15/05/2020 – Davvero compatibile con il diritto unionale la soglia del 40% al subappalto?

Davvero compatibile con il diritto unionale la soglia del 40% al subappalto?
di Domenico Irollo – Commercialista/revisore contabile/pubblicista
 
L’innalzamento dal 30 al 40% del limite quantitativo al subappalto di pubbliche commesse, contemplato in sede di conversione del D.L. “Slocca-Cantieri” (D.L. n. 32/2019), è sufficiente a superare le censure di incompatibilità con le norme eurounitarie di riferimento formulate da ultimo dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE con riguardo alla disciplina italiana in materia. Ne è convinto il TAR Lazio, giusta sentenza n. 4183/2020 in commento.
Al riguardo, giova ripercorrere le più recenti vicende che hanno interessato le soglie al subappalto, ininterrottamente contemplate dall’ordinamento giuridico nazionale sin dal 1990 (L. n. 55/1990) e tuttora previste nel vigente Codice dei contratti pubblici, sub art. 105D.Lgs. n. 50/2016, allo scopo essenzialmente di prevenire il fenomeno dell’infiltrazione delle associazioni criminali nel sistema degli appalti pubblici e di tutelare così l’ordine pubblico. Nello specifico, rilevano i commi 2 e 5 di detto art. 105, in virtù dei quali si impone appunto che nel settore degli appalti pubblici il subappalto non possa superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture (in particolare, il comma 5 estende il divieto alle opere super specialistiche – in gergo “s.i.o.s.” – di cui all’art. 89, comma 11, stesso CCP, nella quale ipotesi il subappalto non può in nessun caso superare il 30% del valore delle “opere” e non del contratto, per cui non è computato ai fini del raggiungimento del limite generale previsto per quest’ultimo).
I dubbi a proposito della conciliabilità con il diritto unionale di siffatte disposizioni si sono materializzati in prima battuta nella lettera di “costituzione in mora” del 24 gennaio 2019 indirizzata ex art. 258 TFUE alle Autorità di Governo nostrane, nell’ambito della procedura di infrazione 2018-2273, con la quale la Commissione Europea ha, tra l’altro, rilevato che nelle Direttive 2014/23/UE2014/24/UE e 2014/25/UE (rispettivamente relative alle concessioni, agli appalti e alle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali), non vi sarebbero norme che consentono un tale limite obbligatorio all’importo dei contratti pubblici che può essere subappaltato (sull’intero contenuto della missiva della Commissione Europea si rinvia al contributo dello scrivente: La Commissione Europea mette nel mirino il Codice degli appalti italiano). Al contrario, le Direttive citate si basano sul principio secondo cui occorre favorire una maggiore partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici, e il subappalto è proprio uno dei modi in cui tale obiettivo può essere raggiunto. Conformemente a tale approccio, l’art. 63, paragrafo 2, della Direttiva 2014/24/UE consentirebbe alle amministrazioni aggiudicatrici di limitare il diritto degli offerenti di ricorrere al subappalto, ma solo ove la cennata restrizione sia giustificata dalla particolare natura delle prestazioni da svolgere, dal settore economico interessato dall’appalto o dall’identità dei subappaltatori, sulla scorta dunque di una valutazione da effettuarsi necessariamente caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore. La stessa impostazione si ritrova nell’art. 79, paragrafo 3, della Direttiva 2014/25/UE (e nel considerando 87 di tale direttiva). Analogamente, dall’art. 38, paragrafo 2, della Direttiva 2014/23/UE risulta che gli offerenti devono avere la possibilità, in linea di principio, di ricorrere a subappaltatori nell’esecuzione dei contratti. Parallelamente, il considerando 63 della stessa Direttiva chiarisce ancora una volta che uno degli obiettivi di questa previsione è quello di facilitare la partecipazione delle PMI.
A conforto delle proprie tesi, la Commissione aveva evocato la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE ed in particolare, la sentenza in data 14 luglio 2016, Wrocław – Miasto na prawach powiatu, in causa C-406/14 (ECLI:EU:C:2016:562), in cui i Giudici europei avevano già avuto modo di chiarire che una clausola che impone limitazioni al ricorso a subappaltatori per una parte dell’appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale delle prestazioni di cui si tratta, è incompatibile con la previgenti Direttive contratti pubblici del 2004.
La persistente validità di queste conclusioni, e dunque l’inammissibilità, anche nella costanza della vigenza delle nuove Direttive del 2014 su richiamate, di restrizioni quantitative al subappalto fissate a priori in una determinata percentuale dell’appalto, è stata da ultimo confermata dai Giudici di Lussemburgo con la pronuncia del 26 settembre 2019, Vitali, in causa C-63/18 (ECLI:EU:C:2019:787), che ha investito proprio la disciplina del subappalto recata dal CCP italiano, a seguito di rinvio pregiudiziale del .T.A.R. Lombardia, Milano, giusta ordinanza n. 148/2018 (nello stesso senso si veda pure la successiva sentenza 27 novembre 2019, Tedeschi e Consorzio Stabile Istant Service, in causa C-402/18, ECLI:EU:C:2019:1023, emessa in esito a rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato, giusta ordinanza n. 3553/2018, riferita tuttavia alla disciplina del subappalto contenuta nel pregresso Codice De Lise).
La Corte di Giustizia ha difatti rimarcato come l’art. 71 della Direttiva 2014/24/UE, rispetto al suo “antesignano” (art. 25 della Direttiva 2004/18/CE), elenca talune norme supplementari in materia di subappalto, prevedendo la possibilità, per l’amministrazione aggiudicatrice, di chiedere o di essere obbligata dallo Stato membro a chiedere all’offerente di informarla sulle intenzioni di quest’ultimo in materia di subappalto, nonché la possibilità per l’amministrazione aggiudicatrice, a determinate condizioni, di trasferire i pagamenti dovuti direttamente al subappaltatore per i servizi, le forniture o i lavori forniti al contraente principale. Inoltre, il suddetto art. 71 dispone che le amministrazioni aggiudicatrici possono verificare o essere obbligate dagli Stati membri a verificare se sussistano motivi di esclusione dei subappaltatori a norma dell’art. 57 di tale Direttiva relativi in particolare alla partecipazione a un’organizzazione criminale, alla corruzione o alla frode. Da queste novità, tuttavia, non si può dedurre che gli Stati membri dispongano anche della facoltà di limitare tale ricorso a una parte dell’appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, come invece ancora fa il legislatore italiano.
Ne consegue, pertanto, l’inconciliabilità con la Direttiva 2014/24 dell’art. 105 del nostro CCP che impone, con riguardo alla generalità di tutti gli appalti, che una parte rilevante dei lavori, delle forniture o dei servizi interessati (70%) venga realizzata dall’offerente stesso, sotto pena di vedersi automaticamente escluso dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto, anche nel caso in cui l’ente aggiudicatore sia in grado di verificare le identità dei subappaltatori interessati e ove ritenga, in seguito a verifica, che siffatto divieto non sia necessario al fine di contrastare la criminalità organizzata nell’ambito dell’appalto in questione: ad avviso della Corte di Giustizia UE vi sono, in definitiva, misure meno restrittive idonee a raggiungere l’obiettivo perseguito dal legislatore italiano di prevenire intenti criminosi.
Per rispondere alle perplessità manifestatesi su più fronti circa la coerenza con diritto unionale dei limiti al subappalto contemplati dalla normativa italiana – perplessità che si sarebbero poi conclamate qualche mese più tardi con il pronunciamento dello scorso settembre della Corte di Giustizia UE – con il menzionato D.L. “Sblocca-Cantieri” (D.L. n. 32/2019) è stato in un primo momento stabilito l’incremento della quota di affidamento subappaltabile dal 30% al 50% e la completa eliminazione della verifica dei requisiti del subappaltatore in gara, confinando di fatto ad una fase successiva all’aggiudicazione e direttamente afferente all’esecuzione, ogni verifica che potesse riguardare i subappaltatori ed anche l’individuazione degli stessi, attraverso l’eliminazione dell’obbligo in capo all’offerente di indicazione della terna di subappaltatori, fino ad allora necessaria nel caso di appalti di importo superiore alle soglie comunitarie e comunque, anche nel sotto-soglia, ove si vertesse in un caso di attività particolarmente esposte al rischio di infiltrazione mafiosa (cfr., per maggiori dettagli, il contributo dello scrivente: I rilievi di Bruxelles al Codice degli appalti italiano: lo stato dell’arte alla luce delle novità del DL “Sblocca-Cantieri”).
In sede di traduzione in Legge, le su riepilogate modifiche non sono state confermate ma nel contempo, con una disposizione a carattere transitorio inserita nella L. di conversione n. 55/2019 (art. 1, comma 18), si è previsto che nelle more di una complessiva revisione del CCP, fino al 31 dicembre 2020, in deroga al disposto dell’art. 105, comma 2, cit., il subappalto è indicato dalle Stazioni Appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40% dell’importo complessivo del contratto. La stessa disposizione ha poi inciso sulla pure riportata previsione del comma 6 dell’art. 105 CCP, disponendo la sospensione, sempre sino a fine anno, anche dell’obbligo di indicare la terna dei subappaltatori per gli appalti di importo superiore alle soglie comunitarie, nonché delle verifiche in sede di gara da effettuarsi sul conto del subappaltatore a mente dell’art. 80 CCP.
Orbene, secondo il TAR capitolino la novella portata dalla Legge di conversione del D.L. “Sblocca-Cantieri” ed in particolare l’elevazione dal 30 al 40% della quota subappaltabile avrebbe conformato la legislazione italiana a quella europea: secondo il Collegio romano difatti la pronuncia del settembre 2019 della Corte di Giustizia UE, pur avendo censurato il limite al subappalto previsto dal diritto interno nella soglia ratione tempore fissata al 30%, non esclude la compatibilità con il diritto dell’Unione di limiti superiori. La Corte di Lussemburgo avrebbe dunque considerato in contrasto con le direttive comunitarie in materia il predetto limite, non escludendo invece che il legislatore nazionale possa individuare comunque, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari, un limite al subappalto proporzionato rispetto all’obiettivo di contrastare il fenomeno dell’infiltrazione della criminalità nel settore degli appalti pubblici.
Si tratta di una tesi non condivisibile ove si consideri soltanto che con la sentenza del luglio 2016 succitata (causa C-406/14), la Corte di Giustizia UE ha bocciato la normativa del Paese membro interessato (la Polonia) benché questa consentisse il subappalto fino al 75% dell’importo del contratto, soglia ben più elevata perciò di quella italiana (30/40%).
Piuttosto, per rendere “potabile” in parte qua la controversa normativa italiana sul subappalto, tacciata sotto molteplici punti di vista di contrasto con il diritto eurounitario (per una ricostruzione aggiornata dei diversi profili di criticità si veda il contributo dello scrivente: Subappalto italiano senza pace: ancora una censura per contrasto con il diritto unionale), la regola generale dovrebbe essere quella del subappalto senza limitazioni quantitative a priori, al fine di favorire l’ingresso negli appalti pubblici delle piccole e medie imprese, promuovere l’apertura del mercato e la concorrenza in gara.
Atteso però che l’assenza di limite al subappalto viene a livello europeo strettamente correlata alla necessità che i documenti dell’appalto impongano ai concorrenti di indicare nelle offerte l’intenzione di subappaltare e i subappaltatori proposti, di modo che l’Amministrazione sia posta in grado di verificare le loro capacità in occasione della valutazione delle offerte e della selezione dell’aggiudicatario, a fronte della predetta regola generale, per contrappeso, dovrebbe essere richiesto alla S.A. l’obbligo di motivare adeguatamente un eventuale limite al subappalto in relazione allo specifico contesto di gara, evitando di restringere ingiustificatamente la concorrenza.
In tal senso, alcuni dei criteri, da fissare in via esemplificativa, potrebbero individuarsi a partire da quelli indicati dalla Corte nella ripetuta sentenza del settembre u.s., cioè il settore economico o merceologico di riferimento, la natura (ad esempio principale/prevalente o accessoria) della prestazione, ma anche specifiche esigenze che richiedono di non parcellizzare l’appalto, con finalità di carattere preventivo rispetto a fenomeni di corruzione, spartizioni o di rischio di infiltrazioni criminali e mafiose, ma anche di carattere organizzativo, per una più efficiente e veloce esecuzione delle prestazioni. Altro criterio che potrebbe essere oggetto di valutazione è quello inerente il valore e la complessità del contratto, al fine di consentire maggiore libertà per appalti di particolare rilevanza che suggeriscono di accordare più flessibilità nella fase realizzativa.
Riguardo al criterio del settore economico menzionato dalla Corte di Giustizia, delle restrizioni potrebbero essere motivate – come suggerito da ANAC con l’atto di segnalazione al Governo e al Parlamento n. 8 del 13 novembre 2019 – in ragione, ad esempio, del limitato numero di operatori economici qualificati o dei possibili partecipanti, proprio al fine di promuovere la più ampia concorrenza, atteso che la presenza di uno o più subappaltatori potrebbe favorire accordi spartitori in fase di gara. Altra possibilità nell’affidamento dei lavori pubblici, come evidenziato sempre ANAC, è quella di far valere eventuali ragioni di sicurezza alla luce delle specificità del cantiere, laddove la presenza di molteplici addetti appartenenti a più operatori potrebbe aumentare i rischi di scarso coordinamento e attuazione delle misure di tutela del lavoro.
Il legislatore, inoltre, al fine di bilanciare la maggiore libertà di subappalto con le esigenze di trasparenza e di garanzia di affidabilità, in particolare al superamento di determinate soglie, potrebbe stabilire l’obbligo di indicare i subappaltatori già in fase di gara al fine di consentire alla Stazione Appaltante di conoscere preventivamente i soggetti incaricati e di effettuare le opportune verifiche che, naturalmente, non si sostituirebbero a quelle ulteriori in fase esecutiva propedeutiche all’autorizzazione al subappalto di cui all’art. 105, comma 4, CCP. In sostanza, in caso di limiti al subappalto adeguatamente motivati ma entro determinate soglie, si potrebbe confermare l’attuale sistema della mera indicazione della intenzione di subappaltare alcune parti del contratto e di verificare il subappaltatore in fase di autorizzazione. Oltre determinate soglie, invece, si potrebbe prevedere la verifica obbligatoria dei subappaltatori anche in fase di gara. In tale secondo caso, potrebbe altresì considerarsi la possibilità di concedere al concorrente la facoltà (non l’obbligo) di indicare un elenco di subappaltatori potenziali entro un determinato (e limitato) numero; tale limitazione, oltre a ridurre i rischi poc’anzi evidenziati, consentirebbe di contenere adempimenti e oneri dichiarativi per imprese e stazioni appaltanti. Al tale riguardo, occorre anche evidenziare la necessità che un più ampio ricorso al subappalto non si traduca in maggiori incentivi all’elusione della disciplina antimafia. Poiché l’informazione antimafia è richiesta per i subcontratti, cessioni o cottimi di importo superiore a 150.000 euro [cfr. art. 91, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 159/2011], un massiccio ricorso al subappalto, in astratto finalizzato a promuovere l’efficienza esecutiva anche tramite il coinvolgimento delle PMI, potrebbe nascondere finalità elusive della normativa antimafia (ancorché vietate si sensi del comma 2 del citato art. 91), ad esempio mediante l’impiego di molteplici subappaltatori con quote di attività inferiori alla soglia prevista per i controlli antimafia.

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