16/11/2016 – Conti in rosso e bilanci in perdita, cala la scure della Corte dei Conti sulle partecipate della Regione Calabria

Conti in rosso e bilanci in perdita, cala la scure della Corte dei Conti sulle partecipate della Regione Calabria
di Michele Nico – Dirigente amministrativo di ente locale

 

In sede di giudizio sul rendiconto generale della Regione Calabria per l’esercizio finanziario 2015 la Corte dei Conti emette una decisione di parifica sulla base di una relazione contenente numerosi rilievi in ordine alla gestione dell’ente, specie per quanto riguarda i conti in rosso e i costi fuori controllo delle partecipate, che formano oggetto di una dura requisitoria da parte dei giudici contabili.

Con l’accurata analisi approvata dalla Delib. n. 94/2016/PARI del 14 ottobre 2016 la Sezione di controllo per la Calabria non esita a rilevare che “la Regione risulta gravemente inadempiente nell’esercizio dei propri poteri/doveri di socio pubblico delle società da essa partecipate”, mettendo in atto una condotta inadeguata la cui “violazione risulta tanto più grave se si consideri che la Regione ha lasciato pressoché inattuate le numerose leggi regionali in materia di riduzione degli oneri delle società partecipate e degli organismi strumentali”.

Una valutazione così negativa dell’operato regionale deriva, in particolare, dall’inosservanza dall’art. 1, comma 2L.R. n. 11 del 2015, che prevede l’obbligo per il socio pubblico di dettare linee d’indirizzo per ciascuna società al fine di ridurre i costi gestionali entro un range che va da un limite minimo del 10% a uno massimo del 30%.

Il panorama degli organismi partecipati o vigilati dalla Regione denota, al contrario, una lievitazione dei costi di funzionamento che trova il suo picco nell’Aterp di Vibo Valentia, con un aumento della spesa pari al 56,76 %, seguita dall’Aterp di Cosenza (+44,64%), dall’Ardis (+13,17), per poi terminare con l’Aterp di Reggio Calabria (+7,78) e l’Arsac (+1,63).

L’ente territoriale tenta di giustificare il mancato obiettivo con le “esigue e tardive risposte” da parte degli organismi strumentali che avrebbero impedito al socio pubblico di formulare delle riduzioni “personalizzate”, ma una siffatta spiegazione non convince i giudici, che evidenziano gli effetti perniciosi della carenza di controlli sulla gestione delle partecipate.

A questo riguardo la relazione della magistratura contabile rileva un incremento della spesa per il personale rispetto all’anno 2014 e punta il dito sulla mancata pubblicazione dei compensi agli amministratori e agli organi di controllo delle partecipate, facendo emergere “un quadro problematico” per lo più caratterizzato da risultati di esercizio negativi.

La Delib. n. 94/2016/PARI conferma il fatto che, nel novellato quadro dei rapporti tra ente locale e partecipate, il socio pubblico si ritrova gravato da incombenze e compiti di controllo suscettibili di ingenerare forme inedite di responsabilità per danno erariale, specie in presenza di una vigilanza non adeguata sugli organismi strumentali in perdita.

Le responsabilità del socio pubblico nel vigente quadro normativo

E’ noto che le maggiori responsabilità amministrative a carico del socio pubblico derivano, allo stato attuale delle cose, dalla stretta dei controlli sulle società partecipate secondo le regole istituite dall’art. 3, D.L. n. 174 del 2012, convertito in L. 7 dicembre 2012, n. 213.

A seguito di quest’ultimo intervento, infatti, è stato introdotto il sub-sistema di controlli sulle società partecipate di cui all’art. 147-quater del TUEL, che si connota per un’estensione graduale del relativo perimetro di applicazione, stabilendo che dapprima l’obbligo dei nuovi controlli gravi soltanto sugli Enti locali con popolazione superiore ai 100 mila abitanti, e vincoli poi dall’anno 2014 gli Enti al di sopra dei 50 mila abitanti, nonché dal 1° gennaio 2015 gli Enti sopra i 15 mila abitanti.

Tale orizzonte normativo esige un’accurata azione di monitoraggio sull’andamento delle partecipate, nonché l’adozione di rimedi correttivi per contrastare eventuali perdite o inefficienze gestionali.

Se infatti accade che l’organismo partecipato chiuda l’esercizio con il bilancio in rosso, scatta in tal caso il dovere dell’Ente di avviare idonei processi di riorganizzazione per l’esigenza indeclinabile di informare l’azione amministrativa ai principi di sana gestione economica, dando corso all’impiego delle risorse pubbliche in maniera tale da garantire la puntuale remunerazione del capitale investito.

Ne consegue, con tutta evidenza, che l’impiego dello strumento societario da parte della Pubblica amministrazione comporta l’esercizio di funzioni assai delicate, che non solo presuppongono, ma per taluni aspetti oltrepassano i normali compiti del socio privato previsti dal capo V del codice civile.

In tale contesto, il fatto stesso di trascurare i segnali di possibili irregolarità nella gestione di una partecipata può dare luogo a un comportamento negligente caratterizzato da colpa grave e suscettibile di ingenerare una ipotesi di responsabilità per danno erariale.

Non c’è dubbio, infatti, che all’ente locale compete il dovere di espletare al meglio le proprie funzioni istituzionali, operando con le opportune cautele, non solo nella gestione diretta della res publica, ma anche rispetto all’onere della vigilanza sulle società controllate.

Questo principio di carattere generale si è affermato ormai da tempo, ossia in concomitanza all’avvio del fenomeno di esternalizzazione di servizi mediante il ricorso allo strumento societario, a seguito della L. n. 142 del 1990 e della L. n. 127 del 1997.

Ci si riferisce, nello specifico, alla decisione della Corte dei conti, sez. Lazio, in data 10 settembre 1999, con cui il Sindaco del Comune di Tivoli, socio unico di “Acque Albule S.p.A.”, venne condannato per il mancato esercizio dell’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori della società resisi responsabili di comportamenti illegittimi ed illeciti, nonché della violazione delle corrette regole di gestione (efficienza, economicità ed efficacia), cui deve uniformarsi l’azione di qualsiasi amministrazione pubblica o privata.

L’obiettivo della Corte, in tale occasione, era quello di affermare la responsabilità del Sindaco del Comune socio, che avrebbe dovuto verificare l’andamento della gestione della società, esercitando, all’occorrenza, i propri poteri dell’azionista di controllo.

Il principio enucleato dalla sentenza è che, in relazione alle società costituite dagli enti locali, la decisione di promuovere l’azione per danni nei confronti degli amministratori responsabili di irregolarità di gestione dannose non è discrezionale – rimessa cioè al libero apprezzamento di chi rappresenta l’ente nell’assemblea dei soci – ma costituisce un preciso dovere giuridico, connesso alla natura pubblica delle risorse investite nella società.

In altre parole, l’amministratore pubblico non solo ha il dovere di vigilare sull’andamento della gestione di tali società, indirizzandole verso i fini pubblici, ma deve obbligatoriamente avviare l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori sociali quando questi, a causa di condotte negligenti, causano danni che finiscono per ripercuotersi sull’ente locale e quindi sulla collettività.

Se il politico non si comporta in tal modo, e lascia prescrivere l’azione di responsabilità, risponde in proprio dei danni arrecati dagli amministratori negligenti.

Sotto questo profilo è ben vero che l’esercizio del controllo come funzione derivata dal possesso azionario si scontra talora con la difficoltà dell’ente locale di acquisire tutte le informazioni sulla partecipata per poterla valutare.

E’ tuttavia altrettanto vero che l’analisi di bilancio, da un lato, e la disamina dell’ordinario flusso di informazioni, dall’altro, possono già fornire elementi di valutazione sufficienti per fare ricorso, all’occorrenza, ai possibili rimedi approntati dall’ordinamento, ed in particolare:

a) denuncia al collegio sindacale di fatti ritenuti censurabili (art. 2408 c.c.);

b) denuncia al tribunale di gravi irregolarità (art. 2409 c.c.);

c) azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (art. 2393 c.c.).

Il danno erariale per mancata vigilanza sancito dal D.Lgs. n. 175 del 2016

Ritornando ora, alla luce delle considerazioni svolte, alla delibera in commento, si osserva che il severo apprezzamento della Sezione Calabria in ordine all’operato della Regione in qualità di socio pubblico non trova riscontro soltanto negli orientamenti della giurisprudenza, ma anche nelle novità normative introdotte in materia dal D.Lgs. n. 175 del 2016, recante il testo unico delle società a partecipazione pubblica.

In base all’art. 12, comma 2, di tale decreto “costituisce danno erariale il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell’esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione”.

Di qui l’importanza per la Pa di non sottovalutare gli adempimenti prescritti, con l’esigenza di mettere in campo tutte le risorse umane e strumentali necessarie per fare fronte ai compiti e alle responsabilità dell’ente locale, nella veste di socio pubblico.

Corte dei Conti-Calabria, Sez. contr., Delib., 14 ottobre 2016, n. 94/2016/PARI

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