15/04/2020 – Appalti di servizi sociali: sulla distinzione tra educatori professionali “socio-sanitari” e “socio-pedagogici”

Appalti di servizi sociali: sulla distinzione tra educatori professionali “socio-sanitari” e “socio-pedagogici”
Consiglio di Stato, sez. V, 14 aprile 2020, n. 2382
Scritto da Elvis Cavalleri 14 Aprile 2020
 
 
Nell’ambito di una gara per l’affidamento di un progetto socio-assistenziale, più precisamente nella fase di verifica di congruità dell’offerta, l’operatore economico collocato al primo posto della graduatoria viene escluso dalla gara, per aver previsto l’impiego di n. 3 educatori mediante contratti di collaborazione coordinata continuativa (co.co.co).
Prima di procedere all’esclusione, la Stazione appaltante aveva inviato una richiesta di parere all’Ispettorato territoriale del lavoro di Roma (nota prot. CN/24574/2019) in merito alla legittimità di una siffatta forma contrattuale. L’Ispettorato, nel proprio parere, ha riportato testualmente il primo comma dell’art. 2 del D.lgs. n. 81/2015, ove è stabilito che “a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”, e parte del secondo comma, segnatamente le lett. a) e b), ai sensi delle quali si esclude l’applicabilità del predetto principio “alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore” e “alle collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali”;
Parimenti l’avvocatura della Stazione appaltante ha ritenuto sussistenti, nel caso di specie, “gli indici previsti dalla normativa per l’applicazione del rapporto di lavoro subordinato”;
L’impresa esclusa ricorre al TAR, che si esprime in primo grado con la pronuncia Tar Lazio, sez. II, 26 giugno 2019, n. 8321, annullando il provvedimento di esclusione.
Il Collegio ha infatti ritenuto:
  • che ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. 81/2015 (c.d. Jobs Act) “Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro” e ai sensi del successivo art. 2 “a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”, fatta eccezione per le “collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali”;
  • che l’art. 1 del decreto ministeriale n. 153018/2018, rubricato “Istituzione degli albi delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione presso gli Ordini dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione”, menziona alla lett. p) del comma 1 l’albo della professione sanitaria di educatore professionale;
  • che lo stesso articolo di legge, al comma 4, stabilisce che “per l’esercizio di ciascuna delle professioni sanitarie in qualunque forma giuridica svolto, è necessaria l’iscrizione al rispettivo albo professionale. L’iscrizione all’albo professionale è obbligatoria anche per i pubblici dipendenti, ai sensi dell’art. 2, comma 3, della legge 1° febbraio 2006, n. 43”;
  • che, dunque, alla luce delle suesposte considerazioni alla figura dell’educatore professionale non si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato prevista dal Jobs Act”.
Secondo la sentenza, dunque, la figura dell’educatore professionale rientrerebbe nella categoria delle professioni sanitarie e, dunque, delle “professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali”, categorie per le quali l’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015 esclude l’applicazione del comma 1 dello stesso articolo, che dispone l’applicazione “della disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
Tale interpretazione non convince il Consiglio di Stato, (sez. V, 14 aprile 2020, n. 2382),   che riforma la pronuncia del Giudice di prime cure.
Secondo il Collegio, “lungi dal costituire una categoria unitaria, sono individuabili due diverse tipologie di “educatori professionali”, per una sola delle quali è però prevista l’iscrizione in apposito albo della professione sanitaria (e per la quale dunque può valere quanto riportato nelle motivazioni della sentenza di primo grado, ossia l’applicabilità della disciplina dell’art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015): in particolare, il d.m. n. 153018 del 2018, richiamato in sentenza, ha effettivamente istituito un albo delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, in cui fa rientrare la figura di educatore professionale socio-sanitario.
Va però detto che la normativa di settore distingue due figure di “educatori professionali”, ossia gli educatori professionali socio-sanitari e gli educatori professionali socio-pedagogici, laddove solo per i primi è prevista la necessaria iscrizione all’albo di cui sopra”.
La lex specialis di gara faceva esclusivo riferimento alla seconda tipologia di operatori, giacché gli “educatori professionali” ivi previsti non svolgono una professione sanitaria, bensì quella di educatori di minori, per i quali non è prevista l’iscrizione ad alcun albo .
Poste tali premesse, conclude il Collegio, “l’amministrazione riteneva sussistenti, nel caso di specie, “gli indici previsti dalla normativa per l’applicazione del rapporto di lavoro subordinato”, alla luce di quanto in precedenza riferito dall’Ispettorato del lavoro (“anche per quanto concerne i titolari di partita Iva, la prestazione lavorativa verrà ritenuta come subordinata in presenza degli indici rilevatori tradizionali che concernono la mancanza di autonomia, l’assoggettamento al potere direttivo, disciplinare ed organizzativo del datore di lavoro […]”).
Il Collegio ha quindi accolto il ricorso, e chiarito che agli educatori professionali “socio-pedagogici” si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato prevista dal Jobs Act, che viceversa non si applica solo a quelli “socio-sanitari”.

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