20/09/2019 – Diritto di accesso agli atti degli amministratori locali. Limiti.

Materia
Accesso agli atti
Oggetto
Interrogazione di alcuni consiglieri comunali. Diritto di accesso agli atti degli amministratori locali. Limiti.
Massima
I consiglieri comunali hanno l’incondizionato diritto di accesso a tutti gli atti in possesso dell’Amministrazione che possano essere d’utilità all’espletamento del mandato al fine di permettere loro di valutare – con piena cognizione – la correttezza e l’efficacia dell’operato del Comune, nonché per promuovere, anche nell’ambito del Consiglio comunale, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale. Diverso discorso è invece da farsi relativamente agli atti di indagine penale che rientrano nel segreto istruttorio regolato dall’art. 329 c.p.p. e rispetto ai quali non può esercitarsi l’accesso se non nelle forme consentite dalla partecipazione al procedimento penale cui essi ineriscono.
Funzionario istruttore
BARBARA RIBIS

barbara.ribis@regione.fvg.it

Parere espresso da
Servizio elettorale, Consiglio delle autonomie locali e supporto giuridico agli enti locali
Testo completo del parere
Il Comune chiede di conoscere un parere in merito all’ambito di esercizio dei diritti spettanti ai consiglieri comunali ai sensi dell’articolo 43 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e in particolare, all’istituto dell’interrogazione e del diritto di accesso agli atti. A tal fine riferisce dell’avvenuta presentazione di un’interrogazione da parte di alcuni consiglieri comunali con la quale veniva chiesto al sindaco di riferire sui contenuti di un’indagine giudiziaria in corso che interessa l’amministrazione comunale. Trattandosi di operazioni di indagine sottoposte al segreto d’ufficio l’Ente desidera sapere quali limitazioni sussistano al riguardo anche sotto il profilo dell’eventuale sussistenza del diritto di accesso agli atti spettante agli amministratori locali.

L’articolo 43 del D.Lgs. 267/2000, al comma 1, prevede che i consiglieri comunali abbiano diritto di presentare interrogazioni e mozioni mentre il successivo comma 3 stabilisce che il sindaco o l’assessore da esso delegato risponde, “entro 30 giorni, alle interrogazioni e ad ogni istanza di sindacato ispettivo presentata dai consiglieri. Le modalità della presentazione di tali atti e delle relative risposte sono disciplinate dallo statuto e dal regolamento consiliare”.

Il regolamento dell’Ente disciplina l’istituto delle interrogazioni e delle istanze di sindacato ispettivo all’articolo 34 precisando, al comma 1, che l’interrogazione “è definita come la domanda, singola o collettiva, che i Consiglieri possono rivolgere al Sindaco o alla Giunta, nel rispetto delle singole competenze, per avere notizia sulla veridicità di qualche fatto ed informazione, su eventuali provvedimenti adottati o che si presumono siano da adottare. Non può eccedere i cinque minuti”.

Si tratta di un istituto il cui utilizzo è garantito ai consiglieri comunali al fine di poter esercitare il proprio munus publicum. La facoltà di presentare interrogazioni, interpellanze e ordini del giorno rientra tra le funzioni di sindacato ispettivo attribuite dalla legge agli amministratori locali. Si tratta di istituti finalizzati a garantire la funzione propria del consigliere comunale che è quella di verificare che il sindaco e la giunta esercitino correttamente la loro attività di governo.

Analoga ratio sorregge l’istituto del diritto di accesso spettante agli amministratori locali il quale trova la sua fonte normativa di riferimento nell’articolo 43, comma 2, TUEL il quale recita: “I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”.

La giurisprudenza ha, infatti, costantemente sottolineato che le informazioni acquisibili devono considerare l’esercizio, in tutte le sue potenziali esplicazioni, del munus di cui ciascun consigliere comunale è individualmente investito, in quanto membro del consiglio. Ne deriva che tale munus comprende la possibilità per ogni consigliere di compiere, attraverso la visione dei provvedimenti adottati e l’acquisizione di informazioni, una compiuta valutazione della correttezza e dell’efficacia dell’operato dell’amministrazione comunale, utile non solo per poter esprimere un voto maggiormente consapevole sugli affari di competenza del consiglio, ma anche per promuovere, nell’ambito del consiglio stesso, le varie iniziative consentite dall’ordinamento ai membri di quel collegio[1].

Premesso quanto sopra necessita ora soffermarsi sui limiti cui soggiacciono i diritti di cui sopra e, in particolare, per ciò che rileva in questa sede, sull’obbligo al segreto istruttorio che impedisce l’ostensione dei documenti coperti dal segreto e, in parallelo, altresì, la diffusione di ogni informazione concernente le indagini giudiziarie in corso e per le quali sussiste l’obbligo alla segretezza.

Come affermato dalla dottrina[2] «la giurisprudenza ha chiarito che l’innovazione legislativa introdotta con il T.U.E.L. non poteva travolgere le diverse ipotesi di segreto previste dall’ordinamento, anche in presenza di documenti formati o detenuti dall’amministrazione.

L’esistenza di ipotesi speciali di segreto è stata esplicitata dall’art. 24, comma 1, lett. a) della legge 241/1990 che esclude il diritto di accesso “(…) nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge (…)”, riferendosi a casi in cui l’esigenza di segretezza è volta alla protezione di “interessi di natura e consistenza diversa da quelli genericamente amministrativi”[3].

Si è così affermato che il diritto non è esercitabile nei confronti di alcuni tipi di atti […] da ritenersi segreti e non sufficientemente protetti dal semplice obbligo di non divulgazione delle notizie ivi riportate.[4]

Se così non fosse, l’accesso del consigliere ai documenti coperti da segreto “assumerebbe una portata oggettiva più ampia di quella riconosciuta ai cittadini ed ai titolari di posizioni giuridiche differenziate (pure comprensive di situazioni protette a livello costituzionale)”[5].

Le esigenze connesse all’espletamento del mandato non potrebbero, pertanto, autorizzare un privilegio incondizionato a scapito di altri soggetti interessati e a sacrificio degli interessi tutelati dalla normativa sul segreto».

Tra i casi di segreto previsti dall’ordinamento a preclusione del diritto di accesso rientra quello istruttorio in sede penale, delineato dall’art. 329 c.p.p. a tenore del quale “Gli atti d’indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria, le richieste del pubblico ministero di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tali richieste sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari”[6].

In questo senso si è espressa la giurisprudenza la quale ha affermato che: “I consiglieri hanno l’incondizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d’utilità all’espletamento del loro mandato, al fine di permettere loro di valutare – con piena cognizione – la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, nonché per promuovere, anche nell’ambito del Consiglio comunale, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale. […] diverso discorso è invece da farsi relativamente agli ulteriori atti di indagine penale, eventualmente delegata, che rientrano nel segreto istruttorio regolato dall’art. 329 c.p.p. e rispetto ai quali non può esercitarsi l’accesso se non nelle forme consentite dalla partecipazione al procedimento penale cui essi ineriscono”[7].

Nello stesso senso si è espresso anche il Ministero dell’Interno[8] il quale, nel fare proprie due pronunce del Consiglio di Stato[9] ha osservato che: «L’Alto Consesso ha ritenuto che la posizione dei consiglieri comunali non possa essere talmente privilegiata da consentire loro l’accesso a tutti i documenti, anche segreti, dell’amministrazione, assumendo solo l’obbligo di non divulgare le relative notizie. […] Se ne deduce, così, che il diritto di accesso del consigliere comunale, da esercitarsi riguardo ai dati effettivamente utili all’esercizio del mandato ed ai soli fini di questo, deve essere coordinato con altre norme vigenti, come quelle che tutelano il segreto delle indagini penali o la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni […]».

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[1] Si veda, tra le altre, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 29 agosto 2011, n. 4829.

[2] R. Cicatelli, “Il diritto di accesso del consigliere comunale agli atti della magistratura della Corte dei Conti. Nota alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 2 gennaio 2019, n. 12”, in “Il Piemonte delle Autonomie”, 2019.

[3] Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 2 aprile 2001, n. 1893.

[4] Si riportano le parole del Consiglio di Stato espresse nella sentenza 1893/2001: “Con riguardo alla posizione specifica dei consiglieri comunali, occorre chiarire la portata della espressione normativa “essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge” (articolo 43, comma 2 del T.U. 18 agosto 2000 n. 267). La norma, per la sua collocazione sistematica e per il suo significato letterale, intende ribadire la regola secondo cui, lecitamente acquisite e le informazioni e le notizie utili all’espletamento del mandato, il consigliere, di regola, è autorizzato a divulgarle. Un divieto di comunicazione a terzi deve derivare da apposita disposizione normativa.

In tale prospettiva si spiega, coerentemente, il rapporto tra la disciplina sulla protezione dei dati personali e la pretesa all’accesso del consigliere comunale. Questi è legittimato ad acquisire le notizie ed i documenti concernenti dati personali, anche sensibili, poiché, di norma, tale attività costituisce “trattamento” autorizzato da specifica disposizione legislativa (legge n. 675/1996; decreto legislativo n. 135/1999), secondo le regole integrative fissate dalle determinazioni ed autorizzazioni generali del Garante e dagli atti organizzativi delle singole amministrazioni.

Ma il consigliere comunale non può comunicare a terzi i dati personali (in particolare quelli sensibili) se non ricorrono le condizioni indicate dalla normativa in materia di tutela della riservatezza.

Questi principi sono alla base della decisione n. 940/2000 della Sezione, la quale ammette l’accesso del consigliere comunale anche nei casi in cui esso incide sulla riservatezza dei terzi, senza affrontare la diversa questione dell’accesso ai documenti coperti dal segreto, per la tutela di diversi interessi.

Non è plausibile, invece, la tesi secondo cui il consigliere comunale, in tale veste, potrebbe accedere a tutti i documenti, anche segreti, dell’amministrazione, assumendo solo l’obbligo di non divulgare le relative notizie.

In tal modo, l’accesso ai documenti del consigliere comunale, ritenuto prevalente anche sul segreto professionale, assumerebbe una portata oggettiva più ampia di quella riconosciuta ai cittadini ed ai titolari di posizioni giuridiche differenziate (pure comprensive di situazioni protette a livello costituzionale). Il mandato politico-amministrativo affidato al consigliere esprime certamente il principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività, ma, nell’attuale contesto normativo, non può autorizzare un privilegio così marcato, a scapito degli altri soggetti interessati alla conoscenza dei documenti amministrativi e con sacrificio degli interessi tutelati dalla normativa sul segreto.”

[5] Consiglio di Stato, sentenza n. 1893/2001, citata in nota 3.

[6] Per completezza espositiva si segnala che il testo dell’articolo come sopra riportato è stato così modificato dal decreto legislativo 29 dicembre 2017, n. 216, il quale all’articolo 2, comma 1, lett. f) ha inserito all’articolo 329, comma 1, dopo le parole: «e dalla polizia giudiziaria» le seguenti: «, le richieste del pubblico ministero di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tali richieste». Il successivo articolo 9, al comma 1 (così modificato dall’art. 2, comma 1, del D.L. 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2018, n. 108, dall’art. 1, comma 1139, lett. a), n. 1), della legge 30 dicembre 2018, n. 145, a decorrere dal 1° gennaio 2019, e, successivamente, dall’art. 9, comma 2, lett. a), D.L. 14 giugno 2019, n. 53) ha, peraltro, stabilito che la disposizione di cui all’articolo 2 si applica alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il 31 dicembre 2019.

[7] T.A.R. Trento, sez. I, sentenza del 7 maggio 2009, n. 143. Nello stesso senso si veda Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza del 28 ottobre 2016, n. 4537; T.A.R. Sicilia, Catania, sentenza del 25 luglio 2017, n. 1943; T.A.R. Potenza, sentenza del 14 dicembre 2005, n. 1028.

[8] Ministero dell’Interno, parere del 13 febbraio 2004.

[9] Rispettivamente Consiglio di Stato, sentenza 1893/2001, già citata in nota 3, e Consiglio di Stato, sentenza del 26 settembre 2000, n. 5105.

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