12/02/2020 – ICI, Onlus, attività commerciale

ICI, Onlus, attività commerciale
Sentenza del 17/12/2019 n. 1889 – Comm. Trib. Reg. per la Toscana Sezione/Collegio 7
 
Testo:
Il Comune di Pistoia notificava alla F. F. T. – Ente Morale Onlus un avviso di accertamento per incompleto pagamento dell’Ici per l’anno 2010 con una differenza d’imposta di euro 2,464, 00, oltre sanzioni ed interessi. L’ente territoriale riteneva infatti che a mente dell’articolo 7 co. l del decreto legislativo 504/92, non spettava l’esenzione dall’imposta per quei locali della struttura non destinati allo svolgimento di finalità istituzionali non commerciali (trattavasi di locali in cui venivano svolte prestazioni medico- sanitarie professionali retribuite).

Impugnava l’accertamento la Onlus adducendo l’applicabilità dell’art. 7 richiamato era da ritenere esclusa solo nel caso di esercizio di attività esclusivamente e non solo parzialmente di natura commerciale, per cui l’esenzione spettava posto che le attività d’ordine sanitario rientrando pur sempre nell’ambito di un servizio pubblico erano da reputare di rilevanza sociale.

La commissione di primo grado rigettava il ricorso con compensazione delle spese anche sulla base della convenzione stipulata con l’Azienda Sanitaria da cui emergeva che parte dei locali posseduti dalla Fondazione erano stati utilizzati per svolgere attività sanitarie libero-professionali private con finalità lucrative ed imprenditoriali, per cui era da ritenere mancante sia il requisito soggettivo essendo stati utilizzati gli immobili da un soggetto diverso da quelli indicati nell’articolo 87 comma l lettera c del d.p.r. 917/86, sia quello oggettivo perché era stata esercitata un’attività diversa da quella per la quale spettava l’esenzione a termine di legge (articolo 7 co. l lettera i) del d.lgs. 504/92).

Interponeva appello la contribuente ribadendo la tesi della spettanza dell’esonero parziale dal pagamento dell’imposta richiamando l’accreditamento della Regione Toscana rilasciato per le attività sanitarie e sottolineando che le prestazioni effettuate da personale medico – sanitario privato erano praticate a prezzi inferiori a quelli di mercato e che gli eventuali utili percepiti dalla Fondazione, a mente del proprio statuto, erano tutti reinvestiti nei servizi offerti dalla struttura in conformità della generale finalità di solidarietà sociale perseguita dall’ente.

Respinta la preliminare richiesta di sospensione cautelare dell’efficacia della sentenza impugnata, all’odierna udienza le parti rassegnavano le conclusioni riportate a verbale e la Commissione assumeva la decisione che appresso si motiva.

Motivazione
Ritiene la commissione che non sussistano i requisiti di legge per l’esenzione, per quanto parziale, dal pagamento dell’imposta invocata dalla F. T. alla stregua di una giurisprudenza di legittimità che si è andata formando in maniera univoca.

La messa a disposizione di parte dei locali della struttura per lo svolgimento di una attività medico-sanittaria professionale e remunerata non risulta contestata e del resto, come evidenziato dal Comune resistente, il dato emerge con chiarezza anche dal DM col quale è stata antorizzata (a certe condizioni tra cui quella di non interferire con le prestazioni rese dal SSN).

Ciò posto si osserva che l’articolo 7 co. l lettera i) del d.lgs. 504/92 stabilisce che l’esenzione dall’imposta locale richiede contemporaneamente il rispetto di tre requisiti: vi dev’essere un utilizzo diretto da parte di un ente non-profit riconducibile alla definizione data dall’articolo 73 lettera C del Tuir; l’attività effettivamente svolta nell’immobile deve rientrare nell’ambito di quelle individuate dalla norma sopra citata (attività previdenziali e assistenziali, sanitarie, didattiche, sportive e ricreative eccetera); essa deve essere esercitata con modalità non commerciali prive di scopo di lucro, attuative di principi di solidarietà e sussidiarietà e, per loro natura, non in concorrenza con altri operatori del medesimo settore.

Al riguardo la Corte di Cassazione (sentenze n. 5747/2005 e n. 10092/2005) aveva già avuto modo di statuire che la disposizione in esame esige altresì che l’utilizzo dell’immobile per le attività agevolate sia totale.

Di seguito i giudici delle Supremo Collegio (ved. sentenze n. 14225/2015n. 10754/17 e 3528/2018) hanno stabilito che gli enti non commerciali non sono esonerati dal pagamento dell’imposta locale per il fatto di essere accreditati o convenzionati con la pubblica amministrazione, non garantendo la sottoscrizione di convenzioni che l’attività sia svolta in forma non commerciale e che i compensi richiesti non siano riconducibili ad un ambito imprenditoriale.

Anche con pronunce più recenti la Corte di Cassazione si è mantenuta nel solco interpretativo sopra rievocato: ved. sentenza n. 8073 del 21/3/2019 e ordinanza 10124 del 11/4/2019; in particolare con quest’ultima decisione ha puntualizzato che non spetta l’esenzione dai tributi locali in relazione ad immobili utilizzati per lo svolgimento di attività sanitarie, andando di contrario avviso rispetto allo stesso Ministero delle Finanze che ,aveva ritenuto col Dm 200 del 2012 sempre svolte con modalità non commerciali le attività accreditate, contrattualizzate o convenzionate con la P.A.; con tale provvedimento, privo di valore di legge, ha ritenuto la Corte, il Dicastero aveva tracimato dall’ambito delle proprie competenze e attribuzioni posto che l’articolo 91 bis del d.l. L/2012, cui il Dm citato dovrà dare attuazione, non demandava all’esecutivo la definizione del concetto di modalità non commerciale, ma unicamente determinazione delle modalità di calcolo dell’imposta nei casi di utilizzazione mista di un immobile.

L’indirizzo interpretativo sopra delineato non è stato contraddetto dalla sentenza n. 9787 del 19 aprile 2017, impropriamente richiamata dall’appellante a sostegno della propria tesi per inferirne che le disposizioni di legge consentirebbe l’esenzione dall’imposta anche per gli immobili in parte destinati ad attività dì natura commerciale sulla base di convenzioni e/o accreditamenti. Tale pronuncia infatti si limitava a sostenere che la finalità perseguite dalla struttura immobiliare legittimerebbe l’esenzione non solo quando l’attività riconducibile ad una delle finalità sociali prevista dalla legge sia concretamente attuata, ma anche quando sia soltanto potenziale e destinata ad essere attuata al termine dell’iter procedimentale burocratico, senza far discendere la possibilità di una esenzione dall’imposta anche nel caso di un parziale uso commerciale. Nella motivazione di quella decisione infatti viene chiaramente puntualizzato che una volta avvenuta ‘l’edificazione dell’immobile e l’eventuale destinazione di parte di esse a finalità commerciali, i relativi fabbricati resteranno soggetti ad ICI, subendo un trattamento fiscale non agevolato”.

Facendo applicazione dei principi enunciati sul terreno della nomofilachia l’esenzione invocata dall’appellante non può ritenersi spettante. Né in questo contesto può ritenersi persuasiva la tesi secondo cui per una sorta di proprietà transitiva, l’attività libero professionale sanitaria svolta da altri finiva per mutuare gli scopi di rilevanza sociale propri della Onlus. Non vi è chi non veda infatti che una tale interpretazione finisce per andare in direzione contraria alla voluntas legis in quanto in concreto l’ente possessore potrebbe perseguire un’attività commerciale a scopo di lucro ponendo le proprie strutture a disposizione di terzi privati imprenditori limitandosi a destinare, come si adduce nel caso di specie, gli eventuali proventi ricavabili (tolti i compensi ai professionisti privati) al perseguimento delle collaterali finalità istituzionali. Va respinta altresì la richiesta di dichiarare non dovute le sanzioni ai sensi dell’articolo 10 terzo comma della legge 212/2000 e dell’articolo 6 comma 2 del decreto legislativo 472/97, pure avanzata dall’appellante, non ravvisandosi né nell’architettura della disposizione di legge né nell’evoluzione della giurisprudenza obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria o che possa configurarsi una mera violazione formale non comportante alcun debito d’imposta.

Va pertanto confermata la sentenza oggetto di gravame.

Segue la condanna dell’appellante al pagamento delle spese processuali che, in applicazione del D.M. 55/2014, tenuto conto della complessità e del valore della causa ed applicata la diminuzione prevista dall’articolo 15 co. 2 sexies del decreto legislativo 546/92, vengono liquidate nei valori tra i minimi e i medi di cui al detto D.M. come indicato in dispositivo.

P.Q.M.
La Commissione rigetta l’appello e conferma la sentenza impugnata. Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 1.120,00, oltre rimborso forfettario.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del 18/11/2019

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