17/03/2020 – Poesie in bottiglia ai tempi del coronavirus

Poesie in bottiglia ai tempi del coronavirus

Ai tempi del coronavirus chi o cosa può distoglierci dal panico, dai timori per il futuro o semplicemente dai virologi da tastiera? Poco o niente, tutto diventa secondario o inutile agli occhi di chi vede minacciati salute, famiglia e lavoro. Allora nel buttar giù queste quattro riflessioni, e mai come in queste ore (ho appreso da poco della scomparsa dell’amico prima che collega Mario De Fusco, causata dal medesimo killer) l’espressione appare calzante, ricorrerò ad un gioco. Immaginerò di scrivere un messaggio poetico e di affidarlo ad una bottiglia, gettata nell’Oglio (ndr, nonostante il fiume sia meno romantico del mare, è importante muoversi in uno scenario padano), sperando che la stessa arrivi ad un destinatario. Perché a qualcuno arriva di sicuro, ancor prima dei milioni di baggianate delle influencers condannati alle discariche virtuali. Perché la poesia è potente, “non c’è morte possibile per la poesia” e c’è da crederci se ce lo dice Eugenio Montale, premio Nobel per la letteratura nel 1975. Non c’è morte possibile per la poesia, e tanto più per l’umanità, per la nostra meravigliosa Italia, per la Lombardia, per Brescia (..Brescia la forte, Brescia la ferrea, / Brescia leonessa dItalia /…, lo certifica Giosuè Carducci), alle corde ma orgogliose e caparbie contro l’invasione dell’ultimo nemico. Che sarà sconfitto come tutti gli altri che l’hanno preceduto. Apparirò anche consolatorio e immaginìfico, ma ci aiuterà anche la poesia per uscirne, con il corredo necessario di eroici medici ed infermieri nonchè dei vaccini in gestazione. Perché ogni uomo è poesia e perché non a caso è diventato “sapiens” per la sua capacità di astrazione.

 

“… Al mond el som, se ‘ngrasa mia

coi panadì ‘mbuticc de poesia,

l’è surda oramai   töta la zènt

quan parla el cör

la fa aparì de sènter niènt.

Le rime po’…le fa scapà  de   rider..”

 

La tenerezza dei versi di Angelo Canossi, il poeta della brescianità, ci fa capire che non è un’impresa facile convincere la gente, sorda alla voce del cuore. Eppure la sua opera (è morto a Brescia il 9 ottobre 1943) gli è sopravvissuta e continua a lasciare un segno. “Perché la poesia non è di chi la scrive, ma di chi gli serve”  diceva Massimo Troisi a Neruda nel film “Il postino”. E a noi serve, ora ancora di più.

“…La vita balla sui vetri

nelle notti di tempesta

sbatte insensata sul dolore

spezza le gambe ai vecchi

nelle strade,

spacca le coltri ghiacciate,

il sigillo al tempo, danza

nell’urlo senza pianto”

I versi della foggiana Antonella Corna, nella loro forza drammatica ed a testimonianza del percorso comune di poesia e tragedia nella storia dell’umanità, ci vengono incontro perché ci restituiscono la “vittoria delle tenebre sulla luce, con tutto il doloroso bagaglio di sofferenza e morte”…e il segno del  “passaggio ad un graduale e felice ritorno alla luminosità, alla speranza”, recita il prologo della raccolta, Cadrà l’inverno, edita da Raffaelli. E scrive proprio di noi,

“crune sottili

e senza voce

asole assetate di luce

dove il pensiero s’ infila

quasi gemendo”.

 

Silvio Masullo

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