15/02/2019 – Repressione degli abusi edilizi e onere della prova circa la data di esecuzione dei lavori

Repressione degli abusi edilizi e onere della prova circa la data di esecuzione dei lavori

di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale

Un Comune ha emesso ordinanza di demolizione nei confronti di un manufatto in muratura privo di permesso di costruire e adibito a pertinenza di un immobile ad uso deposito. Il privato si è allora rivolto al Tribunale Amministrativo Regionale, che ha accolto il ricorso diretto ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza di demolizione. Secondo il Tribunale, l’opera in questione altro non sarebbe che un modesto locale-deposito in muratura a suo tempo realizzato dal precedente proprietario ben prima della legge-ponte n. 765 del 1967, in periodi pertanto durante i quali non vigeva alcun obbligo di licenza edilizia, per manufatti realizzati al di fuori del centro urbano. Sempre secondo il T.A.R., è stata disposta la demolizione senza prima procedere ad accertamenti sulla risalenza dell’immobile.

L’Appello al Consiglio di Stato

Il Comune soccombente ha presentato appello al Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 903 del 6 febbraio 2019 lo ha accolto.

Le doglianze del Comune hanno evidenziato innanzitutto violazione e falsa applicazione degli artt. 27 e ss., D.P.R. n. 380 del 2001, che disciplinano la procedura per la demolizione delle costruzioni abusive. Inoltre, sono stati denunciati l’erronea valutazione e il travisamento degli atti e dei fatti, oltre al difetto di motivazione e di istruttoria.

In particolare, il Comune ha criticato la presa di posizione del giudice di primo grado, che a fronte di un manufatto molto risalente nel tempo, ha ritenuto il comportamento del Comune improntato a superficialità istruttoria e motivazionale. L’Amministrazione ha poi evidenziato a supporto della propria decisione, che la stessa è maturata a seguito di sopralluogo, con il quale è stato accertato che per il manufatto in questione non risultano titoli abilitativi urbanistico-edilizi, che l’area di sedime ove ricade il manufatto è di pertinenza degli edifici ERP, parte dei quali proprietà comunale, che difetta nella specie sia di autorizzazione ambientale sia di autorizzazione degli aventi diritto. Altri rilievi rappresentati dal Comune hanno riguardato la sussistenza di un vincolo idrogeologico e di un vincolo paesaggistico-ambientale, in relazione ai quali alcuna autorizzazione era stata rilasciata. Inoltre, si è replicato che gli impianti ed i materiali di costruzione erano di tipologie messe in commercio successivamente agli anni sessanta e che il sito in cui il manufatto era stato realizzato, e cioè all’interno di un complesso di edilizia residenziale per i senza tetto, costituiva centro abitato.

E’ stata inoltre contesta l’affermazione per cui dalla mancata costituzione del Comune nel giudizio di primo grado si è fatta derivare una implicita rinuncia a confutare il dato storico invocato dal privato, idoneo ad escludere il carattere abusivo dell’opera.

Il Comune ha concluso affermando che l’onere della prova circa il tempo di realizzazione del manufatto doveva essere assolto dal privato proprietario.

Il Collegio ha ricostruito l’iter istruttorio sfociato nell’emanazione dell’ordinanza di demolizione, da cui è emerso che:

– a seguito di ricerche presso gli archivi comunali, non sono risultati presenti atti abilitativi urbanistico-edilizi relativi al manufatto dedotto in giudizio;

– l’area di sedime ove insiste il manufatto è di pertinenza degli edifici ERP parte di proprietà comunale, altri riscattati dagli aventi diritto.

A fronte di queste risultanze, il Comune ha disposto la demolizione del manufatto con l’ordinanza impugnata. E’ dunque la mancanza di un idoneo titolo edilizio-urbanistico ad essere stata posta alla base del provvedimento emanato. Dato che emerge anche dalle norme di cui agli artt. 27 e 31D.P.R. n. 380 del 2001, le quali prevedono la sanzione demolitoria per gli interventi eseguiti in assenza del prescritto permesso di costruire. Ciò detto, il Collegio ha ritenuto che l’Amministrazione abbia correttamente assolto al proprio obbligo di motivazione degli atti.

Natura e requisiti del provvedimento di demolizione di fabbricati abusivi

Nel merito, ha inoltre osservato che per costante giurisprudenza, l’attività di repressione degli abusi assume carattere vincolato e non discrezionale. Sempre secondo il Giudice d’Appello, l’ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell’abuso corrisponde per definizione all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato. Di conseguenza, essa è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività.

Perché dunque il provvedimento che ordina la demolizione sia legittimo, occorre che sia assistito dai seguenti elementi:

– affermazione della accertata abusività dell’opera, attraverso la descrizione delle opere stesse;

– constatazione della loro esecuzione in assenza del necessario titolo abilitativo;

– individuazione della norma applicata.

Ogni altra indicazione esula dal contenuto tipico del provvedimento.

Ripartizione dell’onere della prova

Inoltre, per il Consiglio di Stato l’Amministrazione non doveva dare indicazioni in ordine all’epoca di realizzazione dell’illecito, non rientrando tale verifica tra i contenuti dell’ordinanza di demolizione avente ad oggetto l’accertamento dell’abuso esistente. L’esistenza nell’attualità sul territorio comunale dell’opera abusiva rende l’illecito connotato da caratteri di permanenza, con la conseguenza che l’ente locale può ordinarne la demolizione sulla base della riscontrata assenza del titolo abilitativo.

Il Collegio ha condiviso l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’onere della prova in ordine alla data di realizzazione dell’opera edilizia – sia al fine di poter fruire del beneficio del condono edilizio sia al fine di poterne escludere la necessità di titolo abilitativo per essere realizzata al di fuori del centro abitato in epoca antecedente alla legge “ponte” n. 765 del 1967 – grava sul privato. L’onere probatorio risulta traslato sull’Amministrazione solo nel caso in cui il privato abbia fornito concreti elementi, altamente probanti, in ordine alla data di realizzazione dell’abuso, quali inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto. Non risultano sufficienti, a tal fine, le generiche asserzioni del privato e le dichiarazioni rilasciate da terzi.

Dichiarazioni sostitutive di atto notorio e processo amministrativo

Il ricorrente in primo grado ha fatto ricorso alle dichiarazioni rese da due privati che hanno sostenuto la realizzazione del manufatto negli anni sessanta, prima della legge “ponte”. Il Collegio ha rilevato che tali dichiarazioni non sono sufficienti a fornire prova dell’epoca di realizzazione del manufatto, in forza dell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà non sono utilizzabili nel processo amministrativo e non rivestono alcun effettivo valore probatorio, potendo costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l’attività istruttoria dell’amministrazione. Le dichiarazioni non sono sufficienti alla prova della data di ultimazione dei lavori, dovendo essere supportate da ulteriori riscontri documentari, eventualmente indiziari, purché altamente probanti, ritenendosi allo scopo utili peculiari atti, quali fatture, ricevute relative all’esecuzione dei lavori ed all’acquisto dei materiali, bolle di consegna.

Cons. di Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 903

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