07/09/2018 – La convenzione con l’avvocato che stabilisce un compenso forfettario attrae anche le attività svolte oltre la scadenza della stessa

La convenzione con l’avvocato che stabilisce un compenso forfettario attrae anche le attività svolte oltre la scadenza della stessa

di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone

Un avvocato aveva sottoscritto con l’amministrazione un rapporto convenzionale per svolgere prestazioni d’opera professionale, in materia legale, giudiziale ed extragiudiziale per la durata di un anno dalla sua sottoscrizione. A seguito della scadenza del contratto, il professionista aveva continuato a prestare la sua attività fino alla definizione dei giudizi pendenti al momento della cessazione della convenzione, svolgendo un’attività che, in quanto svolta al di fuori della stessa convenzione, doveva essergli retribuita secondo le tabelle forensi vigenti, ed ha chiesto, quindi, la condanna del Comune al pagamento delle competenze professionali maturate per tale attività ulteriori. Il Tribunale di prime cure ha rigettato la domanda, precisando come il professionista non possa vantare alcun diritto ad ulteriori compensi per l’attività professionale svolta dopo la cessazione della convenzione, in mancanza di qualsiasi provvedimento formale che la disciplini, sicché nessun obbligo contrattuale può dirsi sussistente in capo all’amministrazione convenuta per l’attività reclamata. In misura non diversa la Corte di Appello ne ha rigettato la domanda sui maggiori compensi reclamati, non ritenendo sufficienti le deduzioni del professionista, secondo cui le ulteriori attività svolte, al di fuori della convenzione, erano assistite da formali provvedimenti dell’ente locale e legittimata dalle delibere di conferimento dell’incarico con la conseguenza che, in assenza di una pattuizione delle parti ed anche in deroga ad essa, l’attività professionale avrebbe dovuto essere disciplinata dalle tariffe professionali in vigore. Su tale ultimo punto, rileva la Corte territoriale come in mancanza di una copertura finanziaria e di un relativo impegno di spesa, con conseguente copertura finanziaria certificata dal responsabile della ragioneria, le ulteriori attività reclamate sono affette da nullità, in quanto la stessa legge prevede la comminatoria di nullità per gli impegni di spesa assunti senza la preventiva attestazione di copertura finanziaria. Ne consegue, ha concluso la Corte di Appello, che, come correttamente statuito dal tribunale, il professionista non può vantare alcun diritto ad ulteriori compensi non avendovi alcun titolo ed, in ogni caso, non avendo allegato né chiesto di provare che l’attività legale, complessivamente svolta per il Comune, in virtù della citata convenzione, sia stata tale da rendere insufficiente il compenso forfettario prestabilito anche applicando, per ogni attività, i minimi di legge.

Avverso la sentenza di rigetto, ricorre il professionista in Cassazione precisando l’errore in cui è incorsa la Corte territoriale per essersi pronunciata sulla nullità del contratto in mancanza di specifico impegno di spesa, non essendo stata sollecitata tale eccezione da parte del Comune. In particolare la Corte di Appello ha rigettato il ricorso del professionista sulla base della seguente motivazione “l’attività svolta dal legale extra convenzione, ovvero oltre l’anno solare di efficacia della stessa, in quanto non autorizzata dall’amministrazione comunale a mezzo di alcun provvedimento formale contenente la relativa previsione di spesa, non può far nascere in capo a quest’ultima alcun obbligo di natura contrattuale”.

La conferma della Suprema Corte

Secondo i giudici di Piazza Cavour il ricorso non merita accoglimento, in quanto anche a voler ammettere che le eccezioni rilevate dalla corte d’appello, come esposte dal ricorrente, non siano state sollevate dalle parti nel corso del giudizio di primo grado o di secondo grado né dal tribunale con la sentenza appellata, la corte d’appello ben avrebbe potuto rilevare d’ufficio i fatti posti a fondamento delle stesse, la cui risultanza dagli atti del giudizio neppure risulta contestata, e trarne, come ha fatto, le corrispondenti conseguenze giuridiche, senza, per questo, incorrere nel denunciato vizio di ultrapetizione. Inoltre, avuto riguardo al fatto che il Comune non abbia mai spiegato alcuna domanda riconvenzionale e soprattutto alcuna domanda di nullità in merito alla convenzione ed agli incarichi espletati dal professionista, anche successivamente allo spirare del termine di efficacia della convenzione, tale eccezione non merita favorevole accoglimento. Infatti, precisa la Cassazione, sulla base dei fatti su cui le pretese si basano come risultanti dalle acquisizioni processuali, ben possono le stesse essere rilevate d’ufficio dal giudice alla stregua delle eccezioni «in senso lato» o «improprie», proprio a partire dalla nullità del contratto. Le motivazioni della Corte di Appello, appaiono del tutto condivisibili in quanto ha ritenuto che l’attore non potesse vantare alcun diritto ad ulteriori compensi per l’attività professionale svolta dopo la cessazione della convenzione, dal momento che, quand’anche l’attività svolta in tale periodo non dovesse intendersi come convenzionalmente compresa nel compenso forfettario pattuito tra le parti, tale attività sarebbe stata svolta dal professionista al di fuori di qualsiasi formale provvedimento dell’ente locale, ossia non legittimata da delibere autorizzative e convenzioni, per cui nessun obbligo contrattuale sarebbe comunque ravvisabile a carico del Comune, essendo noto che ogni contratto di cui sia parte una pubblica amministrazione deve essere stipulato, a pena di nullità, in forma scritta, a norma degli artt. 16 e 17, R.D. n. 2240 del 1923, e deve essere preceduto, sempre a pena di nullità, da una delibera di conferimento dell’incarico attestante la necessaria copertura finanziaria.

Sulla base dei sopra indicati motivi il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente a rimborsare al Comune le spese di lite oltre al raddoppio del contributo unificato.

Cass. Civ., Sez. II, 16 luglio 2018, n. 18848

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