre, infatti, con la conferma che ormai le leggi del Parlamento sono sostanzialmente una traccia generale, che si presta a modifiche ed integrazioni senza sostanziali limiti da parte della “soft law”, composta, come in antico, da circolari sempre meno “esplicative” e sempre più “creative”, e da linee guida, comunicati, tweet e dichiarazioni alla stampa.
La funzione “creativa” si nota, ad esempio, nel tentativo della circolare di ammorbidire la rigorosità dei requisiti soggettivi. Prendiamo il caso dei lavoratori con contratti a termine che risultino assunti a seguito di prove concorsuali. Nella tabella che segue mettiamo a confronto i requisiti soggettivi previsti dal d.lgs 75/2017 con quelli della circolare
 
Articolo 20, comma 1, d.lgs 75/2017
Circolare 3/2017
1.  Le amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono, nel triennio 2018-2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:
L’articolo 20, comma 1, consente l’assunzione a tempo indeterminato del personale non dirigenziale, con contratto di lavoro a tempo determinato, che possegga tutti i seguenti requisiti:
 
 
 
 
a)  risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione;
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
a) risulti in servizio, anche per un solo giorno, successivamente alla data del 28 agosto 2015, con contratto di lavoro a tempo determinato presso l’amministrazione che deve procedere all’assunzione: all’atto dell’avvio delle procedure di assunzione a tempo indeterminato il soggetto potrebbe non essere più in servizio; rileva, tuttavia, la previsione del comma 12 dell’articolo, secondo cui ha priorità di assunzione il personale in servizio alla data di entrata in vigore del d.lgs. 75/2017 (22 giugno 2017); tale ultimo criterio, ferma restando la prevalenza dell’effettivo fabbisogno definito nella programmazione, è prioritario rispetto ad altri eventualmente fissati dall’amministrazione per definire l’ordine di assunzione a tempo indeterminato; i criteri scelti suppliranno anche per l’ordine da attribuire a coloro che sono in servizio alla predetta data del 22 giugno 2017;
 
Da dove la circolare desuma la possibilità che si estenda la stabilizzazione a personale non più in servizio, non è dato comprendere.
Si apprende, comunque, che sarà possibile una sorta di “ripescaggio” di personale non più utilizzato anche da anni, nonostante il presupposto della stabilizzazione è la continuità ed indispensabilità dell’attività lavorativa dell’interessato, nonché la valorizzazione della sua professionalità.
b)  sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;
 
 
 
 
b) sia stato assunto a tempo determinato attingendo ad una graduatoria, a tempo determinato o indeterminato, riferita ad una procedura concorsuale – ordinaria, per esami e/o titoli, ovvero anche prevista in una normativa di legge – in relazione alle medesime attività svolte e intese come mansioni dell’area o categoria professionale di appartenenza, procedura anche espletata da amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;
 
In questo caso, il richiamo all’identità delle mansioni appare opportuno, proprio per coerenza con l’obiettivo della valorizzazione della professionalità acquisita
c)  abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione che procede all’assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.
c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze della stessa amministrazione che procede all’assunzione, fatto salvo quanto si dirà per gli enti del SSN e gli enti di ricerca, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni. Gli anni utili da conteggiare ricomprendono tutti i rapporti di lavoro prestato direttamente con l’amministrazione, anche con diverse tipologie di contratto flessibile, ma devono riguardare attività svolte o riconducibili alla medesima area o categoria professionale che determina poi il riferimento per l’amministrazione dell’inquadramento da operare, senza necessità poi di vincoli ai fini dell’unità organizzativa di assegnazione.
 
L’inciso in grassetto è una sorta di sanatoria della sanatoria. La circolare suggerisce di cumulare anche diverse tipologie contrattuali flessibili, evidentemente tra loro non connettibili, basta che si giunga ai 3 anni negli 8 anni. Ricondurre alla medesima area o categoria professionale rapporti flessibili molto eterogenei non è impresa semplice: la circolare lascia aperte interpretazioni operative anche molto fantasiose.
 
Piuttosto elevato è il tasso di innovatività anche del passaggio della circolare secondo il quale “le procedure speciali di reclutamento finalizzate al superamento del precariato hanno una disciplina che sottende un interesse prevalente rispetto alla mobilità prevista dall’articolo 30 del d.lgs. 165/2001 che, conseguentemente, non è da svolgere in via propedeutica all’avvio delle relative procedure. Rimane, invece, prevalente la posizione giuridica alla ricollocazione del personale in disponibilità ed è, pertanto, necessario adempiere a quanto previsto dall’articolo 34-bis del d.lgs. 165/2001”.
Non che quanto segnalato dalla circolare non sia in generale condivisibile, ma occorrerebbe evidenziare alcuni elementi importanti. Il primo è che a ben vedere la stabilizzazione non ha un interesse generale superiore rispetto alla mobilità, perché mentre la stabilizzazione è solo una facoltà, la mobilità è obbligatoria. Molti evidenziano che l’obbligo previsto dall’articolo 30, comma 2-bis, del d.lgs 165/2001 non è corroborato dalla sanzione espressa della nullità; però non si deve dimenticare che ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del medesimo d.lgs 165/2001, tutte le norme ivi contenute sono imperative, sicchè la loro violazione determina senz’altro nullità.
Ma, il tema è un altro. Nel caso della stabilizzazione di cui all’articolo 20, comma 1, si pone in essere una vera e propria trasformazione del rapporto di lavoro da flessibile a stabile (col problema enorme di provvedere in tal senso nei confronti di persone che non conducano alcun rapporto con la PA al momento della stabilizzazione), senza nessuna prova concorsuale. Pertanto, l’articolo 30 del d.lgs 165/2001 non è proprio applicabile.
Nel caso del comma 2, le procedure concorsuali sono riservate e, dunque, anche in questo caso il legislatore stesso ha implicitamente escluso la mobilità volontaria.
Da apprezzare è la parte nella quale la circolare considera finalmente in modo esplicito prevalente il fine pubblico di salvaguardia del personale in disponibilità (sull’orlo del licenziamento), che rende obbligatoria comunque l’applicazione dell’articolo 34-bis del d.lgs 165/2001. La previsione della circolare pare da considerare principio generale, da applicare ad ogni forma di reclutamento, sì da confermare che il fine pubblico dell’articolo 34-bis prevalga anche sulla mobilità volontaria.
Non del tutto lineare e convincente è il passaggio con cui la circolare si sofferma sul divieto di assumere personale con contratti flessibili se si dà il via alle stabilizzazioni, posto dal comma 5 dell’articolo 20 del d.lgs 75/2017. Secondo la circolare “il suddetto divieto è circoscritto esclusivamente alle professionalità e alle posizioni oggetto delle procedure di reclutamento speciale di cui ai commi 1 e 2 dello stesso articolo 20 e si applica dunque nel caso in cui le risorse dell’articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2010, siano impegnate nel suddetto piano triennale di reclutamento speciale. Il divieto non opera, invece, nel caso e nella misura in cui le amministrazioni mantengano disponibili le risorse per l’utilizzo secondo il predetto articolo 9, comma 28, anche al fine di sopperire ad esigenze sostitutive di personale assente dal servizio con diritto alla conservazione del posto. Le amministrazioni che hanno necessità di ricorrere a tipologie di lavoro flessibile dovranno quindi privilegiare, per il reclutamento speciale, l’utilizzo di risorse di turn over ordinario nel rispetto del principio dell’adeguato accesso dall’esterno”.
Per la verità, il comma 5 non prevede nulla di tutto ciò: “Fino al termine delle procedure di cui ai commi 1 e 2, è fatto divieto alle amministrazioni interessate di instaurare ulteriori rapporti di lavoro flessibile di cui all’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, per le professionalità interessate dalle predette procedure. Il comma 9-bis dell’articolo 4 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, è abrogato”. Non c’è alcuna correlazione tra il divieto e il travaso delle risorse per i contratti flessibili a quelle per le assunzioni stabili.
Così è la soft law. Dispensa il Parlamento dal dover correggere ed integrare previsioni che siano considerate lacunose. Ma, oltre ai molti problemi di tenuta dell’ordinamento, pone problemi interpretativi ed operativi molto forti, oltre a favorire il contenzioso, quando essa soft law crea diritto.
E’ il caso, ad esempio, del recente comunicato del Presidente Anac 8 novembre 2017, secondo il quale “Può affermarsi, quindi, che, ferma restando l’obbligatorietà del controllo sul primo classificato da effettuarsi prima dell’aggiudicazione dell’appalto, nelle precedenti fasi della procedura, le stazioni appaltanti sono tenute a verificare i requisiti generali e speciali, anche ai sensi dell’art.83, comma 8, del Codice, sulla base delle autodichiarazioni presentate dai concorrenti, di cui è verificata la completezza e conformità a quanto prescritto dal bando. Le stazioni appaltanti possono procedere al controllo della veridicità e sostanza di tali autodichiarazioni anche a campione e in tutti i casi in cui ciò si rendesse necessario per  assicurare la correttezza della procedura, ivi compresa l’ipotesi in cui  sorgano dubbi sulla veridicità delle stesse”.
Il codice dei contratti non contiene in via esplicita nessuna di queste incombenze; al contrario, ha abolito l’articolo 48 del d.lgs 163/2006, all’evidente scopo di semplificare le operazioni di gara. Un comunicato, di incerta classificazione tra le fonti del diritto, non solo lo ripristina, ma lo appesantisce di adempimenti.

 

In mezzo, gli operatori slalomeggiano tra facoltà che sono obblighi, condizioni restrittive che si estendono o restringono sempre più, risorse che appaiono e scompaiono. E per il caso di specie, stabilizzazioni (ma anche obblighi in fase di gara) ancora è troppo presto per infittire il reticolo con pareri delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, che non mancheranno senz’altro di aggiungere nuovi tasselli.
Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto