15/04/2020 – Note a margine della pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 2 aprile 2020, n. 10: la qualificazione dell’istanza di accesso ai dati e documenti amministrativi

Note a margine della pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 2 aprile 2020, n. 10: la qualificazione dell’istanza di accesso ai dati e documenti amministrativi
 
Sommario: I) La pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 2 aprile 2020, n. 10. II) La qualificazione dell’istanza di accesso come adempimento preliminare dell’Ufficio. III) I criteri di qualificazione dell’istanza di accesso ribaditi dall’Adunanza Plenaria: il rispetto della volontà dell’istante ed il divieto di integrazione d’ufficio della domanda da parte della Pubblica amministrazione. IV) … il criterio sostanzialistico. V) … le istanze a contenuto plurimo. VI) Un criterio di favor per l’accesso civico generalizzato ? VII) Il dovere di soccorso e di collaborazione come canone comportamentale per la corretta qualificazione dell’istanza di accesso da parte della Pubblica amministrazione.
 
I) La pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 2 aprile 2020, n. 10.
A distanza di quattro anni dall’ultima pronuncia in materia, con la sentenza in commento l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato torna ad occuparsi dell’accesso ai dati ed ai documenti amministrativi, affrontando vari aspetti problematici dell’istituto, in un quadro ordinamentale, nel frattempo, profondamente mutato.
Si tratta della decima volta in cui il Supremo Consesso si pronuncia precipuamente in tema di accesso [1], con una decisione di cui è agevole preconizzare la caratura “storica”, in considerazione della rilevanza delle questioni trattate e della pervasività della motivazione [2].
In un periodo in cui i giuristi si interrogano sulle possibili soluzioni alla crisi di certezza e di prevedibilità del diritto (in specie amministrativo) [3], l’Adunanza Plenaria, consapevole della sua rafforzata funzione nomofilattica [4] ed adeguatamente sollecitata dalle Sezioni [5], assume il compito di enucleare principi di diritto e linee interpretative di ampio respiro, in grado di indirizzare l’operatore in una di quelle materie (l’accesso ai dati ed ai documenti amministrativi) che più di altre necessita di una messa a fuoco chiarificatrice. 
Del resto, che si tratti di un istituto che storicamente soffre di incertezze interpretative è dimostrato dal fatto che ancora oggi, a trent’anni dall’approvazione della Legge n. 241 del 1990, alcune delle questioni nevralgiche della disciplina dell’accesso documentale sono in attesa di risposte consolidate [6].
L’esigenza di una guida interpretativa uniforme riguarda, a maggior ragione, l’istituto dell’accesso civico (semplice e generalizzato), la cui recente introduzione nell’ordinamento (d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 come riformato con d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97), sconta, per un verso, un deficit di regolamentazione di fonte primaria (si pensi alla scelta del legislatore di un sistema di soft law che demanda ad Anac la “definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico” di cui all’art. 5-bis d.lgs. n. 33 del 2013) e, per altro verso, la mancanza di norme di coordinamento con la normativa preesistente, generale (l. 7 agosto 1990, n. 241) e speciale.
  Non può, pertanto, che essere accolta con favore l’opera di razionalizzazione intrapresa dall’Adunanza Plenaria con la pronuncia in commento, che rappresenta un primo decisivo contributo a quell’anelito di prevedibilità delle decisioni (amministrative e giudiziarie) che il “nuovo” diritto di accesso (e più in generale il nuovo diritto alla conoscenza ed all’informazione) richiedono.  
  Questi i tre principi di diritto enunciati dall’Adunanza Plenaria:
<< a) la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi dell’art. 116 c.p.a., possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento; >>;
<< b) è ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale; >>;
<< c) la disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza. >>.
Nel presente contributo si tratterà del primo principio, riguardante la qualificazione dell’istanza di accesso.
 
II) La qualificazione dell’istanza di accesso come adempimento preliminare della Pubblica amministrazione.
  Il primo principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria riguarda la qualificazione dell’istanza di accesso.
   Si tratta di un tema di grande rilievo pratico ed al quale l’Adunanza Plenaria, pur non vincolata dal quesito posto dall’ordinanza di rimessione, ha saggiamente voluto dedicare ampio spazio, ritenendolo “di interesse generale” [7].
  Prima di analizzare l’insegnamento dell’Adunanza, è opportuna una breve premessa sul tema d’indagine.
Nel mondo giuridico ogni attività decisionale è (o dovrebbe essere) logicamente e temporalmente preceduta dalla esatta individuazione dell’oggetto della decisione da assumere, di talchè nei procedimenti amministrativi ad iniziativa eteronoma (come quello relativo all’accesso) la Pubblica Amministrazione ha, anzitutto ed ineludibilmente, il compito di qualificare l’istanza di parte, al fine di individuare il tipo di procedimento attivato.
  La qualificazione dell’istanza implica l’identificazione del tipo di procedimento avviato, con l’assegnazione ad una determinata categoria giuridica, onde individuarne la disciplina legale applicabile.
  Si tratta, evidentemente, di un’operazione di estrema importanza sul piano operativo, giacché dai suoi esiti dipende l’individuazione delle norme applicabili al caso di specie, con ogni intuibile conseguenza di carattere pratico.
  Qualificare erroneamente l’istanza potrebbe, invero, condurre la Pubblica amministrazione ad applicare norme non conferenti al caso concreto, pregiudicando, solo per questo, la legittimità del provvedimento conclusivo del procedimento.
  La qualificazione dell’istanza è compito dell’Amministrazione.
  Se è vero, infatti, che l’istanza ha natura di atto negoziale di diritto privato e che ad essa si applicano le regole generali sulle dichiarazioni di volontà stabilite dal Codice Civile [8], la sua funzione di attivazione di un procedimento amministrativo chiama immediatamente in causa il potere-dovere dell’Amministrazione di individuarne l’oggetto ed il contenuto, per il corretto esercizio delle sue funzioni.
  Ciò vale in generale per ogni procedimento amministrativo e vale anche per l’istanza di accesso ai dati ed ai documenti amministrativi, la cui disciplina è caratterizzata dalla compresenza di una serie di normative, di carattere generale e speciale, aventi ciascuna caratteri differenziali dalle altre.
  E’ noto, invero, che, nel corso del tempo, alla disciplina generale dell’accesso di cui alla l. n. 241 del 1990 si sono affiancate diverse altre discipline dell’accesso, contenute in distinti corpi normativi, alcuni aventi carattere “speciale” ed altri aventi anch’essi carattere “generale”: quanto ai primi, si pensi, solo per ricordarne alcuni, al diritto di accesso alle informazioni dei consiglieri comunali (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267), all’accesso agli atti delle procedure contrattuali (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) ed all’accesso alle informazioni ambientali (l. 8 luglio 1986, n. 349 e d.lgs. 19 agosto 2005, n. 195); quanto alle seconde, ci si riferisce evidentemente all’accesso civico semplice (d.lgs. n. 33 del 2013) ed all’accesso civico generalizzato (d.lgs. n. 97 del 2016) [9].
La frammentazione del quadro ordinamentale è tale che ci si è chiesti se sia più corretto parlare di una pluralità di “diritti di accesso” (e quindi sostanzialmente di più istituti) o di un unico “diritto di accesso” (ovvero di un unico istituto) [10].
In un tale contesto di discontinuità normativa, è evidente che la corretta qualificazione dell’istanza da parte della Amministrazione (prima) e del Giudice (poi) assuma primaria importanza, proprio perché con detta operazione si individua la specifica disciplina applicabile tra le diverse esistenti, esercitando la funzione amministrativa propria del procedimento attivato.
 
III) I criteri di qualificazione dell’istanza di accesso ribaditi dall’Adunanza Plenaria: il rispetto della volontà dell’istante ed il divieto di integrazione d’ufficio della domanda da parte della Pubblica amministrazione.
Benchè il quesito preso in esame dall’Adunanza Plenaria riguardasse un profilo specifico della qualificazione dell’istanza di accesso (ammissibilità delle istanze a contenuto plurimo), essa non ha mancato di dare indicazioni di carattere più generale in merito ai criteri a cui occorre a attenersi nel compiere la suddetta operazione.
Il primo e fondamentale criterio è quello del rispetto della volontà dell’istante e del correlato divieto di integrazione d’ufficio della domanda da parte della Amministrazione.
Essendo, invero, l’istanza di parte un atto negoziale, la sua qualificazione da parte dell’Amministrazione non può che avvenire nel rispetto della volontà manifestata dall’istante.
Correlativamente, è fatto divieto alla Amministrazione di integrare d’ufficio la domanda nei suoi elementi essenziali, che è – e rimane – manifestazione di volontà dell’istante.
 Pertanto, se il richiedente esprime in modo chiaro ed inequivocabile la volontà di avvalersi di una determinata tipologia di accesso e della relativa disciplina giuridica (perché ad esempio qualifica lui stesso in modo e circostanziato il procedimento, individuandone chiaramente il regime giuridico), l’Amministrazione è tenuta a rispettare tale auto-qualificazione [11].
Il punto è ribadito dalla Plenaria, laddove rimarca che << 10. Solo ove l’istante abbia inteso, espressamente e inequivocabilmente, limitare l’interesse ostensivo ad uno specifico profilo, quello documentale o quello civico, la pubblica amministrazione dovrà limitarsi ad esaminare quello specifico profilo, senza essere tenuta a pronunciarsi sui presupposti dell’altra forma di accesso, non richiesta dall’interessato. >>.
Così, ad esempio, se l’istanza di accesso è chiaramente ed inequivocabilmente formulata con riferimento all’accesso documentale ex l. n. 241 del 1990, essa non potrà che essere esaminata e decisa dalla Pubblica amministrazione esclusivamente sub tale specie (così la Plenaria: << << 11.1. Al riguardo, deve ritenersi che, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale della l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990, non può esaminare la richiesta di accesso civico generalizzato, a meno che non sia accertato che l’interessato abbia inteso richiedere, al di là del mero riferimento alla l. n. 241 del 1990, anche l’accesso civico generalizzato e non abbia inteso limitare il proprio interesse ostensivo al solo accesso documentale, uti singulus. >>.
  Al criterio sopra visto fa da contraltare la regola secondo la quale l’auto-qualificazione dell’istanza da parte del richiedente diviene irrevocabile dopo un certo momento e segnatamente dopo che è stata espletata l’istruttoria da parte dell’Ufficio, in virtù di quei principi di buona fede e di correttezza che devono ispirare il rapporto tra le parti.
  Anche tale principio è ribadito dalla Plenaria, che ricorda che << electa una via in sede procedimentale, alla parte è preclusa la conversione dell’istanza da un modello all’altro …>> [12].
A maggior ragione, l’auto-qualificazione dell’istanza è irrevocabile nel corso del processo, atteso che, anche se il giudizio in materia di accesso verte sul “rapporto giuridico” e non sull’”atto”, esso non può che proseguire sui binari tracciati dal procedimento e dall’originaria istanza di accesso, anche perché, diversamente opinando, il Giudice verrebbe a pronunciarsi su un potere non ancora esercitato, in spregio all’art. 34, co. 2, c.p.a..
Anche su questo punto la Plenaria è chiara: << 11.9. Ma il c.d. giudizio sul rapporto, pur in sede di giurisdizione esclusiva, non può essere la ragione né la sede per esaminare la prima volta avanti al giudice questo rapporto perché è il procedimento la sede prima, elettiva, immancabile, nella quale la composizione degli interessi, secondo la tecnica del bilanciamento, deve essere compiuta da parte del soggetto pubblico competente, senza alcuna inversione tra procedimento e processo. >>.
 
IV) … il criterio sostanzialistico.
  Per altro verso – e venendo al secondo fondamentale criterio di qualificazione dell’istanza – poiché non si può pretendere che i privati qualifichino esattamente il procedimento secondo una precisa terminologia giuridica, la domanda di accesso deve essere sempre interpretata e qualificata dalla Amministrazione per ciò che rappresenta nella sua sostanza, al di là di ogni rigorismo formale, tenuto conto dello scopo e della finalità pratica che l’istante si prefigge, secondo i principi di buona fede e di conservazione degli atti giuridici [13].          
  In altri termini, nel qualificare l’istanza di accesso con la quale il privato chiede di attivare un procedimento amministrativo, la Pubblica amministrazione non può fermarsi ad una interpretazione formalistica del dato letterale, ma deve spingersi ad accertare l’effettiva volontà dell’istante e quindi, in definitiva, il bene della vita a cui egli nella sostanza aspira.        
Principio che, a ben vedere, vale anche in caso di utilizzo da parte dell’istante di “moduli” di domanda predisposti dall’Amministrazione, i quali non sono decisivi ad individuare la volontà dell’istante di attivare un determinato istituto allorché da altri elementi concorrenti emerga inequivocabilmente la volontà di attivare un altro istituto [14].
  Detto criterio si rivela utile e necessario in non pochi casi in cui l’operazione qualificatoria si presenta particolarmente delicata e complessa a causa della mancanza di una chiara ed inequivocabile manifestazione di volontà da parte dell’istante in ordine al regime procedimentale che intende attivare.
  Il problema difficilmente si pone per gli accessi “speciali”, atteso che in questi casi il regime procedimentale e la relativa normativa applicabile sono agevolmente individuabili dalla particolare qualificazione soggettiva degli istanti (Consiglieri comunali e provinciali) o dall’oggetto stesso della richiesta (atti afferenti alle procedure contrattuali e informazioni ambientali).
  Difficoltà pratiche possono, invece, sorgere nel rapporto tra le discipline “generali” di accesso ed in particolare per l’accesso documentale ex l. n. 241 del 1990 e per l’accesso civico generalizzato ex d.lgs. n. 97 del 2016, visto che in quest’ultimo caso l’istanza non deve necessariamente contenere la motivazione dell’interesse conoscitivo dalla quale sia possibile desumere lo scopo e la finalità pratica perseguita dall’istante.
Invero, se l’istanza di accesso documentale ex l. n. 241 del 1990 deve sempre essere motivata, visto che da essa dipende la verifica della titolarità attiva del diritto [15], non altrettanto è per l’accesso civico generalizzato ex art. 5, co. 2, d.lgs. n. 33 del 2013, per il quale non è richiesta alcuna motivazione in ordine allo specifico interesse conoscitivo che muove il richiedente [16].
Vero è che anche in questo caso, pur non essendo obbligatorio, l’istante può sempre motivare la sua istanza [17], ma si tratta pur sempre di un eventualità che potrebbe non verificarsi, visto che la norma non lo impone.
  Di qui la difficoltà di qualificare correttamente l’istanza non motivata, che, in linea teorica, potrebbe rappresentare un’istanza di accesso documentale ex l. n. 241 del 1990, inammissibile per carenza di uno dei suoi requisiti essenziali, oppure una valida istanza di accesso civico generalizzato ex art. 5, co. 2, d.lgs. n. 33 del 2013.
  Difficoltà che può essere risolta facendo applicazione del criterio sostanzialistico, come è stato ripetutamente affermato dai Giudici di primo grado [18] e come è stato compiutamente rappresentato anche dalla V Sezione del Consiglio di Stato nell’ordinanza di rimessione [19]
  Sul punto la Plenaria ha limitato la sua analisi al caso dell’istanza a contenuto plurimo (di cui si dirà a breve), non mancando di offrire spunti preziosi a conferma della applicabilità del criterio sostanzialistico, in particolare, laddove ha rimarcato la necessità di andare “al di là del mero riferimento” alla norma di legge contenuto nell’istanza (paragrafo11.1.).
 
V) Le istanze di accesso a contenuto plurimo.
  Quale logico corollario dei summenzionati criteri (rispetto della sostanziale ed effettiva volontà dell’istante), la giurisprudenza ammette che il richiedente possa altresì formulare l’istanza di accesso invocando, in via alternativa ed in relazione ai medesimi documenti, i differenti modelli di accesso, attivando (anche con formula subordinata) distinti procedimenti amministrativi, ciascuno regolamentato da diversa normativa: starà all’Amministrazione (in prima battuta) ed al Giudice (in caso di ricorso) verificare se sussistono i presupposti per la positiva definizione dei diversi procedimenti attivati con la medesima istanza [20].
  Anche questo principio è confermato dall’Adunanza Plenaria che, proprio con riferimento al caso più problematico di concorso tra accesso documentale ex l. n. 241 del 1990 ed accesso civico generalizzato ex d.lgs. n. 97 del 2016, afferma che << 8.1. L’istanza di accesso documentale ben può concorrere con quella di accesso civico generalizzato e la pretesa ostensiva può essere contestualmente formulata dal privato con riferimento tanto all’una che all’altra forma di accesso. >>.
  Diverse le ragioni che depongono per tale conclusione.
In primo luogo, sul piano letterale, non esiste alcuna norma che precluda tale possibilità; anzi, un indice normativo in tal senso si ricava dall’art. 5, co. 1, d.lgs. n. 33 del 2013, che, nel sancire che “Restano fermi …. le diverse forme di accesso degli interessati previste dal Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241.”, ammette esplicitamente il concorso tra le diverse forme di accesso.
In secondo luogo, non esiste alcuna ragione di ordine sistematico che precluda tale possibilità: in particolare, per quanto concerne l’accesso civico generalizzato, la ratio dell’istituto non è affatto incompatibile con la natura plurima degli interessi posti a supporto dell’istanza, potendo ben convivere in essa un interesse individuale ex l. n. 241 del 1990 ed un interesse pubblico collaborativo con la Pubblica amministrazione ex d.lgs. n. 33 del 2013 [21].
Questo argomento, per la sua grande rilevanza, meriterebbe una separata trattazione, in quanto strettamente connesso con la nota e dibattuta questione delle “funzionalizzazione” dell’accesso civico generalizzato [22].
Infine, l’istanza a contenuto plurimo è coerente con i principi di economicità e di semplificazione dell’azione amministrativa, che impongono il minor aggravio procedimentale per il richiedente [23].
Ne consegue, tra l’altro, che l’istanza di accesso ad una serie di documenti, formulata in via alternativa ai sensi della Legge n. 241 del 90 o del d.lgs. n. 33 del 2013, può essere accolta in parte (per determinati documenti) ai sensi della prima normativa ed essere rigettata per altra parte (per gli altri documenti) ai sensi dell’altra [24].
 
VI) Un criterio di favor per l’accesso civico generalizzato ?
  Un cenno merita il fuggevole riferimento che l’Adunanza Plenaria fa al criterio della “tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo” proposto dalla Funzione pubblica con la circolare n. 2 del 2017 e ricordato nella pronuncia in commento (al paragrafo 9.8).
  In effetti, se correttamente inteso, il suddetto criterio risulta perfettamente coerente con i principi di diritto enunciati dalla Plenaria.
  Qualche perplessità può, invece, sorgere sulla particolare declinazione che la Funzione Pubblica fa del principio suddetto, laddove afferma che << In base a questo principio, dato che l’istituto dell’accesso generalizzato assicura una più ampia tutela all’interesse conoscitivo, qualora non sia specificato un diverso titolo giuridico della domanda (ad es. procedimentale, ambientale, ecc.), la stessa dovrà essere trattata dall’amministrazione come richiesta di accesso generalizzato. >> (punto 2.2. della circolare).
  L’affermazione si presta al seguente rilievo critico.
  Se è vero che l’accesso civico generalizzato ha notevolmente ampliato le possibilità di accesso per quanto riguarda la legittimazione soggettiva ed ha parzialmente ampliato la tutela per quanto riguarda l’oggetto (di talchè, sotto tali profili, le esigenze conoscitive dell’interessato appaiono maggiormente garantite rispetto all’accesso documentale), è altrettanto vero che per detto istituto operano limitazioni più restrittive rispetto dell’accesso documentale, quantomeno nei casi in cui quest’ultimo venga esercitato per necessità difensive ai sensi dell’art. 24, co. 7, l. n. 241 del 1990 (c.d. accesso difensivo).
  Appare, pertanto, non condivisibile stabilire un meccanismo presuntivo che privilegi, in caso di dubbio, sempre e comunque l’accesso civico generalizzato ex d.lgs. n. 33 del 2013 a scapito di quello documentale ex l. n. 241 del 1990, stante che, se ciò che conta davvero, è “l’anelito ostensivo” del richiedente (con le parole della Plenaria), esso, in presenza dei presupposti di legge, può più agevolmente essere soddisfatto con quest’ultimo modello procedimentale, proprio per la sua attitudine a consentire l’accesso “più in profondità”. 
  Né il rilievo può essere sbrigativamente superato affermando che allorché l’istanza di accesso non sia motivata, qualificarla come accesso documentale ex l. n. 241 del 1990 sarebbe controproducente per il richiedente, portando sempre ad una dichiarazione di inammissibilità della stessa per mancata dimostrazione della titolarità attiva, sì che tanto varrebbe qualificarla come accesso civico generalizzato ex d.lgs. n. 97 del 2016.
  Tale affermazione peccherebbe, invero, di eccessiva semplificazione per non considerare che non è raro imbattersi, nella pratica, in istanze motivate in parte o motivate male, o in istanze ambigue (o “ancipiti” con le parole della Plenaria), per le quali una meccanica assimilazione ad un’istanza di accesso civico generalizzato significherebbe rinunziare alla ricerca della effettiva e sostanziale volontà dell’istante.
 
VII) Il dovere di soccorso e di collaborazione come canone comportamentale per la corretta qualificazione dell’istanza di accesso da parte della Pubblica amministrazione.
  Molte delle problematiche a cui la Pubblica amministrazione può, nella pratica, andare incontro nella qualificazione dell’istanza di accesso possono, in realtà, essere mitigate e risolte, ripensando detta operazione in una dimensione dinamica ed elastica, piuttosto che in quella statica e rigida come tradizionalmente concepita.
  Se è vero, infatti, che la qualificazione dell’istanza è un’operazione preliminare da compiersi prima di entrare nella fase istruttoria del procedimento e certamente prima che essa si concluda, è altrettanto vero che nulla impedisce all’Ufficio, ove ne ravvisi la necessità, di instaurare un breve dialogo con il richiedente al solo fine di comprendere l’effettiva e sostanziale esigenza conoscitiva.
  In questa prospettiva, in presenza di un’istanza di incerta qualificazione, priva di indicazioni in ordine all’interesse conoscitivo dell’istante, ci si può chiede se gli Uffici possano o debbano richiedere chiarimenti al richiedente, dandogli la possibilità di precisare lo scopo e la finalità pratica sottesa all’istanza e, in ultima analisi, la sua effettiva volontà, ponendo così le premesse per una corretta qualificazione dell’istanza.
  La percorribilità di una tale opzione procedimentale deve essere misurata con il dato positivo e con gli stessi principi di diritto enunciati dalla Plenaria.
  Sotto il primo profilo, un puntello in tal senso viene dall’art. 6, co. 5, del d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184 (Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi), che impone all’Amministrazione di comunicare al richiedente eventuali irregolarità o incompletezze dell’istanza al fine di emendare od integrare la stessa (“Ove la richiesta sia irregolare o incompleta, l‘amministrazione, entro dieci giorni, ne dà comunicazione al richiedente con raccomandata con avviso di ricevimento ovvero con altro mezzo idoneo a comprovarne la ricezione. In tale caso, il termine del procedimento ricomincia a decorrere dalla presentazione della richiesta corretta.“).
  Trattasi, invero, di un canone comportamentale previsto, in via generale e per ogni procedimento amministrativo, dall’art. 6 l. n. 241 del 1990 che, nel descrivere i “Compiti del responsabile del procedimento”, gli attribuisce, tra gli altri, anche il seguente: “…. a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l‘emanazione di provvedimento; … In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete … “ [25].
  L’art. 6 d.P.R. 184 del 2006 declina, con specifico riguardo al procedimento di accesso, il dovere di soccorso e di collaborazione che la Pubblica amministrazione è tenuta sempre a prestare nella fase di iniziativa del procedimento.
  Potrebbe obiettarsi che una disposizione analoga all’art. 6, co. 5, d.P.R. 184 del 2006 non si rinviene nel d.lgs. n. 33 del 2013 per l’accesso civico generalizzato, cosìcchè qualora l’istante avesse inteso azionare questo istituto, la richiesta di chiarimento in ordine all’interesse conoscitivo non sarebbe giustificata, sia perchè non prevista dalla legge, sia perché detta istanza non richiede motivazione, cosìcchè essa non sarebbe, a rigore, né irregolare, né incompleta.
  La questione non è di poco conto, atteso che ne vale, anzitutto, il rispetto dei termini procedimentali.
  Invero, la richiesta di integrazione o chiarimenti apre una fase interlocutoria del procedimento che può consumare parte di quei 30 giorni previsti dalla legge per la conclusione del procedimento.
  E se una richiesta di integrazione o chiarimenti formulata ai sensi dell’art. 6, co. 5, d.P.R. n. 184 del 2006 ha certamente un effetto interruttivo dei termini procedimentali in quanto espressamente previsto dalla norma (“In tale caso,il termine del procedimento ricomincia a decorrere dalla presentazione della richiesta corretta”), una analoga richiesta formulata ai sensi del d.lgs. n. 33 del 2013 potrebbe non produrre il medesimo effetto interruttivo qualora lo si ritenesse un ingiustificato aggravamento del procedimento, con il rischio di esporre l’Ufficio allo sforamento del termine.
   In realtà, l’obiezione non convince, perché sin tanto che l’istanza di accesso non è “qualificabile”, perché mancante dei requisiti essenziali di chiarezza ed univocità necessari a qualificarla, è ragionevole ritenere che l’Ufficio la debba trattare nel modo più idoneo a preservarne gli effetti giuridici, in virtù del principio di conservazione degli atti giuridici e, più in generale, di proporzionalità dell’azione amministrativa.
  E’ evidente, infatti, che se, a fronte di un’istanza di incerta definizione, l’Ufficio non attivasse il meccanismo di soccorso previsto dall’art. 6, co. 5, del d.P.R. n. 184 del 2006, l’istante perderebbe immediatamente la chance dell’accesso documentale ex l. n. 241 del 1990, non avendo dimostrato la titolarità attiva del diritto (ovvero quell’”interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento” richiesto dall’art. 22, co. 1, lett. b) l. n. 241 del 1990).
E’ quindi regola di buon senso, prima ancora che giuridica, quella di consentire l’attivazione di uno strumento procedimentale (peraltro previsto da una norma regolamentare statale) che consenta, nel dubbio, di intendere l’istanza nel suo “significato utile” e di fare in modo che l’intento perseguito dall’istante venga realizzato al massimo grado.
D’altra parte, l’istanza è (come anzidetto) un atto di privati, per il quale il principio di conservazione trova una precisa positivizzazione nel Codice Civile (vedi art. 1367: “Nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno.”). 
  Detta soluzione appare altresì conforme ai principi di proporzionalità e di ragionevolezza, che impongono la ricerca di un criterio comportamentale di razionalità operativa, orientato a trovare una soluzione che comporti il minor sacrificio per gli interessi privati coinvolti.
  In questa prospettiva, è significativo che un analogo canone comportamentale nella fase di iniziativa del procedimento è incoraggiato dalla prevalente giurisprudenza anche allorquando si tratti di delimitare l’oggetto della richiesta ostensiva.
 E ciò non soltanto per l’accesso documentale ex l. n. 241 del 1990, per il quale vi è un preciso ancoraggio normativo (art. 6, co. 5, d.P.R. 184 del 2006) [26].
  Ma anche per l’accesso civico generalizzato ex d.lgs. n. 97 del 2016, per il quale, in considerazione della ratio dell’istituto, si ritiene che nella fase di presentazione dell’istanza di accesso civico generalizzato debba valere il dovere di soccorso e di collaborazione della Pubblica amministrazione (c.d. “dialogo cooperativo”), che rappresenta un criterio generale di comportamento immanente nell’ordinamento alla luce di principi generali di proporzionalità e di  buona fede [27].
Modus operandi propugnato, nella prassi, anche dal Dipartimento della funzione pubblica che, con circolare n. 2/2017 del 6 giugno 2017, ha espresso l’avviso che << Il d.lgs. n. 33/2013, come modificato dal d.lgs. n. 97/2016, pone a carico delle pubbliche amministrazioni l’obbligo di erogare un servizio conoscitivo, che consiste nel condividere con la collettività il proprio patrimonio di informazioni secondo le modalità indicate dalla legge. Per realizzare questo obiettivo e, più in generale, le finalità di partecipazione e accountability proprie del c.d. modello FOIA, è auspicabile che le amministrazioni si adoperino per soddisfare l’interesse conoscitivo su cui si fondano le domande di accesso, evitando atteggiamenti ostruzionistici. Nel trattare una richiesta, è necessario che l’amministrazione instauri un “dialogo cooperativo” con il richiedente. >>.
E che si tratti di una modalità procedimentale densa di importanti risvolti applicativi è dimostrato dal dibattito in corso non solo in tema di istanze di accesso civico generalizzato “generiche”, per le quali la Funzione Pubblica non dubita che gli Uffici debbano  << chiedere eventuali chiarimenti circa l’oggetto della richiesta >>, ma anche in tema di “istanze massive”, per le quali, ancorchè “manifestamente irragionevoli”, si ritiene che l’Amministrazione, prima di respingere l’istanza, debba attivare un “dialogo cooperativo” con il richiedente al fine di ricondurre l’istanza a ragionevolezza [28].
D’altra parte, siffatto modello comportamentale non è privo di addentellati nel diritto eurounitario, per il quale il dovere di soccorso e di collaborazione delle istituzioni nella fase di presentazione dell’istanza è da tempo scritto a chiare lettere nel Regolamento CE 30 maggio 2001, n. 1049/2001 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione).
E ciò tanto con indicazioni di carattere generale (vedi art. 6, co. 4, Regolamento CE n. 1049 del 2001 che prevede che “Le istituzioni forniscono informazioni e assistenza ai cittadini sulle modalità e sul luogo di presentazione delle domande di accesso ai documenti.”), quanto con puntuali disposizioni precettive.
Si pensi all’art. 6, co. 2, che, per le “istanze generiche”, prevede che “Qualora una domanda non sia sufficientemente precisa, l’istituzione può chiedere al richiedente di chiarirla e assisterlo in tale compito, per esempio fornendo informazioni sull’uso dei registri pubblici di documenti.”.
Si pensi altresì a quanto previsto dal Regolamento CE n. 1049 del 2011 per le “richieste massive” (ovvero per le istanze riguardanti “un documento molto voluminoso o a un numero elevato di documenti”), alla ricorrenza delle quali “l’istituzione in questione può contattare informalmente il richiedente onde trovare una soluzione equa.” (art. 6, co. 3).
Con la conseguenza che “… il termine di 15 giorni lavorativi di cui al paragrafo 1 [termine di conclusione del procedimento di accesso] può essere prorogato di altri 15 giorni lavorativi, purché il richiedente ne sia previamente informato mediante comunicazione motivata in modo circostanziato.” (art. 7, co. 3), così come “… il termine di cui al paragrafo 1 [termine di trattamento delle domande di conferma] può essere prorogato di 15 giorni lavorativi, purché il richiedente ne sia previamente informato mediante comunicazione motivata in modo circostanziato.” (art. 8, co. 2).
E’ significativo il fatto che dalle norme sopra menzionate la giurisprudenza europea ha tratto le seguenti indicazioni, decisamente volte a favorire il dialogo cooperativo tra le Istituzioni ed i richiedenti l’accesso [29].
In primo luogo, benchè il tenore letterale sembra alludere ad una mera facoltà dell’Istituzione (..”l’Istituzione in questione può”..), il fatto che le norme prevedano la proroga dei termini del procedimento ha indotto il Tribunale europeo a ritenere che l’Istituzione ha l’obbligo di esaminare in modo specifico e dettagliato tutte le domande di accesso e quindi anche le domande “massive”, prendendo in considerazione tutti i documenti richiesti [30].  
In secondo luogo, in relazione al limite della domanda “manifestamente irragionevole”, si è ritenuto che, in via eccezionale e derogatoria, l’Istituzione è ammessa a provare che, in relazione al caso specifico, la domanda risulta “manifestamente irragionevole” perché comporta un carico di lavoro “particolarmente gravoso”, tale da paralizzare il buon funzionamento dell’Istituzione; ma l’onere della prova grava sull’Istituzione, che ne deve dare atto in modo circostanziato nella motivazione della decisione finale [31].
In ogni caso, anche una volta dimostrato il carattere “manifestamente irragionevole” della domanda, l’Istituzione ha l’obbligo di tentare di addivenire ad una “soluzione equa” con il richiedente, al fine di prendere conoscenza o di fargli precisare il suo interesse (considerato che di regola, come per il nostro accesso civico, egli non è tenuto a motivare l’istanza), indicando le alternative possibili per soddisfare la richiesta e limitando il carico di lavoro.
  La voce della giurisprudenza europea risuona chiara nella direzione del “dialogo cooperativo” nella fase di iniziativa del procedimento di accesso e ciò rappresenta una precisa indicazione di metodo anche nella individuazione dei comportamenti esigibili dalle nostre Amministrazione nell’operazione di qualificazione dell’istanza.           Un siffatto canone comportamentale consente, peraltro, di ridimensionare il timore che l’Adunanza Plenaria esprime sulle ripercussioni di carattere organizzativo che la gestione di istanze a contenuto plurimo possono avere sulla economicità dell’azione amministrativa.
  Se è vero, infatti, che il principio di diritto enunciato dalla Plenaria impone all’Amministrazione << il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato .. >>, al costo di duplicare i procedimenti ed i provvedimenti conclusivi (che rimangono distinti ed autonomi) [32], è altrettanto vero che tale evenienza in molti casi può essere scongiurata appurando, mediante lo strumento del “dialogo cooperativo”, la effettiva volontà del richiedente, il quale potrà chiarire, in modo inequivocabile, se intende attivare entrambi i procedimenti od uno soltanto.
                                                                                                                      Andrea Berti
Avvocato
 
Pubblicato il 14 aprile 2020
 
 

[1] Le principali pronunce emesse dall’Adunanza Plenaria in tema di accesso, dopo la riforma di cui alla Legge 241 del 1990, sono le seguenti: 7 febbraio 1997, n. 5; 22 aprile 1999, n. 4, n. 5 e n. 6; 24 giugno 1999, n. 16; 2 luglio 2001, n. 5; 5 settembre 2005, n. 5;  18 aprile 2006, n. 6 e 20 aprile 2006, n. 7; 13 settembre 2007, n. 11; 24 aprile 2012, n. 7; 28 giugno 2016, n. 13, n. 14, n. 15 e n. 16.
[2] Trattasi, peraltro, della pronuncia più importante dal punto di vista quantitativo, enunciando tre principi di diritto, con una motivazione articolata in 38 paragrafi, per 18.449 parole (quasi cinque volte di più della media di tutte le precedenti).
[3] Tra le tante riflessioni sul tema, vedi, tra le più recenti, Garofoli R., Il giudice tra creatività interpretativa e esigenze di legalità e prevedibilità, Federalismi,it n. 20/2019; Severini G., La sicurezza giuridica e la razionalità amministrativa, www.giustizia-amministrativa.it 20.12.2019; Patroni Griffi F., Valore del precedente e nomofilachia, www.giustizia-amministrativa.it 16.10.2017; Pajno A., Nomofilachia e giustizia amministrativa, Riv. It. Dir. Pubb. Com., 2015.
[4] In particolare, a seguito delle modifiche apportate all’art. 99 c.p.a. prima dal d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195 e poi dal d.lgs. 14 settembre 2012, n. 160.
[5] La pronuncia dell’A.P. fa seguito all’ordinanza di rimessione della sezione III 16 dicembre 2019, n. 8501.
[6] Si pensi alla questione recentemente rimessa all’Adunanza Plenaria dalla sezione IV del Consiglio di Stato con le ordinanze 4 febbraio 2020, n. 888, n. 889 e n. 890, relativamente ai rapporti tra accesso documentale ex l. n. 241 del 90 e strumenti processuali di acquisizione probatoria. Si pensi, più in generale, alle diverse concezioni della “strumentalità” dell’accesso documentale (in senso stretto od in senso ampio) che continuano a condizionare la risoluzione dei casi concreti sotto diversi profili. L’elenco delle questioni su cui si registrano contrasti giurisprudenziali in materia di accesso sarebbe assai lungo.
[7] L’A.P. ha ritenuto, invero, che il quesito posto dall’ordinanza di rimessione non attenesse propriamente al caso di specie, ma ciò nonostante ha voluto affrontare la questione ritenendola “di particolare importanza” ai sensi dell’art. 99, co. 5, c.p.a. (che così recita: “Se ritiene che la questione che la questione e’ di particolare importanza, l’adunanza plenaria puo’ comunque enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l’estinzione del giudizio. In tali casi, la pronuncia dell’adunanza plenaria non ha effetto sul provvedimento impugnato.”).
[8] A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Jovene, 1989 (651 ss.); P. Virga, Diritto amministrativo, Giuffrè, 2, 2001 (56 ss.).
[9] Siffatta stratificazione normativa in materia di accesso è stata fortemente criticata dalla dottrina, che ha visto, in particolare, nella scelta di non intervenire sulla legge n. 241 del 1990 il primo fondamentale difetto di impostazione della normativa sull’accesso civico generalizzato (Carloni E., Se questo è un Foia. Il diritto a conoscere tra modelli e tradimenti, Astrid n. 4/2016). Secondo Lipari M. (Il diritto di accesso e la sua frammentazione dalla legge n. 241/1990 all’accesso civico: il problema delle esclusioni e delle limitazioni oggettiva, Federalismi.it n. 17/2019 ), uno dei principali aspetti critici della disciplina dell’accesso, che meriterebbe una rinnovata attenzione del legislatore, è << L’eccessiva e ingiustificata frammentazione formale – ma anche sostanziale – delle regole in materia di accesso, le quali restano distribuite tra molteplici fonti, mal coordinate nei contenuti, nella concreta regolamentazione dei procedimenti e nelle stesse finalità perseguite …>>.
[10] Quesito a cui la Plenaria ha fornito, nel pronunciarsi sulle altre questioni sottoposte al suo esame, una risposta nel senso della unitarietà dell’istituto, seppur connotato da molteplici manifestazioni; unicità che comporta, nella declinazione dei rapporti tra le diverse fonti (ed in particolare tra discipline generali e speciali), la necessità di adottare un criterio interpretativo che favorisca una lettura integrata, unitaria ed armonizzante e così, in tal modo, la più ampia tutela dell’interesse conoscitivo. Vedi A.P. n. 10 del 2020: << 25.1. Ma in linea generale il rapporto tra le due discipline generali dell’accesso documentale e dell’accesso civico generalizzato e, a sua volta, il rapporto tra queste due discipline generali e quelle settoriali – si pensi, tra le più importanti, all’accesso civico di cui all’art. 10 del d. lgs. n. 267 del 2000 e a quello ambientale di cui all’art. 3 del d. lgs. n. 195 del 2005 – non può essere letto unicamente e astrattamente, secondo un criterio di specialità e, dunque, di esclusione reciproca, ma secondo un canone ermeneutico di completamento/inclusione, in quanto la logica di fondo sottesa alla reazione tra le discipline non è quella della separazione, ma quella dell’integrazione dei diversi regimi, pur nelle loro differenze, in vista della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo che rifugge in sé da una segregazione assoluta “per materia” delle singole discipline. >>; in altri passi della medesima pronuncia la Plenaria parla anche di << logica ermeneutica di integrazione >> (punto 30.2), nonché di << lettura unitaria, armonizzante, integratrice tra le singole discipline … in termini di complementarietà … >> da estendersi a tutte le tipologie di accesso (punto 30.5).
[11] Il principio vale, in generale, per ogni tipo di procedimento ad istanza di parte ed è stato sovente ribadito dalla giurisprudenza in relazione ai procedimenti sanzionatori in materia edilizia, nell’ambito dei quali si è, ad esempio, affermato che la P.A. non è tenuta a verificare d’ufficio se l’opera abusiva sia o meno sanabile in assenza di apposita istanza di sanatoria (vedi, ad esempio, Cons. St., sez. II, 7 febbraio 1990, n. 19). Con specifico riferimento al procedimento di accesso, già Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n. 5502 precisava che << Nel caso in cui l’opzione dell’istante sia espressa per un determinato modello, resta precluso alla pubblica amministrazione .. di diversamente qualificare l’istanza stessa al fine di individuare la disciplina applicabile ..>>; nello stesso senso Cons. St., sez. V, 27 dicembre 2019, n. 8829.
[12] Principio già affermato da Cons. St., sez. V, 20 marzo 2019, n. 1817, sez. V, n. 5502 del 2019 e, in precedenza, da Tar Napoli, sez. VI, 12 maggio 2017, n. 2562; Tar Bari, sez. III, 4 aprile 2017, n. 321; Tar Trento (ord.) 23 gennaio 2017, n. 21.
[13]  In tal senso, in generale, vedasi Cons. St., sez. V, 16 ottobre 2006, n. 6138: << … le istanze rivolte dai privati alla Pubblica Amministrazione devono essere valutate con riferimento ai canoni di buona fede e conservazione di cui agli artt. 1366 e 1367 c.c.. La giurisprudenza di questo Consiglio, infatti, ha già rilevato che se è vero che il privato non è onerato dell'esatta qualificazione giuridica delle istanze dirette alla Pubblica Amministrazione né è tenuto ad utilizzare una precisa terminologia giuridica, non altrettanto è a dirsi per l'Amministrazione destinataria delle domande dei cittadini, la quale, invece, ha l'obbligo di qualificare esattamente ogni richiesta ricevuta sulla base dell'oggetto e dello scopo della stessa, procurando di accoglierla nei termini degli istituti applicabili in relazione al contesto fattuale e giuridico nel quale l'istanza si inserisce ed in coerenza con le finalità avute di mira dal richiedente. Ne consegue che l'Amministrazione deve tener conto della volontà manifestata dal privato, siccome obiettivamente ricavabile dalla domanda formulata, mediante il ricorso alle comuni regole dell'interpretazione giuridica (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28 maggio 2004, n. 3452). >>.
[14]   Così, ad esempio, si è ritenuto che se l’istante, pur utilizzando un modulo predisposto dall’Ufficio recante il richiamo agli artt. 22 e ss della Legge 241 del 1990, precisa nella stessa domanda che l’accesso è richiesto in qualità di “cittadino” e non rivendica uno specifico interesse individuale alla ostensione dei documenti, la P.A. deve qualificare l’istanza come di accesso civico generalizzato in base al criterio sostanzialistico (Tar Toscana, sez. I, 1 dicembre 2017, n. 1494).
[15] Ai sensi dell’art. 25, co. 2, delle Legge 241 del 1990, La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata.” E ciò si spiega in quanto ai sensi dell’art. 22, co. 1, lett. b), “interessati” sono “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”
[16] Ai sensi dell’art. 5, co. 3, del D.Lgs. 33 del 2013, “L’esercizio del diritto di cui ai commi 1 e 2 non e’ sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente. L’istanza di accesso civico identifica i dati, le informazioni o i documenti richiesti e non richiede motivazione”.
[17] A questo riguardo, il Dipartimento della funzione pubblica, con circolare n. 2 del 30 maggio 2017 (avente ad oggetto “Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato – c.d. FOIA”), nell’indicare i dati da includere nella modulistica per la presentazione della richiesta (Allegato 1), suggerisce di prevedere un apposito spazio dedicato alle “Finalità della richiesta (informazione facoltativa”, precisando quanto segue: “Fermo restando che il richiedente non è tenuto a indicare i motivi della domanda (art. 5, c. 3, d.lgs. n. 33/2013), l’amministrazione potrebbe chiedere al richiedente di precisare le finalità della domanda, chiarendo che questa informazione è facoltativa e potrebbe essere utilizzata a fini statistici, e/o per precisare ulteriormente l’oggetto della richiesta e/o per adottare una decisione che tenga conto della natura dell’interesse conoscitivo del richiedente. Nel precisare che l’indicazione delle finalità della richiesta non è obbligatoria, la modulistica potrebbe prevedere, ad esempio, le seguenti opzioni:

–    A titolo personale; –  Per attività di ricerca o studio –    Per finalità giornalistiche –    Per conto di un’organizzazione non governativa –    Per conto di un’associazione di categoria –    Per finalità commerciali.”.

[18] Vedi, ad esempio, Tar Bari, sez. III, 19 febbraio 2018, n. 234 e sez. I, 18 gennaio 2018, n. 1344, secondo il quale nel caso in cui il richiedente citi entrambe le normative sul diritto di accesso ex L. 241 del 1990 ed ex D.Lgs. 33 del 2013 e non motivi l’istanza indicando l’interesse diretto, concreto ed attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, l’istanza va qualificata come di accesso civico generalizzato;  Tar Bari, sez. I, 24 maggio 2018, n. 752, per il quale, nel caso in cui il richiedente qualifichi l’istanza ai sensi del d.Lgs. n. 33 del 2013 ma essa risulti motivata con riferimento ad un preciso interesse diretto, concreto e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata ai documenti richiesti, l’istanza va qualificata ai sensi della L. 241 del 1990;  Tar Toscana, sez. II, 15 gennaio 2019, n. 84, che ha ritenuto che se l’istanza di accesso riguarda atti od informazioni per le quali non esiste un obbligo legale di pubblicazione (introdotto solo successivamente), tale istanza, a prescindere dalle norme invocate dal richiedente, deve essere qualificata e trattata sub specie di accesso civico generalizzato e non di accesso civico semplice; od ancora Tar Napoli, sez. VI, 28 febbraio 2020, n. 928, per il quale se l’istanza di accesso cita la legge 241 del 1990, ma si riferisce ad atti per i quali sussiste un obbligo legale di pubblicazione, la Pubblica amministrazione deve qualificare direttamente l’istanza come accesso civico semplice ex art. 5, co. 1, d.Lgs. n. 33 del 2013.
[19] Vedi Cons. St., sez. III, (ord.) n. 8501 del 2019, in cui si rileva che << compete all’Amministrazione - ed, in seconda battuta, al giudice - inquadrare sub specie iuris la domanda del privato, di cui sia univocamente identificabile il contenuto sostanziale (recte, nella specie, la ragione e l’oggetto della pretesa ostensiva): sì che, anche la presenza nell’istanza di accesso di espresse indicazioni normative (nel caso concreto, comunque, assenti) non potrebbe reputarsi suscettibile di vincolare le sue determinazioni (né, di riflesso, le valutazioni del giudice), dovendo aversi di mira l’obiettivo primario di verificare la fondatezza dell’istanza alla luce del complessivo tessuto ordinamentale, in vista del soddisfacimento dell’interesse ostensivo finale del richiedente (sempre che, naturalmente, l’istanza non contenga univoche indicazioni volitive del richiedente nel senso dell’applicazione dell’una o dell’altra disciplina regolatrice dell’accesso). >>.
[20] Concorde è sul punto la giurisprudenza di primo e secondo grado: Cons. St., sez. VI, 29 aprile 2019, n. 2737; sez. V, n. 1817 del 2019; sez. V, n. 5502 del 2019; Tar Lazio, sez. III-bis, 28 marzo 2018, n. 3453; Palermo, sez. II, 6 settembre 2018, n. 1905; Liguria, sez. I, 18 marzo 2019, n. 233; Milano, sez. III, 27 dicembre 2019, n. 2750.
[21] Osserva, al riguardo, Cons. St. A.P. n. 10 del 2020 che << 9.7. A tale conclusione non osta il fatto che l’istanza di accesso civico generalizzato non debba rappresentare l’esistenza di un interesse qualificato, a differenza di quella relativa all’accesso documentale, e che non debba essere nemmeno motivata, perché l’interesse e i motivi rappresentati, indistintamente ed eventualmente, al fine di sostenere l’esistenza di un interesse uti singulus, ai fini dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ben possono essere considerati dalla pubblica amministrazione per valutare l’esistenza dei presupposti atti a riconoscere l’accesso generalizzato uti civis, quantomeno per il limitato profilo … del c.d. public interest test. >>.
[22] Questione anch’essa definitivamente risolta dall’Adunanza Plenaria nella parte conclusiva della pronuncia, laddove rileva che << 37.2. Non si deve confondere da questo punto di vista la ratio dell’istituto con l’interesse del richiedente, che non necessariamente deve essere altruistico o sociale né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, per quanto, come detto, certamente non deve essere pretestuoso o contrario a buona fede. 37.3. Ciò che va tutelato è l’interesse alla conoscenza del dato e questa conoscenza non può essere negata …. anche e anzitutto all’operatore economico del settore …  >>. Al riguardo, ci permettiamo di rinviare a Berti. A., Note critiche sulla “funzionalizzazione” dell’accesso civico generalizzato, in www.giustizia-amministrativa.it 11 maggio 2018.
[23] Cons. St. A.P. n. 10 del 2020: << 8.5. Se è vero che l’accesso documentale e quello civico generalizzato differiscono per finalità, requisiti e aspetti procedimentali, infatti, la pubblica amministrazione, nel rispetto del contraddittorio con eventuali controinteressati, deve esaminare l’istanza nel suo complesso, nel suo “anelito ostensivo”, evitando inutili formalismi e appesantimenti procedurali tali da condurre ad una defatigante duplicazione del suo esame.  8.6. Con riferimento al dato procedimentale, infatti, in materia di accesso opera il principio di stretta necessità, che si traduce nel principio del minor aggravio possibile nell’esercizio del diritto, con il divieto di vincolare l’accesso a rigide regole formali che ne ostacolino la soddisfazione. >>.
[24] Così Tar Milano n. 2750 del 2019.
[25] In giurisprudenza vedasi Cons. St. sez. VI 10.09.2009 n. 5451: << A fronte di un'istanza erronea, l'Amministrazione deve richiedere all'interessato la verifica dell'indicazione fornita al riguardo, secondo quanto previsto dall'art. 6 comma 1, lett. b), l. n. 241 del 1990, volto a tutelare la buona fede e l'affidamento del cittadino attraverso la collaborazione dell'Amministrazione al compiuto svolgimento dell'istruttoria nel corso del procedimento. >>.
 
[26] Vedi Tar Liguria, sez. I, 30 luglio 2019, n. 683, che osserva che << .. in applicazione del principio di buona fede, l’Ente resistente a fronte di una domanda dai possibili contenuti incerti anziché rigettare, sulla scorta peraltro dell’applicazione di una norma dalla dubbia applicabilità nel caso di specie, avrebbe dovuto richiedere alla ricorrente un chiarimento al fine di tutelare adeguatamente tanto l’interesse privato azionato dal soggetto istante, quanto l’interesse pubblico sotteso agli artt. 22 e ss l. n. 241 del 1990, quanto, ancora, l’interesse di eventuali controinteressati. >>.
[27] Tar Bari, sez. III, n. 234 del 2018; Lazio, sez. II-ter, 4 maggio 2018, n. 4977; Napoli, sez. VI, 9 maggio 2019, n. 2486.
[28] Così si esprime il Dipartimento della funzione pubblica con la citata circolare n. 2 del 2017: << l’amministrazione, prima di decidere sulla domanda, dovrebbe contattare il richiedente e assisterlo nel tentativo di ridefinire l’oggetto della richiesta entro limiti compatibili con i principi di buon andamento e di proporzionalità. Soltanto qualora il richiedente non intenda riformulare la richiesta entro i predetti limiti, il diniego potrebbe considerarsi fondato, ma nella motivazione del diniego l’amministrazione non dovrebbe limitarsi ad asserire genericamente la manifesta irragionevolezza della richiesta, bensì fornire una adeguata prova, in relazione agli elementi sopra richiamati, circa la manifesta irragionevolezza dell’onere che una accurata trattazione della domanda comporterebbe. >>. E nello stesso senso si è espressa gran parte della giurisprudenza di primo grado (oltre a Tar Bari, sez. III, n. 234 del 2018, Lazio, sez. II-ter, n. 4977 del 2018 e Napoli, sez. VI, n. 2486 del 2019 citate; vedasi anche Tar Toscana, sez. I, 28 gennaio 2019, n. 133. Più cauto, invece, Cons. St., sez. VI, 13 agosto 2019, n. 5702, per il quale il “dialogo cooperativo” in caso di “istanze massive” è una mera facoltà della P.A., non essendovi alcun obbligo nascente dal d.lgs. 33 del 2013, anche perché detto dialogo non può essere utilizzato << per realizzare una sorta d’ortopedia dell’istanza di accesso >>.
[29] Trib. 1° grado UE, sez. IV, 22 maggio 2012 (T300-10), p. 100/110; Trib. 1° grado UE, sez. I, 13 aprile 2005 (T-2/03), p. 99/115.
[30] Tale regola è desunta altresì dal “principio di proporzionalità” (che richiede che gli atti delle Istituzioni comunitarie non eccedano i limiti di ciò che è necessario per il conseguimento degli scopi perseguiti, adottando, tra più misure possibili, sempre quella meno restrittiva dei diritti dei richiedenti) e dal “principio generale di accessibilità” degli atti delle Istituzioni (che impone di interpretare restrittivamente le eccezioni relative alle limitazioni dell’accesso). D’altra parte, si è rilevato che << .. il carico di lavoro necessario per procedere all’esame di una domanda dipende non solo dal numero di documenti oggetto della domanda e dal loro volume ma anche dalla loro natura. Di conseguenza, la necessità di procedere ad un esame specifico e concreto di un numero elevato di documenti non incide assolutamente, di per sé, sul carico di lavoro necessario per trattare una domanda di accesso, in quanto detto carico di lavoro dipende anche dall’approfondimento che tale esame richiede. >> (Trib. UE 13 aprile 2005, p. 111; 22 maggio 2012, p. 102).
[31] Si è detto, al riguardo, che l’Istituzione ha l’onere di provare che la domanda di accesso oltrepassa << i limiti di ciò che può essere ragionevolmente richiesto .. >> (Trib. UE 22 maggio 2012, p. 103).
[32] Sul punto la Plenaria osserva che << 8.7. La coesistenza dei due regimi e la possibilità di proporre entrambe le istanze, anche uno actu, è certo uno degli aspetti più critici dell’attuale disciplina … >>; problematica già rilevata da Cons. St. sez. V, n. 5502 del 2019, che osservava che << Nulla, infatti, nell’ordinamento preclude il cumulo anche contestuale di differenti istanze di accesso >>, << … con evidente aggravio per l’amministrazione (del quale l’interprete non può che limitarsi a dare atto) … >>.
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