08/09/2018 – Limiti alla “movida”: i sindaci in bilico tra diritto al lavoro e diritto al riposo

Limiti alla “movida”: i sindaci in bilico tra diritto al lavoro e diritto al riposo

di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale

Una società attiva nell’ambito della somministrazione di alimenti e bevande ha proposto ricorso al competente Giudice di Pace contro due verbali emessi dall’Autorità di vigilanza comunale, in base ai quali la ricorrente avrebbe violato le prescrizioni contenute in apposita ordinanza comunale relativa alla disciplina degli orari in una determinata zona del centro storico. L’ordinanza si proponeva di limitare le aperture dei locali oltre una certa ora. Ma il magistrato onorario ha rigettato l’opposizione con sentenza confermata in grado d’appello davanti al Tribunale ordinario. A questo punto, alla società non rimaneva che proporre ricorso per Cassazione, che si è pronunciata con ordinanza 30 luglio 2018, n. 20073 rigettando il gravame.

Davanti alla Suprema Corte, l’impresa ha ritenuto di criticare la sentenza impugnata per erronea applicazione della legge, in quanto la limitazione degli orari non dovrebbe essere materia da disciplinare con un’ordinanza sindacale emessa ai sensi dell’art. 50 del TUEL. Ma secondo la Cassazione, le amministrazioni comunali possono regolare l’attività degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, proprio ai sensi dell’art. 50, comma 7, D.Lgs. n. 267 del 2000, graduando, in funzione della tutela dell’interesse pubblico prevalente, gli orari di apertura e chiusura al pubblico. Ciò detto, la Corte non manca di rilevare come la materia degli orari sia stata sostanzialmente liberalizzata dall’art. 31D.L. n. 201 del 2011, che intervenendo sull’art. 3D.L. n. 223 del 2006, ha stabilito che le attività commerciali e della somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza limiti e prescrizioni quali il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio. Tuttavia, si precisa anche che i sindaci possono intervenire a regolare la materia a tutela della sicurezza, dell’ordine pubblico e della quiete pubblica. In conclusione, l’impianto regolatorio adottato dal Comune è stato ritenuto legittimo.

Regolazione degli orari: un conflitto insanabile

La polemica intorno al rumore nelle zone dei centri storici infuria da sempre in tutte le città italiane, con punte di vero e proprio allarme sociale soprattutto nei luoghi più vocati ad ospitare la movida. Dopo la liberalizzazione assoluta degli orari, la difficile convivenza tra attività economiche e diritto al riposo dei residenti continua a tenere banco nelle aule dei Tribunali. I problemi nascono a causa della grande concentrazione di presenze, estesa alle ore serali e notturne attorno alle strade e piazze dei nuclei storici, accompagnata da quel poco decoroso spettacolo fatto di schiamazzi, rifiuti abbandonati in ogni dove, bottiglie e bicchieri di vetro infranti. A puntare il dito contro gli eccessi della vita notturna sono soprattutto i residenti, che vedono violata la propria tranquillità e il diritto al riposo. Sul versante opposto si collocano le attività commerciali e i pubblici esercizi, che sull’onda delle liberalizzazioni degli orari, invocano il diritto al lavoro. Nel mezzo stanno le Amministrazioni comunali, che si trovano a dover mediare tra queste opposte e conflittuali esigenze.

La giurisprudenza costituzionale e amministrativa sugli orari: alcuni casi

Dall’esame della casistica, rimangono i sindaci i garanti del funambolico equilibrio tra le esigenze di vivibilità dei centri storici e le istanze di sviluppo economico delle attività in essi insediate.

Dopo la sentenza n. 299 del 2012 della Corte Costituzionale, che ha fissato alcuni paletti alla libertà di apertura indiscriminata, le Amministrazioni hanno visto aprirsi uno spiraglio per regolamentare un ambito che sembrava definitivamente sfuggito loro di mano. Secondo la Corte, “la liberalizzazione dell’orario degli esercizi commerciali così come delle giornate di apertura, tuttavia, non determina alcuna deroga rispetto agli obblighi e alle prescrizioni cui tali esercizi sono tenuti in base alla legislazione posta a tutela di altri interessi costituzionalmente rilevanti quali l’ambiente, l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza, la salute e la quiete pubblica” che non devono subire un pregiudizio dalla liberalizzazione degli orari.

Sulla stessa linea anche la Giurisprudenza amministrativa, che ha affermato come “la circostanza che il regime di liberalizzazione degli orari sia applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione, non preclude all’amministrazione comunale la possibilità di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività, per comprovate esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica”. (Cons. di Stato, 30 giugno 2014, n. 3271).

Con la sentenza 3 novembre 2015, n. 1425, il T.A.R. Brescia si è pronunciato su un ricorso presentato da un gruppo di imprenditori della somministrazione – gestori di bar, caffè e pub situati nel centro di una città capoluogo – contro un regolamento comunale e un’ordinanza del Sindaco, con i quali l’Amministrazione ha inteso disciplinare il fenomeno della “Movida”. Nel caso che ha occupato il Collegio bresciano, con i provvedimenti di cui sopra il Comune ha definito, per le attività autorizzate al consumo sul posto, quali pubblici esercizi, circoli privati e negozi di generi alimentari, una serie di limiti relativi all’orario di apertura e alla possibilità di vendere per asporto bevande in contenitori di vetro, compresa la previsione di una cauzione per l’uso dei bicchieri in vetro e fermo l’impegno degli esercenti a garantire la pulizia delle strade e la lotta al degrado. Inoltre, è stato introdotto un particolare “meccanismo premiante” costituito da accordi tra Amministrazione e gestori, in base al quale a fronte di azioni finalizzate a minimizzare gli impatti delle varie attività sul contesto (contenimento del disturbo, iniziative a sfondo sociale sul “bere responsabile”, limiti all’uso delle slot machine, ecc.), il Comune avrebbe concesso la possibilità di estendere l’orario di apertura di un’ora.

Il T.A.R. Brescia ha concluso ritenendo il ricorso parzialmente fondato. Ha respinto i motivi attinenti all’eccessiva discrezionalità dell’intervento regolatore comunale, in quanto da un punto di vista generale la giurisprudenza nazionale e comunitaria, richiamata in Sentenza, ha da tempo riconosciuto l’esistenza di limiti all’esercizio della libertà di impresa, peraltro già evincibili dalla lettura dell’art. 41Cost.

Stessa sorte hanno subito le doglianze riferite al meccanismo premiante, che è stato ritenuto legittimo, in quanto nel chiedere ai gestori di attivare iniziative di contenimento degli impatti a fronte di una contropartita in termini di ampliamento dell’apertura, non è possibile ravvisare alcun trasferimento di pubbliche funzioni in capo ai privati, ma si tratta di benefici concessi a fronte di prestazioni ben precise.

Di diverso avviso è stato invece il T.A.R. per quanto riguarda l’obbligo, per i gestori, di adottare ogni misura necessaria ad evitare il degrado e a mantenere l’ordine e la pulizia delle aree attigue ai locali. Qui il Giudice, accogliendo il ricorso, ha ravvisato un indebito trasferimento sui privati di funzioni polizia locale e igiene urbana che appartengono alla pubblica istituzione e che questa, in assenza di una specifica previsione di legge a riguardo, non può declinare in modo indeterminato a carico dei privati gestori.

Cass. Civ., Ord., 30 luglio 2018, n. 20073

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