23/09/2020 – Occupazione abusiva di suolo demaniale e cessazione della condotta

Ambiente in genere. Occupazione abusiva di suolo demaniale e cessazione della condotta
Pubblicato: 22 Settembre 2020
Cass. Sez. III n. 25052 del 4 settembre 2020 (CC 21 lug 2020)

Nel reato permanente di occupazione abusiva di suolo demaniale la condotta antigiuridica, consistente nella acquisizione o nel mantenimento senza titolo del possesso di spazio demaniale in modo corrispondente all’esercizio di un diritto reale di godimento, cessa con il venir meno dell’abusiva occupazione, ossia dell’uso e del godimento illegittimi

 
RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata ordinanza, giudicando in sede di rinvio disposto da questa Corte, Sez. 4, n. 45817 del 5 luglio 2017, dep. il 31 ottobre 2017, il Tribunale distrettuale di Roma, in parziale accoglimento dell’appello cautelare proposto dal pubblico ministero avverso il provvedimento di revoca del sequestro preventivo disposto dal G.i.p. del Tribunale di Civitavecchia in data 15 maggio 2014, annullava il provvedimento di revoca in riferimento alla superficie di 615 mq. adibita a servizio e ristorazione, in parte coperta e in parte scoperta (punto 1 del decreto di sequestro), nonché all’area di 60 mq. costituita da pavimentazione di  legno su cui sono posti i frigoriferi (punto 7), nel resto rigettando l’appello.

 2. Avverso l’indicata ordinanza, l’indagata, per il tramite dei difensori di fiducia, propone separati ricorsi per cassazione.

3. Il ricorso sottoscritto dall’avv. Giovanni Cantelli è affidato a due motivi.

3.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 321 cod. proc. pen. e 54, 1161 cod. nav. Assume la ricorrente che, in sede di rinvio, il Tribunale cautelare avrebbe fornito un’erronea interpretazione del punto 166 del DRG Lazio n. 1161/11 e del regolamento edilizio, omettendo l’analisi circa la legittimità originaria del titolo concessorio  (la determinazione dell’11 dicembre 2015 a firma del dirigente Rizzi) alla luce del piano di utilizzo degli arenili (d’ora in avanti PUA)  all’epoca in vigore e del bando di gara a cui il concessionario aveva partecipato. A sostegno di ciò, la ricorrente indica alcune pronunce di questa Corte che, in vicende relative ad altri concessionari del medesimo contesto geografico (in particolare, Sez. 3 n. 58006/2018, Sez. 3 n. 32513/2018 e Sez. 3 n. 40249/2018), avrebbero ritenuto la legittimità delle procedure di concessione in ampliamento. Aggiunge la ricorrente che il Tribunale distrettuale avrebbe erroneamente affermato  che non via sia stata alcuna istruttoria, ai sensi dell’art. 24 reg. esec. cod. nav., in quanto la delibera con il Comune di Fiumicino, ritenendo la legittimità delle opere realizzate, ha implicitamente compiuto una valutazione in ordine alla realizzazione dei servizi necessari (docce, bagni, pedane, ecc.). In ogni caso, il Tribunale cautelare, oltre alle indicate sentenze delle Corte di Cassazione in vicende analoghe, non avrebbe considerato : 1) che la concessione in ampliamento sopravvenuta era legittima sulla base dell’art. 24 reg. esec. cod. nav. e non era difforme dal PUA; 2) che la Regione Lazio, con regolamento n. 19 del 2016, ha disciplinato le diverse tipologie di aree demaniali per finalità turistico-ricreative, prevedendo l’uso della convenzione per la gestione dei servizi, da stipulare con i titolari delle concessioni; 3) le convenzioni  sono da ritenersi valide in riferimento non solo al PUA, ma anche al bando di gara del 2002, mai impugnato; 4) l’indagata ha agito in buona fede; 5) il Comune di Fiumicino, in data 20/03/2018, ha adottato il nuovo PUA, secondo cui i concessionari vincitori del bando del 2002 sono qualificati come esercizi di ristorazione con 2.000 mq. in concessione; 6) il nuovo PUA ha eliminato il riferimento ai “chioschi”, facendo riferimento agli “esercizi di ristorazione”.

3.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 321 cod. proc. pen. e 157 cod. pen.

Secondo la ricorrente, la data di occupazione arbitraria del demanio marittimo, ove ritenuta sussistente, si sarebbe comunque interrotta con il sequestro eseguito il 19 maggio 2014, di talché il reato sarebbe in ogni caso prescritto, considerando che la prosecuzione del possesso è avvenuta a seguito di dissequestro disposto dall’A.G.

4. Il ricorso a firma dell’avv. Pierluigi Mancuso è affidato due motivi, sostanzialmente coincidenti con quelli articolati nel ricorso del codifensore.

4.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 321 cod. proc. pen. e 54, 1161 cod. nav. Dopo aver ripercorso le vicende del tormentato procedimento, che ha visto coinvolti una serie di concessionari, ad avviso della ricorrente il Tribunale avrebbe dovuto verificare la legittimità dell’iter amministrativo che ha portato all’emissione della concessione demaniale per 2.000 mq.  alla luce dello jus superveniens, ossia il Regolamento della Regione Lazio n. 19 del 2016 e il PUA del Comune di Fiumicino in vigore dall’aprile 2018, il che non è avvenuto, anche considerando che il precedente PUA è stato abrogato. In ogni caso, il Tribunale cautelare  avrebbe erroneamente ritenuto l’illegittimità della concessione per carenza di attività istruttoria ai sensi dell’art. 24 reg. esec. cod. nav., senza considerate l’attività amministrativa posta in essere dall’ufficio tecnico del comune di Fiumicino sino dal 2001.

Il Tribunale cautelare, inoltre, avrebbe operato un’errata interpretazione dell’art. 16 della DGR Lazio n. 1161 del 2011, in contrasto con altre decisioni assunte dalla Corte di Cassazione in vicende analoghe (a tal proposito, si riportano ampi stralci della sentenza n. 58006 del 2018, ric. Coletta). Aggiunge la ricorrente che il Tribunale distrettuale non avrebbe tenuto conto delle seguenti circostanze: 1) le decisioni rese dalla Corte di Cassazioni in vicende analoghe; 2) l’ampia istruttoria esperita dall’ufficio tecnico del Comune di Fiumicino prima di emanare la concessione in ampliamento; 3) la buona fede dell’indagata; 4) il fatto che il Comune di Fiumicino ha adottato, il 20 marzo 2018, il nuovo PUA, secondo cui i concessionari vincitori del bando 2002 sono qualificati come “esercizi di ristorazione con 2.000 mq. di estensione in concessione”, eliminando il riferimento ai chioschi. La motivazione inoltre, sarebbe intimamente contraddittoria, laddove, per un verso, ha dichiarato l’illegittimità della concessione in relazione alle aree di cui ai punti 1 e 7 e, per altro verso, ha ritenuto l’occupazione legittima con riguardo alle restanti aree (punti 2, 3, 4, 5 e 6), anche considerando che la tesi difensiva è stata patrocinata dall’ing. Guidi esaminato all’udienza dibattimentale del 21 novembre 2019, e la cui deposizione viene per stralcio allegata al ricorso; prova ne è che in favore della Belmonte il comune di Fiumicino ha rilasciato, in data 20 marzo 2020, un ulteriore atto concessorio per mq. 2.000, pure allegato al ricorso.

 4.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 321 cod. proc. pen. e 157 cod. pen., in quanto, ad avviso della ricorrente, il reato sarebbe in ogni caso prescritto, essendosi la condotta di occupazione interrotta con il sequestro, eseguito il 19 maggio 2014.

5. I difensori dell’indagata hanno depositato, nel termine di legge, una memoria difensiva, con cui deducono l’insussistenza del periculum in mora e del fumus commissi delicti, insistendo per l’accoglimento dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono infondati.

2. Occorre ricapitolare, in via preliminare, le vicende fondamentali del procedimento cautelare, in cui questa Corte è già intervenuta con due decisioni di annullamento.

3. La vicenda trae origine dal decreto di sequestro preventivo delle aree e strutture esistenti in Fiumicino, località Fregene (costituenti l’esercizio balneare denominato “Onda Anomala”), emesso in data 15 maggio 2014 dal G.i.p. del Tribunale di Civitavecchia confronti della Belmonte, indagata per i reati di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav. (capo B), e 181 d.lgs. n. 42 del 2004 (capo C), per avere, quale legale rappresentante della SUNSET s.r.l., occupato con varie opere, per circa 2.670 mq., suolo pubblico facente parte del demanio marittimo senza l’autorizzazione degli enti preposti e senza le autorizzazioni paesaggistiche.

Secondo l’ipotesi accusatoria, l’indagata, già destinataria della concessione demaniale n. 416 del 28 marzo 2003 riguardante un’area di arenile di circa mq. 40, avrebbe abusivamente occupato una zona limitrofa ben più estesa, pari a complessivi mq 2.000, in assenza di titolo concessorio, realizzando su di essa varie opere (superficie di mq. 615 adibita a bar ristorante, gazebo di mq. 24 circa, torretta di avvistamento di mq. 16, zona coperta con manto erboso appoggiato alla sabbia, area pavimentata in legno di mq. 60 per la collocazione di scaffalature e di frigorifero) funzionali allo stabilimento balneare gestito dalla società dalla medesima rappresentata.

4. In accoglimento dell’istanza presentata in data 30 maggio 2014, il G.i.p., con decreto in data 13 giugno 2014, revocava il sequestro, ritenendo legittima l’occupazione del demanio marittimo in quanto effettuata sulla base di convenzione stipulata fra il concessionario e il Comune in data 26 marzo 2007 in attuazione della D.G.R del 12 marzo 2004, in forza della quale i servizi previsti per strutture come quella in esame, eccedenti i mq. 40 assentiti, possono essere oggetto di convenzione, potendo il Comune attribuire al concessionario, per assicurare la completa fruibilità dell’arenile, anche mediante lo strumento della convenzione, l’allestimento e la vigilanza di tutte le strutture pubbliche a gratuita fruizione, indispensabili per la tutela dell’igiene ed incolumità pubblica.

Il G.i.p. richiamava la sentenza del Consiglio di Stato n. 2794/2014 indicata dalla difesa, che, in un caso analogo, relativo ad altro concessionario e con riferimento allo stesso PUA, aveva statuito che la convenzione stipulata fra il concessionario e l’Ente comunale è titolo pienamente sostitutivo della concessione demaniale. Di conseguenza, stante le legittimità della convenzione del 26 marzo 2007 intervenuta fra il comune e la concessionaria, non sussisteva alcuna abusiva occupazione del suolo demaniale, essendosi l’indagata limitata a realizzare opere di pubblico servizio ed interesse.

5. In accoglimento del ricorso promosso dal pubblico ministero avverso l’ordinanza del Tribunale, che aveva rigettato l’appello coltivato in relazione al solo capo B) (artt. 54 e 1161 cod. nav.) e perciò confermato il decreto di dissequestro, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 30179 del 2015, annullava l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame sulla base dei seguenti rilievi.

Il Tribunale aveva ravvisato l’insussistenza del fumus delicti sulla base della sentenza del Consiglio di Stato che aveva ritenuto la legittimità di analoga convezione stipulata fra la stessa amministrazione comunale ed altro soggetto; l’ordinanza impugnata aveva erroneamente posto a fondamento della decisione la sentenza del Consiglio di Stato in quanto la valutazione effettuata dal giudice amministrativo riguardava situazioni che, sebbene analoghe, riguardavano soggetti e circostanze diversi; di conseguenza doveva escludersi la vincolatività del giudicato amministrativo nel presente processo penale.

Quanto, poi, all’elemento soggettivo, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che il fumus delicti è configurabile in presenza di un reato che risulti sussistere in concreto indipendentemente dall’accertamento dei gravi indizi di colpevolezza o dell’elemento soggettivo atteso che la verifica di tali elementi è estranea all’adozione del la misura cautelare.

 6. Il tribunale cautelare, in sede di rinvio, con ordinanza in data 22 gennaio 2016, rigettava l’appello proposto dal pubblico ministero rilevando quanto segue.

Dopo la sentenza di annullamento, in data 26 ottobre 2015 era intervenuta una delibera del Consiglio comunale di Fiumicino con la quale, preso atto della complessa situazione venutasi a creare con l’indicata sentenza del Consiglio di Stato e con la sentenza di annullamento della Corte di Cassazione, si era deciso di dare applicazione al bando del 2002 attraverso il rilascio della necessaria licenza di concessione demaniale marittima in luogo delle convenzioni, estendendo, con nuova concessione, l’occupazione del demanio marittimo dagli attuali mq. 40 a mq. 2.000 relativi alle attrezzature balneari.

Con provvedimento concessorio in data 18 gennaio 2016 il Comune di Fiumicino, in attuazione di detta delibera, aveva perciò ampliato l’originaria concessione demaniale marittima n. 843 rilasciata alla dante causa della società SUNSET, di cui la Belmonte è legale rappresentante, sino a complessivi mq 2.000.

Ad avviso del Tribunale del riesame, alla stregua di tale sopravvenuto provvedimento di ampliamento della originaria concessione, sarebbero venuti meno il requisiti del fumus delicti e del periculum in mora, ragione per la quale deve avere conferma il decreto di revoca del sequestro.

7. In accoglimento del ricorso promosso dal pubblico ministero, la Corte di Cassazione ha nuovamente annullato con rinvio l’ordinanza impugnata.

La Corte di cassazione ha dato atto che, in data 16 gennaio 2016, è stata rilasciata la concessione demaniale marittima n. 843 per un’estensione di mq 1.960 in ampliamento della precedente concessione rilasciata in favore del dante causa della SUNSET s.r.l. (avente ad oggetto una superficie di arenile di mq. 40), dimodochè la superficie totale di spiaggia in concessione è stata portata a mq. 2.000, corrispondente alla fascia di arenile in cui si estende lo stabilimento balneare gestito dalla SUNSET srl, amministrata dalla Belmonte, società subentrata alla precedente società concessionaria società A.R.M.A.

La Cassazione, tuttavia, ha censurato la motivazione del provvedimento impugnato, laddove, facendo riferimento alle previsioni del PUA, ha ritenuto che non emergano dagli atti a disposizione elementi di illegittimità del titolo

Invero, le disposizioni richiamate a tal fine non riguardano il PUA, che prevede il rilascio di concessioni per una superficie di soli mq 60, bensì il bando di concorso indetto per la conclusione di convenzioni fra Comune e privati aventi ad oggetto la gestione dei servizi di prima necessità nelle spiagge libere a fruizione gratuita, non oggetto di concessione a privati, servizi che devono essere assicurati per la salute e l’incolumità dei fruitori dei tratti di spiaggia libera, o direttamente dal Comune o dai privati concessionari della spiagge contermini, mediante apposita convenzione.

Inoltre gli altri atti normativi richiamati (art. 16 DGR Lazio n. 1161/2001 e art. 5 regolamento regionale Lazio n. 11/09) non giustificano il rilascio di concessioni per superficie di mq 2.000 in difformità dal PUA, in quanto riguardano la conclusione di “apposite convenzioni con i titolari di concessioni balneari” per la gestione dei servizi dei tratti di spiaggia liberi.

Tali atti normativi fanno dunque riferimento non alle fasce di litorale oggetto di concessioni rilasciate ai privati, bensì alle spiagge libere a “fruizione gratuita”, cioè non oggetto di concessione a privati, ed attengono ai servizi generali indispensabili elencati nel citato punto 16) della DGR, che devono essere assicurati in tali tratti di arenile, limitati, quanto alle strutture, alla realizzazione di chioschi di limitate dimensioni (non più di 25 mq) all’interno dei quali possono trovare esclusiva collocazione i servizi igienici e di primo soccorso.

La normativa richiamata riguarda in definitiva la stipula fra Comune e privati, già titolari di “concessionari balneari”, di convenzioni aventi ad oggetto l’affidamento a costoro dei servizi di prima necessità nei tratti di spiaggia libera; si tratta di accordi negoziali fra amministrazione comunale e privati aventi ad oggetto le spiagge libere, cd “a fruizione gratuita”, non oggetto di concessione, finalizzati a garantire al pubblico, attraverso l’affidamento della relativa gestione ai privati, un minimo di servizi di prima necessità (cfr Delib. Giunta Regionale n. 1161/2001 Lazio punto 16 paragrafo 1, capo 4).

 “In definitiva, – ha osservato la Corte di Cassazione – le concessioni devono essere rilasciate in conformità alle previsione del PUA; il PUA del Comune di Fiumicino prevede concessioni di tratti di litorale di mq 40 con realizzazione di chioschi bar di limitate dimensioni.

La concessione rilasciata alla SUNSET per mq. 1960 non trova dunque alcun fondamento normativo nel Piano di Utilizzo arenili (PUA) del Comune di Fiumicino e le disposizioni richiamate dai giudici del rinvio non attengono al PUA ma al contenuto del bando di Concorso che regola la conclusione di convenzioni fra Comune e privati, strumenti ben diversi dalla concessione a privati di parti del demanio marittimo, previsti per la gestione dei servizi nei tratti di spiaggia pubblica”.

L’ordinanza veniva perciò annullata con rinvio, dovendo il tribunale operare “una più completa ricostruzione (…) dell’iter amministrativo al fine di verificare la asserita legittimità del provvedimento concessorio sopravvenuto, e, dunque, la sua idoneità a sanare l’irregolarità preesistente connessa all’uso non conforme dello strumento della convenzione per regolare l’attribuzione a privati di tratti del demanio marittimo”.

8. Nell’accogliere, sia pure parzialmente, l’appello del pubblico ministero, il Tribunale cautelare rilevava come la concessione in ampliamento non sia conforme né alle previsioni della DGR n. 1161 del 2001, né al PUA del Comune di Fiumicino all’epoca in vigore, per le motivazioni di cui si dirà appresso.

9. Per dare un ordine logico alla trattazione delle questioni, occorre esaminare l’eccezione di prescrizione del reato, avendo, se accolta, carattere assorbente, dedotta con il secondo motivo di entrambi i ricorsi.

10. La doglianza è manifestamente infondata.

Invero, nel reato permanente di occupazione abusiva di suolo demaniale la condotta antigiuridica, consistente nella acquisizione o nel mantenimento senza titolo del possesso di spazio demaniale in modo corrispondente all’esercizio di un diritto reale di godimento, cessa con il venir meno dell’abusiva occupazione, ossia dell’uso e del godimento illegittimi (Sez. 3, n. 127071 del 29/05/2014 – dep. 23/06/2014, P.G. in c. Diotallevi, Rv. 259306; Sez. 3, n. 16417 del 16/03/2010 – dep. 27/04/2010, Apicella, Rv. 246765).

Nella vicenda in esame, si osserva che i beni devono considerarsi nell’attuale disponibilità dell’indagata, per effetto della revoca del sequestro preventivo disposto dal G.i.p. del Tribunale di Civitavecchia in data 15 maggio 2014, di talché è in atto la condotta di occupazione abusiva.

Tale disponibilità, infatti, non è venuta meno né con l’appello proposto dal pubblico ministero, trattandosi di un’impugnazione che non sospende l’esecuzione del provvedimento, come stabilisce il comma 2, primo periodo, dell’art. 322-bis cod. proc. pen., né con la pronuncia della decisione impugnata.

Invero, l’art. 322-bis, comma 2, secondo periodo, cod. proc. pen. stabilisce che, in relazione all’appello avverso i provvedimenti in materia di misure cautelari reali, ”si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 310”, ossia le disposizioni previste per l’appello avverso i provvedimenti in materia di misure cautelari personali. Ai fini che qui interessano,  rileva il comma 3 dell’art. 310 cod. proc. pen., secondo cui gli effetti della decisione che accoglie l’appello sono sospesi sino a che detta pronuncia diventa definitiva.

Trattandosi di una disposizione che, seppur dettata in materia di misure cautelari personali, non presenta alcun profilo di incompatibilità né logica né giuridica con riferimento alle misure cautelari reali, essa trova applicazione nel caso in esame,  considerando, inoltre, per un verso, che anche il sequestro preventivo attinge beni costituzionalmente protetti, quale il diritto di proprietà, che si esplica mediante la piena disponibilità e il conseguente pieno godimento del bene, e, per altro verso, che la disposizione in parola appare espressione – o comunque collegata – al principio di non colpevolezza, che non soffre accezioni in relazione alle misure cautelari reali.

In ogni caso, anche a voler aderire all’opposto orientamento – secondo cui in tema di misure cautelari reali, è immediatamente esecutiva l’ordinanza emessa a norma dell’art. 322-bis cod. proc. pen. dal tribunale del riesame che, in accoglimento dell’appello del P.M., abbia disposto il sequestro preventivo, in quanto la clausola di compatibilità che regola il rinvio alle disposizioni di cui all’art. 310 cod. proc. pen. esclude l’operatività del terzo comma di tale articolo, ai sensi del quale l’efficacia del provvedimento è differita fino alla definitività dello stesso, trattandosi di previsione riferita esclusivamente alla libertà personale (da ultimo, Sez. 3, n. 11204 del 09/02/2016 – dep. 17/03/2016, P.m. in c. Convertino, Rv. 266371) – la permanenza è cessata il 7 febbraio 2020,  data della pronuncia impugnata, di talchè il termine di prescrizione non risulta affatto decorso.

11. Il primo motivo di entrambi i ricorsi, con cui si sostiene la legittimità dell’intervenuta concessione in ampliamento, è infondato.

12. Va premesso che – diversamente dall’impostazione seguita dalla ricorrente, in particolare con il primo motivo del ricorso a firma dall’avv. Giovanni Cantelli – non rilevano in questa sede gli esiti che, anche di recente, hanno avuto in sede di legittimità ricorsi proposti con riferimento ad analoghi provvedimenti di sequestro effettuati nei confronti di altri concessionari partecipanti al medesimo bando di gara per l’assegnazione degli spazi demaniali dell’arenile di Fiumicino.

I diversi procedimenti – che, come quello qui sub iudice, giungono all’attenzione di questa Corte per la terza volta – hanno seguito, anche per ragioni processuali, percorsi non del tutto coincidenti, sicché sarebbe un errore, tanto in sede di legittimità quanto in sede di giudizio di merito, trattarli in modo identico senza valutare le peculiarità di ciascuno di essi.

13. Un’ulteriore premessa riguarda il perimetro assegnato al giudice del rinvio, avendo la sentenza rescindente chiaramente affermato, per un verso, che le concessioni devono essere rilasciate in conformità alle previsione del PUA del Comune di Fiumicino, che prevede concessioni di tratti di litorale di mq. 40 con realizzazione di chioschi bar di limitate dimensioni; per altro verso, che gli atti normativi richiamati dalla precedente ordinanza del Tribunale cautelare – e a cui fanno ripetutamente riferimento entrambi i ricorsi -, ossia l’art. 16 DGR Lazio n. 1161/2001 e l’art. 5 regolamento regionale Lazio n. 11/09, “non giustificano il rilascio di concessioni per superficie di mq 2.000 in difformità dal PUA”, in quanto riguardano la conclusione di “apposite convenzioni con i titolari di concessioni balneari” per la gestione dei servizi dei tratti di spiaggia liberi.

14. Ciò detto, il Tribunale si è correttamente uniformato all’indagine richiesta dalla sentenza rescindente, avendo puntualmente ripercorso le vicende dell’iter amministrativo al fine di verificare l’asserita legittimità del provvedimento concessorio sopravvenuto, e, dunque, la sua idoneità a sanare l’irregolarità preesistente connessa all’uso non conforme dello strumento della convenzione per regolare l’attribuzione a privati di tratti del demanio marittimo.

15. Il Tribunale distrettuale, in primo luogo, nel solco tracciato dalla sentenza rescindente, ha ribadito che la concessione in ampliamento non possa radicarsi né nella DRG 1161 del 2001, in quanto essa consente il rilascio di nuove concessioni solo nei limiti in cui siano conformi al PUA del Comune, né nel regolamento regionale 15 luglio 2009, n. 11, correttamente osservando che l’unico strumento attraverso cui è possibile gestire i servizi pubblici minimi sulle spiagge libere, anche da parte di concessionari, è quello della concessione.

16. Ciò posto, dove aver ripercorso le vicende amministrative avviate dal Comune di Fiumicino il 22 febbraio del 2002, in cui fu approvato l’atto di indirizzo per il bando di gara per assentimento per l’utilizzo delle aree demaniali marittime a fine turistico-ricreativo, e conclusesi, per quanto qui rileva, con il rilascio, in favore della SUNSET, in data 11 dicembre 2015, di una concessione in ampliamento delle concessioni demaniali da 40 mq. a 2.000 mq. a firma del dirigente Rizzi, il Tribunale cautelare ha rilevato come detta concessione non trovi fondamento né nella DRG 1161/2001, che prevedeva la sola gestione, in convenzione, su un’area demaniale extra concessione e relativa a spiaggia libera con possibilità di piccoli manufatti (non superiore a 25 mq.) su cui installare servizi igienici e di prima necessità; e nemmeno nel PUA allora vigente, tanto che il Comune di Fiumicino, per tale motivo, aveva richiesto una revisione del PUA stesso, che la Regione non aveva autorizzato.

Da ciò il Tribunale cautelare ha logicamente dedotto che la concessione in ampliamento sia illegittima con riferimento alla superficie di 615 mq. adibita a servizio ristorazione (punto 1 del decreto di sequestro) e a quella di 60 mq., concernente la pavimentazione in legno su cui sono posti i frigoriferi (punto 7), perché non conforme né alle previsioni della DRG 1161/2001, né al PUA del comune di Fiumicino allora in vigore.

Per contro, il Tribunale ha ritenuto la legittimità della concessione con riferimento alle aree su cui giacciono le strutture usualmente legate ai servizi connessi alla balneazione (punti 2, 3, 4, 5 e 6 del sequestro), in quanto ricompresi nell’originaria convenzione del 2007 in conformità alle previsioni della DRG 1161 del 2001, laddove, appunto, autorizza i servizi minimi da assicurare sulle spiagge libere.

Diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, non si tratta di una motivazione intimamente illogica e contraddittoria, proprio perché il Tribunale cautelare ha chiarito, in maniera giuridicamente correttamente, che solo le aree destinate ai servizi connessi alla balneazione possono ricondursi all’originaria convenzione del 2007, e non anche quelle destinate ai servizi di ristorazione.

17. Il Tribunale distrettuale ha ravvisato un profilo ulteriore di illegittimità, ossia la violazione dell’art. 24, comma 2, del regolamento di esecuzione del codice della navigazione (secondo cui “qualsiasi variazione nell’estensione della zona concessa o nelle opere o nelle modalità di esercizio deve essere richiesta preventivamente e può essere consentita mediante atto o licenza suppletivi dopo l’espletamento dell’istruttoria”), norma espressamente richiamata nella determinazione dell’11 dicembre 2015, in quanto non era effettuata alcuna attività istruttoria, ciò essendo confermato dal fatto che nemmeno nella determinazione in esame vi è alcun riferimento in tal senso.

Sul punto, le doglianze difensive, secondo cui il Comune di Fiumicino, nel rilasciare la concessione in ampliamento, avrebbe implicitamente compiuto una valutazione in ordine alla realizzazione dei servizi necessari (docce, bagni, pedane, ecc.), sono generiche e assertive e non si confrontano con la motivazione del provvedimento impugnato.

In ogni caso, i profili di illegittimità della concessione in ampliamento censurati dal Tribunale distrettuale non attengono ai servizi connessi alla balneazione, bensì all’area dedicata alla ristorazione e a quanto ad essa funzionale, come l’area su cui erano collocati i frigoriferi.

18. Il Tribunale cautelare, inoltre, ha confutato l’argomentazione difensiva, secondo cui la concessione in ampliamento trarrebbe la propria legittimità nel nuovo PUA adottato dal Comune di Fiumicino, osservando come detto atto non sia in vigore, non essendo stato ancora definitivamente approvato secondo le modalità indicate nella DRG 1161/2001 in riferimento alla previsione dell’accordo di programma di cui all’art. 34 d.lgs. 18 agosto 200, n. 267, e al successivo Decreto del Presidente della Giunta Regionale.

Anche in tal caso, le doglianze difensive sono aspecifiche, non prendendo motivata posizione sul perché, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, il nuovo PUA sia in vigore.

19. Per i motivi indicati, i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Risultando dagli atti che è stato eseguito il dissequestro parziale dei beni, manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. es. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. es. cod. proc. pen.

Così deciso il 21/07/2020.

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