22/09/2020 – L’Adunanza Plenaria sulla fiscalizzazione dell’abuso edilizio: la portata dei “vizi delle procedure”

Sanatoria
L’Adunanza Plenaria sulla fiscalizzazione dell’abuso edilizio: la portata dei “vizi delle procedure”
di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
 
Con la sentenza n. 17 del 7 settembre 2020, l’Adunanza Plenaria ha approfondito l’interpretazione dell’art. 38 del Testo unico edilizia, disposizione che ricalca esattamente quanto innanzi previsto dall’art. 11 della L. n. 47/1985.
La c.d. “fiscalizzazione” dell’abuso edilizio: presupposti e caratteristiche
Ricordiamo che la disposizione citata prevede che in caso di annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale. La valutazione dell’agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa (comma 1). L’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36 (comma 2)”. E’ appena il caso di ricordare che l’articolo da ultimo citato (art. 36 comma 2), com’è noto, disciplina l’accertamento di conformità, e cioè la sanatoria degli interventi abusivi in quanto realizzati fin dall’origine in assenza di titolo, ma conformi alle norme urbanistico edilizie vigenti, sia al tempo della costruzione che al tempo del rilascio del permesso in sanatoria. Nel caso della cosiddetta fiscalizzazione dell’abuso, lo scopo della disposizione è quello di tutelare, al ricorrere di determinati presupposti e condizioni, l’affidamento ingeneratosi in capo al titolare del permesso di costruire circa la legittimità della progettata e compiuta edificazione conseguente al rilascio del titolo, equiparando il pagamento della sanzione pecuniaria al rilascio del permesso in sanatoria. La composizione degli opposti interessi in rilievo – tutela del legittimo affidamento da una parte, tutela del corretto assetto urbanistico ed edilizio dall’altra – è realizzato dal legislatore per il tramite di una “compensazione” monetaria di valore pari “al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite”.
Proprio perché costituente eccezionale deroga al principio di necessaria repressione a mezzo demolizione degli abusi edilizi, la disposizione è presidiata da due condizioni: a) motivata valutazione circa l’impossibilità della rimozione dei vizi delle procedure amministrative; b) motivata valutazione circa l’impossibilità di restituzione in pristino.
Tali condizioni si presentano eterogenee: la prima attiene alla sfera dell’amministrazione e presuppone che l’attività di convalida del provvedimento amministrativo (nel caso concreto, il permesso di costruire), ex art. 21-nonies comma 2, non sia oggettivamente praticabile mediante rimozione del vizio della relativa procedura; la seconda attiene alla sfera del privato e concerne la concreta possibilità di procedere alla restituzione dei luoghi in pristino stato.
La posizione della Giurisprudenza sui “vizi delle procedure”: critica alla posizione estensiva
Quanto al primo aspetto, la giurisprudenza in alcuni casi ha sostenuto che nei “vizi della procedura” possono sussumersi tutti quelli potenzialmente in grado di invalidare il provvedimento, siano essi relativi alla forma e al procedimento, siano essi invece relativi alla conformità del provvedimento finale rispetto alle previsioni edilizie e urbanistiche disciplinati l’edificazione. Secondo questa impostazione, la fiscalizzazione dell’abuso prescinderebbe dalla tipologia del vizio (procedurale o sostanziale), avendo il legislatore affidato l’eccezionale percorribilità della sanatoria pecuniaria alla valutazione discrezionale dell’amministrazione, in esecuzione di un potere che affonda le sue radici e la sua legittimazione nell’esigenza di tutelare l’affidamento del privato. In questo senso, è la “motivata valutazione” fornita dall’amministrazione l’unico elemento sul quale il sindacato del giudice amministrativo dovrebbe concentrarsi.
La posizione della Plenaria: ambito dei “vizi della procedura”
Rispetto a queste premesse, l’Adunanza plenaria n. 17/2020si è dimostrata di diverso avviso. A sostegno, il Supremo Collegio ha argomentato come segue.
La disposizione in commento fa specifico riferimento ai vizi “delle procedure”, avendo così cura di segmentare le cause di invalidità che possano giustificare l’operatività del dispositivo richiamato, in modo da distinguerle più marcatamente dagli altri vizi del provvedimento che, non attenendo al procedimento, involvono profili di compatibilità della costruzione rispetto al quadro programmatorio e regolamentare che disciplina l’an e il quomodo dell’attività edificatoria, e cioè sono configurabili come vizi che impattano sul merito dell’attività amministrativa.
Il riferimento ad un vizio procedurale astrattamente convalidabile delimita operativamente il campo semantico della successiva e connessa proposizione normativa riferita all’impossibilità di rimozione, dovendo per questa intendersi una impossibilità che attiene pur sempre ad un vizio che, sul piano astratto sarebbe suscettibile di convalida, e che per le motivate valutazioni espressamente fatte dall’amministrazione, non risulta esserlo in concreto.
A sostegno di questa lettura si è spinta anche la giurisprudenza costituzionale. Nella sentenza 209/2010 ha avuto modo di chiarire, giudicando della legittimità di una norma di interpretazione autentica di una disposizione provinciale di tenore identico a quella nazionale che qui si discute (interpretazione autentica tesa ad estendere la fiscalizzazione ai vizi sostanziali), che “l’espressione «vizi delle procedure amministrative» non si presta ad una molteplicità di significati, tale da abbracciare i «vizi sostanziali», che esprimono invece un concetto ben distinto da quello di vizi procedurali e non in quest’ultimo potenzialmente contenuto. Conclude la Plenaria affermando che la tutela dell’affidamento attraverso l’eccezionale potere di sanatoria contemplato dall’art. 38 del Testo unico edilizia, non può infatti giungere sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l’inammissibile elusione del principio di programmazione e l’irreversibile compromissione del territorio, ma è piuttosto ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di quanto assentito. Ancora, la Sentenza fa l’esempio dell’annullamento del titolo intervenuto in sede giurisdizionale su istanza di proprietario limitrofo o associazioni rappresentative di interessi diffusi. In tali casi, la tutela dell’affidamento del costruttore, attraverso la fiscalizzazione dell’abuso anche in relazione a vizi sostanziali, di fatto vanificherebbe la tutela del terzo ricorrente, il quale, all’esito di un costoso e defatigante giudizio, si troverebbe privato di qualsivoglia utilità, essendo la sanzione pecuniaria incamerata dall’erario.
In definitiva, i vizi cui fa riferimento l’art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione. Ciò comporta, con riferimento al caso concreto oggetto di disamina da parte della Sezione rimettente, che se i vizi del titolo a suo tempo rilasciato, da cui è derivato l’annullamento in sede giurisdizionale, siano relativi all’insanabile contrasto del provvedimento autorizzativo con le norme di programmazione e regolamentazione urbanistica, occorre escludere l’applicabilità del regime di fiscalizzazione dell’abuso in ragione delle non rimovibilità del vizio.

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