08/10/2019 – Aree occupate, no a multe facili – Non ha colpa il proprietario che non demolisce gli abusi

Aree occupate, no a multe facili – Non ha colpa il proprietario che non demolisce gli abusi
di DARIO FERRARA – Italia Oggi Sette – 07 Ottobre 2019
Se l’ immobile è occupato abusivamente, il comune non può pretendere che il proprietario demolisca le opere contro legge realizzate dai terzi. L’ interessato, infatti, non ha la disponibilità del bene e risulta dunque escluso che possa essere multato perché non provvede alla rimessione in pristino; né il cespite può essere acquisito al patrimonio dell’ ente. Neppure lo sgombero dell’ area compete al privato, in quanto vige il principio Ue secondo cui «chi inquina paga». Il tutto a patto che il destinatario dell’ ordinanza si sia già rivolto alla procura della Repubblica segnalando la situazione anomala nella sua proprietà. È quanto emerge dalla sentenza 1007/19, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Lombardia.
Ordine privato. Accolto il ricorso della società immobiliare: il suo terreno è invaso da anni da una vera e propria comunità illegale che ha costruito baracche, coltiva orti e svolge piccole attività artigianali con allacci abusivi alla rete elettrica. L’ azienda proprietaria ha presentato una denuncia-querela ai carabinieri dei Nas, ma gli occupanti hanno recintato il terreno, chiudendolo con cancelli e lucchetti. Insomma: non hanno alcuna intenzione di andarsene. L’ ordinanza dell’ amministrazione risulta illegittima per due motivi: da una parte è escluso che si possa imporre la demolizione dei manufatti abusivi al proprietario che non può entrare sul suo fondo, si tratta infatti di un obbligo di facere inesigibile; dall’ altro il provvedimento del comune pone rimedio a una questione di ordine pubblico scaricandola su di un privato, mentre dovrebbero risolverla le istituzioni. La condotta dell’ immobiliare, quindi, non contrasta con obblighi giuridici: ecco perché cadono sia la sanzione di 20 mila euro sia l’ acquisizione al patrimonio dell’ ente locale.
Giustizia privata. Lo stesso principio vale per l’ area occupata abusivamente dai nomadi: non è il proprietario che deve ripulire, mettere in sicurezza e recintare il fondo. O almeno: non è il comune che glielo può imporre con un’ ordinanza se manca la prova del dolo o della colpa da parte del titolare del terreno nel deposito incontrollato di rifiuti. È quanto emerge dalla sentenza 1482/15, pubblicata dalla terza sezione del Tar Lombardia. Annullato perché illegittimo il provvedimento adottato da un comune in provincia di Milano dopo l’ incendio che ha interessato l’ area. In origine c’ era una comunità di giostrai in affitto ma in seguito si sono aggiunti insediamenti di abusivi che oggi non pagano alcun canone e si attaccano ai contatori dell’ elettricità rubando l’ energia: si sospetta che proprio dall’ allacciamento non autorizzato si sia sviluppato il rogo.
Il punto è che l’ amministrazione locale sa che nel campo ci sono occupanti senza titolo e non può imporre al proprietario un’ attività che si risolverebbe nel farsi giustizia da sé: nessun privato può infatti procedere in proprio a sgomberare un terreno e a portare via i beni presenti senza il consenso degli interessati. E per le questioni di ordine pubblico serve sempre l’ intervento delle autorità. Infine: soltanto chi è corresponsabile dell’ abbandono incontrollato dei rifiuti può essere costretto alla rimessione in pristino dal provvedimento amministrativo: manca la prova della responsabilità in capo al proprietario del terreno.
Terzietà decisiva. È ancora il principio Ue «chi inquina paga» che impedisce al comune di ordinare al curatore fallimentare la bonifica dell’ area di pertinenza della società insolvente: l’ organo concorsuale, infatti, non rappresenta il successore dell’ imprenditore in default ma ha soltanto un incarico pubblico finalizzato a liquidarne i beni; mentre i costi della rimozione dei rifiuti non possono essere scaricati addosso ai creditori del fallito, che nulla c’ entrano con l’ inquinamento del sito. Una volta chiusa la procedura sarà l’ assegnatario del fondo a dover provvedere alla messa in sicurezza. È quanto emerge dalla sentenza 4078/18, pubblicata dalla quinta sezione del Tar Campania. Annullata l’ ordinanza di ripristino emessa dal sindaco in base all’ articolo 192 del decreto legislativo 152/06. Il ricorso della curatela è accolto perché l’ organo concorsuale non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità del fallito, tranne che sugli aspetti connessi in modo specifico all’ eventuale esercizio provvisorio dell’ impresa. Il professionista, infatti, è un terzo nominato dal giudice soltanto per amministrare i beni dell’ insolvente e non rappresenta la massa dei creditori: risulta dunque escluso che «erediti» specifiche posizioni negoziali del fallito.
E non può essere destinatario dell’ ordine di bonificare l’ area laddove sul curatore non incombono gli oneri inadempiuti dal fallito per dolo o per colpa. Insomma: l’ amministrazione locale non ha il potere d’ imporre obblighi di facere al curatore né di pretendere comportamenti attivi. Interesse legittimo. È vero invece il contrario: il fallimento ha diritto, per esempio, a ottenere una risposta dal comune dopo averlo diffidato a sgomberare l’ immobile occupato dal momento che è inagibile. Va ritenuto rilevante, infatti, l’ interesse che muove l’ organo concorsuale: il fabbricato incriminato risulta parte cospicua della massa fallimentare, mentre i locali non hanno il certificato di prevenzione incendi e dunque sono a rischio rogo: l’ amministrazione deve dunque valutare se ricorrere ai poteri straordinari, quindi a un’ ordinanza contingibile e urgente del sindaco.
È quanto emerge dalla sentenza 46/2019, pubblicata dalla prima sezione del Tar Abruzzo. Il ricorso proposto dal fallimento della srl viene accolto in quanto è pacifico che l’ immobile non ha il certificato di agibilità: l’ ente locale deve rispondere entro trenta giorni decidendo che fare. Le fiamme all’ interno dello stabile possono sprigionarsi per esempio a causa dei continui furti di energia elettrica compiuti dagli occupanti per illuminare gli spazi. Senza dimenticare l’ uso dei garage. In effetti l’ organo concorsuale non chiede l’ accertamento dell’ occupazione abusiva dell’ edificio né la condanna degli squatter a rilasciare l’ immobile: diffida soltanto il comune a esercitare i propri poteri di controllo e repressione che gli derivano dai testi unici dell’ edilizia, delle legge sanitarie e anche degli enti locali. Il fallimento, insomma, sollecita l’ esercizio di poteri autoritativi di fronte ai quali il privato vanta una situazione giuridica di interesse legittimo.
Risposta sproporzionata. Ancora. Il comune non può restare in silenzio di fronte all’ istanza della società proprietaria dell’ edificio che chiede di sgomberare il fabbricato occupato da abusivi, che sono stati identificati dalla polizia e colpiti da un decreto penale di condanna per invasione. Ma il provvedimento emesso dal giudice per le indagini preliminari non legittima di per sé l’ immobiliare a ottenere dal sindaco un’ ordinanza contingibile urgente: mancano infatti l’ emergenza sanitaria e di igiene e il rischio-criminalità, mentre la valutazione sul punto è «altamente discrezionale». È quanto emerge dalla sentenza 1470/18, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Toscana. Per evitare i rischi degli allacci abusivi basta far scortare i tecnici dell’ azienda elettrica dalla polizia: lo sgombero del fabbricato solo per questo motivo sarebbe una risposta sproporzionata. Senza dimenticare che proprio grazie al decreto penale emesso dal giudice a carico degli occupanti abusivi l’ immobiliare potrebbe attivare i rimedi previsti dall’ ordinamento per la tutela del diritto di proprietà.

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