18/12/2018 – Concorso di vincoli paesaggistici e condizioni per la sanatoria edilizia

Concorso di vincoli paesaggistici e condizioni per la sanatoria edilizia

di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale

Un Comune ha negato l’istanza per ottenere la sanatoria edilizia relativamente ad un intervento consistente nella chiusura di una veranda adibita ad attività commerciale, con aumento di superficie di 63 mq. e di volume per circa 200 mc. Secondo, l’amministrazione, tali opere non sono sanabili in quanto realizzate su immobili soggetti a vincoli paesaggistici imposti da leggi statali.

Il giudizio davanti al T.A.R.

Al diniego è seguita l’impugnativa davanti al T.A.R., che dopo aver disposto la verificazione per quanto riguarda i profili urbanistici e vincolistici prospettati dal Comune, ha accolto il ricorso e annullato il provvedimento negativo del Comune.

Il diniego opposto dal Comune è stato motivato in forza del richiamo all’art. 32L. n. 326 del 2003, in base alla quale le opere abusive non sono suscettibili di sanatoria, qualora siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti da leggi statali e regionali, trattandosi, nella fattispecie in oggetto, di manufatti che si risolvono in un vero e proprio aumento di volumetria in zona vincolata su area soggetta a vincolo di P.T.P.R. Va ricordato che non è oggetto di contestazione né la tipologia dell’abuso oggetto di condono edilizio, né che l’area su cui sorge il manufatto è Zona B di PRG, in quanto tale rientrante nel centro abitato sia al 1985 sia alla data odierna né tantomeno la presenza di due diversi vincoli (di cui al D.M. 21 ottobre 1954 e all’art. 142D.Lgs. n. 42 del 2004) gravanti sull’area in questione. Si è trattato piuttosto di dirimere la controversia rispetto all’operatività del vincolo, che per l’amministrazione sarebbe anche operativo, mentre per il privato solo teorico. Secondo la ricorrente in primo grado, destinataria del diniego, l’intervento oggetto di condono sarebbe sottratto al vincolo c.d. “diffuso”, inerente la fascia costiera (300 mt dal mare) e stabilito dal primo comma dell’art. 142D.Lgs. n. 42 del 2004, in ragione delle previsioni derogatorie contenute al secondo comma del medesimo art. 142, che escludono espressamente il predetto vincolo per le aree ricadenti, come quella in esame, in Zona B (centro abitato) già alla data del 6 settembre 1985. Anche il diverso vincolo “specifico” di cui al decreto ministeriale del 21 ottobre 1954 sarebbe inapplicabile, dal momento che è lo stesso decreto ministeriale a sancirne l’inoperatività nelle aree ricadenti nelle Zone A e B (come quella in esame) del territorio comunale. A queste conclusioni è giunto pure il verificatore nominato nel corso del giudizio di primo grado. In definitiva, per la ricorrente in primo grado, anche a voler ammettere l’operatività dei vincoli, si tratterebbe di vincolo di inedificabilità relativa e non assoluta.

L’amministrazione resistente, poi appellante davanti al Consiglio di Stato, ha obiettato che il vincolo di notevole interesse pubblico di cui al D.M. 21 ottobre 1954 continuerebbe a trovare applicazione anche in concreto, perché introdotto prima della realizzazione dell’abuso, recepito dal PTPR e non escluso da alcuna zona del piano regolatore generale.

Ma il Tribunale non ha accolto questa impostazione. Facendo leva sulla natura meramente ricognitiva delle previsioni contenute nel PTPR, ha dedotto che sia avvenuto un sostanziale recepimento di vincoli già esistenti, pertanto è il regime giuridico dei vincoli stessi che bisogna richiamare.

Per quanto riguarda il vincolo relativo al decreto ministeriale del 1954, la sottrazione al relativo regime di tutela per le aree ricadenti nelle zone A e B del territorio comunale deriva dalle previsioni dello stesso decreto per come successivamente integrato e rettificato nel 1985.

L’appello al Consiglio di Stato: coesistenza di vincoli

Incassato il rigetto del ricorso, l’amministrazione comunale ha proposto appello al Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 6991 del 11 dicembre 2018 lo ha accolto. Assodati come pacifici sia la tipologia dell’abuso, sia l’inquadramento dell’area su cui insiste il manufatto come Zona B di PRG, sia la presenza di due diversi vincoli, ai sensi del D.M. 21 ottobre 1954 e del D.Lgs. n. 42 del 2004 art. 142, l’oggetto della controversia si può sintetizzare come segue. Secondo il privato, l’intervento oggetto di condono sarebbe sottratto al vincolo c.d. “diffuso”, inerente la fascia costiera (300 mt dal mare), sancito dal primo comma dell’art. 142D.Lgs. n. 42 del 2004, in ragione delle previsioni derogatorie contenute nel secondo comma del medesimo art. 142 che escludono espressamente il predetto vincolo per le aree ricadenti, come quella in esame, in Zona B (centro abitato) già alla data del 6 settembre 1985. Sempre secondo il privato ricorrente in primo grado, non può essere opposta neppure l’applicazione del diverso vincolo “specifico”, di cui al D.M. 21 ottobre 1954, in quanto è lo stesso decreto, successivamente modificato, a stabilire la propria l’inoperatività nelle aree ricadenti nelle Zone A e B del territorio comunale.

In senso contrario, l’amministrazione resistente sostiene che continuerebbe a trovare applicazione il vincolo di “notevole interesse pubblico” di cui al D.M. 21 ottobre 1954, introdotto prima della realizzazione dell’abuso e recepito dalle N.T.A. del P.T.P.R., il quale non esclude dalla sua applicazione alcuna zona di piano regolatore generale.

Il Collegio d’appello ha ritenuto condivisibile la tesi del Comune.

A sostegno, la sentenza ha sviluppato il seguente ragionamento. Partendo dal presupposto che sull’area insistono due diverse tipologie di vincolo, è il Codice del paesaggio che disciplina la distinzione tra essi. Esistono, da un lato, vincoli inerenti immobili ed aree sottoposti a vincolo paesaggistico tramite la dichiarazione di notevole interesse pubblico con provvedimento dell’amministrazione competente, e, dall’altro, aree tutelate per legge di cui all’art. 142 il quale individua ex lege tra i beni paesaggistici i “territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare”. Ove incidenti sulla stessa area, i vincoli paesaggistici derivanti da provvedimento specifico possono coesistere con quelli “diffusi” previsti ex lege. Sostiene il Collegio che l’area interessata dalla controversia è sottratta dal regime vincolistico di tipo “diffuso” in forza del secondo comma dell’art. 142 Codice del paesaggio, trattandosi di area classificata come zona B alla data del 6 settembre 1985. A differenza del giudice di primo grado, il Consiglio di Stato ha però ritenuto che quanto al vincolo derivate da provvedimento specifico, il legislatore non ha esteso l’esclusione relativa alle zone omogenee A e B al settembre 1985. Se è vero che sono intervenute modifiche normative nei confronti del decreto ministeriale del 1954, le stesse non hanno inciso in alcun modo sulla sottoposizione della fascia interessata al regime di tutela paesaggistica.

Il Collegio smentisce anche che l’amministrazione abbia negato la sanatoria sul presupposto dell’esistenza di un vincolo assoluto e non relativo. In realtà, il diniego si è fondato sulla constatazione che le opere realizzate si risolvono in un vero e proprio aumento di volumetria in zona vincolata, al di fuori delle ipotesi ammesse al condono dalla legge.

Condizioni per la sanatoria su aree vincolate

Dall’evoluzione giurisprudenziale, è emerso che sono sanabili le opere abusive realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli (tra cui quello ambientale e paesistico) purché ricorrano congiuntamente determinate condizioni:

– opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo;

– opere di minore rilevanza, come restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria, senza quindi aumento di superficie;

– esistenza di previo parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo.

Su questi presupposti, l’amministrazione ha negato la sanatoria in quanto la norma dell’art. 32D.L. n. 269 del 2003 non consente di condonare gli abusi maggiori (nuove costruzioni o ristrutturazioni edilizie) qualora siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali o regionali, senza richiedere espressamente che i suddetti vincoli siano di inedificabilità assoluta. L’abuso in contestazione, per le sue dimensioni ‒ comportanti un aumento di superficie utile pari a mq. 63,00, per conseguente aumento di volumetria pari a mq 200 circa ‒ non poteva certo essere assimilato ad un intervento “minore”.

Cons. di Stato, Sez. VI, 11 dicembre 2018, n. 6991

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