08/05/2020 – Le principali pronunce e indirizzi della Corte dei Conti-15/30 aprile 2020

Le principali pronunce e indirizzi della Corte dei Conti-15/30 aprile 2020
di Cristina Montanari – Responsabile dell’Area Finanziaria e Vicesegretario del Comune di Serramazzoni
 
La Giurisprudenza Consultiva
CONTABILITA’ E CONTROLLI
– I proventi da alienazioni di immobili di edilizia residenziale pubblica ex art. 1L. n. 560/1993, e art. 13, comma 1, D.L. n. 112/2008 (come modificato dall’art. 13, comma 1, lett. a), D.L. n. 47/2014) hanno natura di «entrate vincolate a destinazione specifica», ai sensi dell’art. 180, comma 3, lett. d), TUEL.
– In tema di adeguamento del compenso dei revisori dei conti presso gli Enti locali, con specifico riferimento all’interpretazione dell’art. 241 TUEL a seguito dell’entrata in vigore del D.I. 21 dicembre 2018 di aggiornamento dei compensi, ed alla luce del complesso quadro interpretativo desumibile dalla giurisprudenza contabile in argomento, con particolare riferimento alla più recente pronuncia nomofilattica della Sezione delle Autonomie, la Sezione esclude che, in via generale, possa riconoscersi la facoltà per gli enti di un possibile adeguamento del compenso, in corso di rapporto, che, di norma, resta fissato nella misura deliberata in origine. Tuttavia, facendo riferimento, tra l’altro, alle “finalità perseguite dal decreto di adeguamento, oltre che a quanto stabilito, in via generale dall’art. 36 della Costituzione, disposizione immediatamente precettiva“, la Sezione delle Autonomie ha dettato il principio di diritto in forza del quale “alla luce dei nuovi limiti massimi e dei nuovi parametri recati dal D.I. 21 dicembre 2018, emesso di concerto tra il Ministro dell’Interno e quello dell’Economia e delle Finanza, ferma la previsione di cui al comma 7 dell’art. 241 del TUEL, è facoltà degli enti locali procedere, ai sensi degli artt. 234 e 241 del TUEL, ad un rinnovato giudizio circa l’adeguatezza dei compensi liquidati anteriormente al predetto decreto alla stregua dei limiti massimi fissati dal D.M. 20 maggio 2005 e, se del caso, provvedere ad una rideterminazione degli stessi al fine di ricondurli nei limiti di congruità e di adeguatezza, previa attenta verifica della compatibilità finanziaria e della sostenibilità dei nuovi oneri” (delibera n. 14 del 2019/QMIG). Al riguardo occorre evidenziare, in tale ambito, il potere discrezionale degli Enti locali, trattandosi di valutazioni connotate da discrezionalità, ancorché tecnica, di esclusiva competenza dell’Organo d’indirizzo politico.
– Secondo un costante filone giurisprudenziale, le lettere di patronage “forte” devono considerarsi una forma d’indebitamento, soggetta ai limiti dettati dall’art. 204 del TUEL. In quanto figura giuridica non codificata nei suoi elementi costitutivi, la lettera di patronage, sia “debole” che “forte” e quand’anche sottoscritta da organo funzionalmente non competente, potrebbe talora anche ritenersi idonea a far sorgere legittimo affidamento, presso il creditore destinatario, in ordine al buon esito dell’operazione di finanziamento; elemento -questo- rilevante quale possibile fonte di responsabilità, quanto meno precontrattuale ex artt. 1336 e 1337 c.c., e quindi foriero di effetti sul bilancio dell’Ente. Va quindi rammentato che, con riguardo alle garanzie tipiche e atipiche a carico degli enti pubblici, la norma di riferimento è dettata dal principio contabile applicato della contabilità finanziaria, punto 5.5 dell’Allegato 4/2 al D.Lgs. n. 118/2011, che testualmente dispone: “il trattamento delle garanzie fornite dall’ente sulle passività emesse da terzi è il seguente: al momento della concessione della garanzia, in contabilità finanziaria non si effettua alcuna contabilizzazione“, giacché il debito di cui trattasi è solo eventuale, e discende unicamente dall’ipotesi in cui la società partecipata -debitrice principale- risulti inadempiente/insolvente. La norma poi aggiunge: “nel rispetto del principio della prudenza, si ritiene opportuno che, nell’esercizio in cui è concessa la garanzia, l’ente effettui un accantonamento tra le spese correnti tra i “Fondi di riserva e altri accantonamenti”. Tale accantonamento consente di destinare una quota del risultato di amministrazione a copertura dell’eventuale onere a carico dell’ente in caso di escussione del debito garantito“. La violazione del suesposto principio contabile è idonea a compromettere la veridicità e attendibilità del bilancio. In difetto di tale accantonamento integrale, l’esistenza di una garanzia debitoria comporterà l’obbligo di computare gli oneri per interessi, assunti con la menzionata lettera di patronage, in relazione al limite stabilito dall’art. 204 del TUEL. L’obbligo di appostamento contabile degli impegni derivanti da lettere di patronage “forti” è parimenti stabilito dal principio contabile della contabilità economico-patrimoniale, parte finale del punto 7.2 dell’Allegato 4/3 al D.Lgs. n. 118/2011 che testualmente si riporta: “E’ obbligatoria l’indicazione delle garanzie prestate fra fidejussioni (cui sono equiparate le lettere di patronage “forti”), avalli, e garanzie reali. Per le pubbliche amministrazioni, è, altresì, obbligatorio classificare tali garanzie tra amministrazioni pubbliche ed imprese controllate, partecipate ed altre imprese.”. Deve pertanto concludersi che l’esclusione, dal calcolo dei limiti di indebitamento, della quota interessi relativa alle garanzie prestate dagli enti territoriali, è consentita, nel rispetto dell’art. 204 del TUEL, soltanto nelle ipotesi dell’accantonamento dell’intero importo del debito garantito a “fondo rischi e passività potenziali”, vincolando così una pari quota dell’avanzo di amministrazione e predisponendo l’Ente a sopperire, in maniera tempestiva, in caso di riconoscimento (transattivo o giudiziale) dell’altrui pretesa; va altresì evidenziato che, in caso di chiusura mediante transazione ex art. 1965 c.c., con riconoscimento ai creditori di un importo inferiore a quello inizialmente preteso, in ragione degli esiti incerti di un giudizio, le somme accantonate in eccedenza rispetto a quelle liquidate potranno così essere celermente liberate e costituire future economie di bilancio. L’opzione contabile ex punto 5.5 dell’Allegato 4/2 al D.Lgs. n. 118/2011 inoltre non implica, nei confronti dei terzi, un riconoscimento della fondatezza della loro pretesa.
– Il contributo erogato ai sensi dell’art. 3, comma 4-bis, D.L. n. 95/2012, qualora sussistano le condizioni per il ricorso alla possibilità ivi prevista di contribuire al pagamento dei canoni di locazione di un immobile privato adibito ad uso caserma, è da considerarsi come una spesa ricorrente, con la conseguente necessità di trovare copertura a tale spesa con le entrate correnti degli esercizi di competenza dei rispettivi canoni da corrispondere per la durata del contratto; tipologia di spesa non ricompresa tra quelle per cui vi è possibilità di utilizzo dell’avanzo di amministrazione ai sensi del richiamato art. 187 del TUEL.
– Il giudice dei conti si esprime sulla possibilità di autorizzare il funzionario competente alla liquidazione, a valere sull’esercizio 2020, di spese riguardanti fatture di energia elettrica e riscaldamento dell’anno 2019, che non è stato possibile impegnare nel corso del medesimo esercizio 2019.
ORGANI DI GOVERNO
– L’oggetto del parere riguarda la possibilità per i consiglieri delegati, individuati dal Presidente della Provincia, di assentarsi dai rispettivi posti di lavoro con permesso retribuito per partecipare alle riunioni degli organi di cui fanno parte e per espletare le attività connesse alla delega. La Sezione, partendo dalla considerazione che gli artt. 7980 del Tuel presentano un carattere eccezionale, che ne impedisce un’interpretazione estensiva al fine di ricomprendere casi non espressamente contemplati, ha tuttavia evidenziato che la questione va esaminata unitamente alla L. n. 56/2014, che ha ridefinito le funzioni della provincia ed è intervenuta sugli organi provinciali e sulle loro modalità di elezione. A partire dalla sua entrata in vigore, non sono più annoverati tra gli organi delle province le giunte provinciali, ma l’art. 1, al comma 66, attribuisce al presidente della provincia la possibilità di assegnare deleghe a consiglieri provinciali nel rispetto del principio di collegialità “secondo le modalità e nei limiti stabiliti dallo statuto” e, al comma 84, dispone che restano a carico della provincia gli oneri connessi con lo status degli amministratori relativi ai permessi retribuiti di cui all’art. 80 Tuel. A fronte di tali disposizioni, la Corte ha evidenziato come, in astratto, un consigliere delegato possa essere considerato amministratore in virtù dell’esercizio delle deleghe conferite e, quindi, vedersi applicato l’art. 80 del Tuel; tuttavia, affinché ciò avvenga, l’ente dovrà esaminare le disposizioni del proprio statuto per valutare se, alla luce di quanto disposto dalla propria fonte interna, sussista, anche in concreto, l’assimilazione dei consiglieri delegati ai componenti degli organi esecutivi.
PERSONALE E PREVIDENZA
– Il quesito relativo alle somme “Prelevate” dal Fondo risorse decentrate del personale delle categorie di cui all’art. 67, CCNL 21.5.2018, vale a dire, se le stesse, finalizzate a remunerare specifiche attività di competenza regionale svolte dalla Polizia locale per turni, straordinari, oneri salario accessorio per il personale provinciale adibito alle funzioni fondamentali in materia di ambiente e rimborsate dalla Regione, possano essere considerate “fonti di alimentazione” del Fondo medesimo, non appare ammissibile. Sotto il profilo oggettivo, infatti, il citato quesito è inammissibile in quanto volto all’interpretazione di una clausola del contratto collettivo nazionale. Per consolidato orientamento delle Sezioni regionali di controllo, l’interpretazione di clausole della contrattazione collettiva è estranea al perimetro dell’attività consultiva di questa Corte, in quanto demandata per legge alle parti contraenti e, per la parte pubblica, all’ARAN. In forza del principio di sussidiarietà nelle materie cd. delegate, nell’ambito delle quali le regioni non esercitano direttamente le funzioni amministrative ma, indirettamente, attraverso gli enti cui con legge tale potere è conferito, sussiste l’obbligo del delegante di assicurare risorse finanziarie, umane e strumentali affinché il delegato sia in grado di svolgere i compiti assegnati nel rispetto del principio del buon andamento di cui all’art. 97 Cost. Non consentire alle province di considerare come neutrale ai fini della determinazione del tetto di spesa di personale gli oneri sostenuti per i dipendenti impegnati nello svolgimento di funzioni delegate, incide sull’autonomia finanziaria ed organizzativa degli enti di area vasta, sottraendo loro la capacità di acquisire risorse umane essenziali all’esercizio delle funzioni fondamentali, le uniche per cui le province conservano capacità assunzionale ex art. 1, comma 421L. n. 190/2014.
– Il fatto che l’Ente proceda mediante un soggetto aggregatore non può dirsi di per sé preclusivo al riconoscimento di incentivi per funzioni tecniche, ex art. 113, comma 2, D.Lgs. n. 50/2016; il che, dunque, non esclude la possibilità per l’Ente di stanziare e destinare una quota percentuale del fondo ai dipendenti interni che operino nell’ambito della centrale di committenza. Sicché, fermo restando l’indefettibile esperimento, a monte, di una gara, poiché in mancanza di tale requisito non può esservi l’accantonamento delle risorse nel fondo, l’incentivo potrà dirsi spettante: a) se l’Ente abbia stanziato somme per far fronte agli oneri di cui all’art. 113 comma 1, D.Lgs. n. 50/2016 cit.; b) se, in concreto, sia stato nominato dall’Ente un direttore dell’esecuzione e questi svolga o abbia svolto le funzioni relative a contratti di servizi/forniture.
– Il rinvio operato dal legislatore alla disciplina dei termini prevista dal TUEL deve intendersi nel senso che l’erogazione degli incentivi al personale previsti dall’art. 1, comma 1091L. n. 145/2018, sia possibile solo per quei Comuni che abbiano rispettato il termine del 31 dicembre per l’approvazione del bilancio di previsione.
 
Gli atti di indirizzo-programmazione e verifica delle Sezioni Regionali
CONTABILITA’ E CONTROLLI
ENTI TERRITORIALI: LINEE GUIDA SU RENDICONTI 2019 E BILANCI DI PREVISIONE 2020-2022
– La Corte ha approvato le Linee guida per le relazioni dei Collegi dei revisori dei conti sui rendiconti delle Regioni e delle Province autonome per l’anno 2019 e le Linee guida per i Collegi dei revisori dei conti sui bilanci di previsione delle stesse amministrazioni regionali per gli esercizi 2020-2022:
– il primo documento fornisce le indicazioni per ricostruire il quadro economico-finanziario di riferimento per la valutazione dei provvedimenti che saranno adottati dagli enti nell’attuale fase emergenziale; tra i profili sotto la lente della Corte, in particolare, si segnalano le analisi sul risultato di amministrazione, lo stato dell’indebitamento e gli equilibri di cassa, inscindibilmente collegati al mantenimento di quelli finanziari complessivi, mentre sono previsti focus specifici su modalità di ripiano delle varie componenti del disavanzo, somme incamerate e utilizzate a titolo di anticipazioni di liquidità, corretta costruzione del Fondo pluriennale vincolato e adeguatezza degli accantonamenti al Fondo crediti di dubbia esigibilità;
– le Linee guida sui bilanci di previsione delle Regioni e delle Province autonome per gli esercizi 2020-2022, invece, segnano il momento conclusivo delle analisi condotte sul ciclo di bilancio, al fine di stabilirne il grado di affidabilità e di valutarne la capacità di prevenire fenomeni di squilibrio.
Il difficile contesto programmatorio, determinato dall’epidemia da Covid-19, produrrà sensibili scostamenti rispetto alle originarie previsioni di bilancio per effetto della ridotta riscossione tributaria e della contestuale espansione della spesa sanitaria, con conseguente ridefinizione degli obiettivi di finanza pubblica e dei vincoli previsti per gli enti regionali, ma sarà questa l’occasione per rappresentarne opportunamente le cause e valutare le criticità innescate dall’emergenza. In continuità col passato, è stato mantenuto l’impegno a ridurre al minimo gli oneri informativi di dati contabili, attraverso l’utilizzo, ormai consolidato, delle banche dati pubbliche.
ENTI TERRITORIALI, LINEE GUIDA SU FUNZIONAMENTO CONTROLLI INTERNI
– La Corte dei conti ha approvato con le Linee guida per le relazioni dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome sul sistema dei controlli interni e sui controlli effettuati nell’anno 2019 e il relativo questionario. Finalità delle linee guida è quella di fornire agli organi di vertice delle regioni e delle province autonome indicazioni di principio e operative per valutare la coerenza e l’adeguatezza dei rispettivi sistemi di controllo interno, quale strumento di verifica dell’attuazione della sana gestione finanziaria e del rispetto del principio del buon andamento nel governo dei territori. Un efficace sistema dei controlli, infatti, mette in luce la reale capacità del singolo ente di realizzare i programmi e di conseguire risultati concreti, utilizzando correttamente, nonché in modo economico ed efficiente, le risorse pubbliche. In quest’ottica, le verifiche della Corte dei conti investono anche il sistema dei controlli sugli organismi partecipati e sugli enti del servizio sanitario regionale, per l’incidenza di tali gestioni sui bilanci degli enti e con riguardo al servizio sanitario, anche per valutarne l’impatto sul benessere dei cittadini. Sulla base della documentazione pervenuta, le competenti Sezioni regionali di controllo potranno avviare le verifiche necessarie ad effettuare una “fotografia” della situazione ante emergenza.
LINEE GUIDA SU BILANCIO 2019 ENTI SERVIZI SANITARI REGIONALI
– La Corte ha approvato le Linee guida sul bilancio d’esercizio 2019 degli enti dei servizi sanitari regionali e il relativo questionario, che puntano a rilevare il rispetto degli equilibri economico-patrimoniali e finanziari, garanzia per la continuità dell’erogazione del servizio connesso al diritto costituzionalmente tutelato della salute. Le verifiche effettuate attraverso le relazioni-questionario redatte dai rispettivi collegi sindacali costituiscono un momento rilevante e delicato dell’attività delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti. La valutazione dei risultati dello scorso esercizio rappresenterà una solida base per le successive analisi sullo straordinario momento che sta oggi investendo la sanità pubblica.
MEMORIA SUL DEF 2020
– La Corte è chiamata ad esprimere valutazioni sul Documento di economia e finanza 2020, in un quadro economico generale fortemente condizionato dall’epidemia causata dal coronavirus. Come ha sottolineato anche l’Ufficio parlamentare di bilancio, il quadro macroeconomico alla base delle previsioni del DEF ha inevitabilmente ancora fortissimi elementi d’incertezza, indotti dall’unicità dell’evento pandemico in corso e dall’assoluta mancanza di un precedente storico cui fare riferimento. In un quadro di fortissima incertezza sull’evoluzione dell’emergenza sanitaria e delle conseguenti misure per fronteggiarla che, sia in Italia sia all’estero, possono ancora incidere sulle prospettive economiche di breve e medio periodo, la Corte osserva che il Documento rappresenta un coraggioso, quanto necessario, punto di partenza per riprendere un percorso di programmazione del futuro che richiederà da parte di tutti gli attori, istituzionali, imprese e cittadini, un forte sforzo di adattamento a condizioni di contesto fino ad ora sconosciute.
 
Le principali sentenze in materia di danno erariale
– In materia di onnicomprensività della retribuzione del pubblico dipendente, sussiste la giurisdizione della Corte dei Conti nel caso in cui la Procura regionale chieda il risarcimento del danno erariale causato alla P.A. dal dipendente che, per lo svolgimento di incarichi ad esso conferito in ragione del proprio ufficio o comunque conferito dall’amministrazione di appartenenza presso cui prestano servizio o su designazione della stessa, abbia incamerato compensi che avrebbero dovuto essere riversati all’amministrazione d’appartenenza. Costituisce danno erariale il mancato riversamento del compenso percepito dal pubblico dipendente per l’incarico di consigliere di amministrazione di un’Università, conferito in ragione del proprio ufficio pubblico e su designazione dell’amministrazione d’appartenenza. Il danno predetto è quantificabile nella somma percepita dal dipendente e non riversata all’amministrazione d’appartenenza, in violazione del principio di onnicomprensività della retribuzione.
– Sussiste la giurisdizione della Corte dei Conti nei confronti dei componenti della delegazione trattante di parte pubblica per i contratti collettivi decentrati integrativi, atteso che ai sensi dell’art. 40, comma 3-quinquies, D.Lgs. n. 165/2001, le P.A. non possono in ogni caso sottoscrivere in sede decentrata contratti in contrasto coi vincoli e coi limiti risultanti dai contratti collettivi nazionali o che disciplinano materie non espressamente delegate a tale livello negoziale o che comportano oneri non previsti negli strumenti di programmazione finanziaria annuale e pluriennale.
La responsabilità amministrativa da contrattazione collettiva si configura ogniqualvolta a un dipendente pubblico vengano erogate somme di denaro/accordati altri benefici patrimoniali in forza di disposizioni del contratto integrativo decentrato contrarie a norme imperative di legge/a vincoli derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale/dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascun ente.
L’azione del P.M. contabile non diviene improcedibile per effetto del recupero disposto da un ente locale ex art. 4D.L. n. 16/2014, in virtù del quale gli enti locali e le Regioni, che non hanno rispettato i vincoli finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa, sono obbligati a recuperare integralmente, a valere sulle risorse finanziarie a questa destinate, le somme indebitamente erogate mediante il graduale riassorbimento delle stesse, con quote annuali e per un numero massimo d’annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento di tali vincoli. Il predetto recupero non preclude la procedibilità dell’azione erariale, poiché: a) alla luce del vigente sistema normativo il giudizio di responsabilità amministrativa non ha soltanto profili risarcitori ma ha anche profili sanzionatori, posto che tale responsabilità risponde alla finalità di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente e posto che l’azione di responsabilità non è intesa al mero ripristino dell’equilibrio patrimoniale ma tutela altresì l’esigenza che i mezzi finanziari pubblici siano utilizzati per il raggiungimento dei fini pubblici; b) il diritto di natura risarcitoria che il P.M. attiva con l’esercizio dell’azione di responsabilità non è identificabile né del tutto sovrapponibile con il diritto di credito che l’amministrazione danneggiata può direttamente ed autonomamente esercitare nei confronti dello stesso soggetto autore del fatto dannoso; c) ai fini della configurazione del danno erariale non occorre che esso sia irreversibile, nel senso che non è necessario che il pregiudizio risulti non sanabile mediante il ricorso ad altri meccanismi satisfattori della pretesa creditoria; d) il recupero ex art. 4D.L. n. 16/2014, si risolve soltanto in un futuro risparmio di spesa conseguente alla riduzione del fondo per le risorse decentrate, ma non comporta un effettivo incasso di somme in favore dell’ente locale, sicché non vi è un incremento patrimoniale tale da pareggiare l’illegittimo depauperamento derivante dal pagamento di emolumenti non dovuti; e) il ridetto recupero non determina l’obbligo della restituzione degli emolumenti indebiti da parte dei dipendenti, ma comporta esclusivamente la riduzione complessiva del fondo per le risorse decentrate nei confronti di tutti gli attuali dipendenti, sicché coloro che sopportano gli effetti della decurtazione non coincidono con i beneficiari degli emolumenti, che potrebbero non essere più in servizio.
Il riconoscimento come trattamento accessorio dell’indennità di videoterminale nella contrattazione integrativa successiva al 2012 si pone in contrasto coi principi dell’ordinamento e della contrattazione collettiva nazionale, poiché le indennità di rischio possono essere attribuite solo in presenza di quelle situazioni/prestazioni lavorative, individuate in sede di contrattazione decentrata integrativa, che comportino una specifica, continua e diretta esposizione a rischi pregiudizievoli per la salute e l’integrità personale. I rischi generici connessi ai contenuti tipici di un determinato profilo professionale sono già remunerati col trattamento economico stipendiale previsto dalla contrattazione collettiva nazionale.
Il Sindaco e i componenti della Giunta comunale non possono invocare l’esimente politica, allorché autorizzano la sottoscrizione di un contratto collettivo decentrato integrativo, che preveda indennità in contrasto con la contrattazione collettiva nazionale/coi vincoli di legge, poiché gli organi politici non possono prescindere dalla doverosa conoscenza del minimale e inderogabile quadro normativo di riferimento che regolamenta le materie oggetto di deliberazione.
In virtù dell’art. 40-bis, D.Lgs. n. 165/2001 e dell’art. 239D.Lgs. n. 267/2000, l’organo di revisione dell’ente locale, allorché rende il parere obbligatorio su un’ipotesi di contratto collettivo decentrato integrativo, deve verificare la compatibilità della contrattazione collettiva integrativa non solo coi vincoli di bilancio della singola amministrazione, ma anche con quelli derivanti dall’applicazione delle norme di legge e della contrattazione collettiva, con particolare attenzione per le disposizioni inderogabili che incidono sulla misura e sulla corresponsione dei trattamenti accessori. L’obbligo di diligenza in capo all’organo di revisione implica che l’esame di un’ipotesi di contratto collettivo non possa prescindere da una valutazione preliminare delle direttive per la contrattazione e degli atti richiamati dal medesimo contratto collettivo.
– Sussiste la giurisdizione della Corte dei Conti per il risarcimento del danno erariale causato alla P.A. dal dipendente per lo svolgimento di attività lavorativa extra-istituzionale assolutamente incompatibile e, quindi, non autorizzabile, ex art. 60, T.U. 3/1957, come richiamato dall’art. 53, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001. Qualora un pubblico dipendente eserciti un’attività lavorativa extra-istituzionale assolutamente incompatibile con l’attività lavorativa svolta per la P.A., così come individuata dall’art. 53, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001, è configurabile un danno erariale ogni qualvolta la violazione dell’obbligo di esclusiva si risolva nello svolgimento di attività anche solo in apparente conflitto d’interessi con l’attività lavorativa presso la P.A. o nella dispersione della riserva delle energie lavorative che il dipendente pubblico deve preservare ad esclusivo vantaggio dell’amministrazione d’appartenenza, non potendole dissipare esercitando ulteriori attività che lo distolgano dal dovere di collaborazione e dedizione che egli deve al proprio datore di lavoro pubblico. Nell’ambito del sinallagma contrattuale, infatti, la retribuzione corrisposta al pubblico dipendente non compensa solo una prestazione quantitativamente e qualitativamente definita, ma anche tutte le limitazioni che la legge connette allo status di pubblico dipendente, ivi compreso l’obbligo di esclusiva, nelle sue diverse modulazioni. Quindi, la violazione dell’obbligo di esclusiva pregiudica la sinallagmaticità del rapporto, poiché l’Amministrazione finisce per pagare invano sia quella parte di energie lavorative del dipendente, che, pure se non direttamente ed immediatamente impiegate nell’attività istituzionale, sono comunque acquisite e remunerate dall’Amministrazione, proprio al fine di evitarne la dispersione; sia quella qualità del rapporto attinente alla predefinita ed equilibrata articolazione delle reciproche pretese (pagamento dello stipendio a fronte della prestazione del servizio, secondo precisi canoni comportamentali inclusivi del rispetto del divieto delle incompatibilità); qualità che viene ad essere compromessa dalla sottrazione del dipendente ad uno degli obblighi (quello di esclusività) cui era tenuto. La consistenza del danno va accertata con l’applicazione del criterio equitativo, considerato che l’esclusività, pure essendo una componente del rapporto connotata da evidente valore economico, facendo parte di quel complesso di caratteristiche che contribuiscono alla morfogenesi dell’impiego pubblico, non è sempre suscettibile di puntuale quantificazione.
– Il giudice dei conti si pronuncia in tema di danno erariale da demansionamento.
– L’insindacabilità prevista dall’art. 122, comma 4, Cost., riguarda le funzioni attribuite ai Consiglieri regionali che costituiscono esplicazione di autonomia costituzionalmente garantita, sicché non rientrano nell’ambito della giurisdizione della Corte dei conti gli atti e le condotte riconducibili alla funzione legislativa, al potere d’indirizzo politico ed alle funzioni di autorganizzazione e di controllo. Tale immunità tuttavia non ha carattere assoluto in quanto essa non copre gli atti non riferibili, secondo ragionevolezza, all’autonomia ed alle esigenze ad essa sottese.
Gli incarichi di consulenza conferiti a soggetti esterni dai Vicepresidenti dell’Assemblea regionale siciliana, nella qualità di componenti l’Ufficio di presidenza e sulla base dei regolamenti interni, si configurano come atti di autorganizzazione; essi sono infatti funzionali all’esercizio delle attribuzioni dei membri dell’Ufficio di presidenza, avendo la finalità di supportare le funzioni parlamentari loro intestate dalla Costituzione e dallo Statuto regionale.
La valutazione della sussistenza della cognizione del giudice contabile richiede una necessaria verifica dell’eventuale superamento della soglia di ragionevolezza posta a presidio dello svolgimento della funzione di autorganizzazione. Tale accertamento dovrà compiersi secondo un criterio di massima, senza entrare nel merito né della discrezionalità della scelta compiuta dal parlamentare conferente né del contenuto degli eventuali elaborati consulenziali; a questi fini, il giudizio verterà unicamente sull’astratta conferibilità dell’incarico attribuito, alla luce della disciplina interna dell’Assemblea regionale, sull’inerenza della consulenza assegnata alle funzioni parlamentari del Vicepresidente e sull’adeguatezza del soggetto destinatario dell’incarico, quanto al profilo professionale rivestito, in termini di congruenza con il compito assegnato.
E’ necessario che il convenuto, nell’opporsi alla pretesa della Procura regionale, assolva compiutamente l’onere probatorio posto a suo carico versando agli atti la documentazione necessaria affinché il giudice possa valutare il corretto esercizio della funzione di autorganizzazione e ciò in vista del pronunciamento sull’invocato difetto di giurisdizione. Qualora il convenuto a ciò non provveda, in mancanza di elementi informativi sufficienti per verificare l’avvenuta osservanza dei criteri che presiedono al regolare esercizio della funzione di autorganizzazione, va affermata la giurisdizione della Corte dei conti sul conferimento dei contestati incarichi consulenziali.
– Sussiste la giurisdizione della Corte dei conti ove sia stata proposta, con ricorso ad istanza di parte, un’opposizione ad ingiunzione emessa ex art. 3R.D. n. 639/1910, purché la materia oggetto del contendere sia riconducibile alla contabilità pubblica. Il pagamento di somme di denaro riconducibili ad un danno da inadempimento di obblighi di servizio arrecato dal concessionario della riscossione al Comune non può essere richiesto dall’amministrazione con l’ingiunzione ex R.D. n. 639/1910, stante la mancanza dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità poiché il credito da danno erariale deve essere accertato, quanto alla sua sussistenza, misura ed addebitabilità, in un giudizio “ordinario” innanzi alla Corte dei conti e previo esercizio dell’azione obbligatoria da parte del pubblico ministero contabile.
– Non sussiste la pregiudizialità giuridica, alla luce dell’art. 106 del codice della giustizia contabile, in ipotesi di contemporanea pendenza di processo civile, in quanto solo la formazione, innanzi a diversa giurisdizione, di un giudicato sull’integrale liquidazione del danno, conseguente ai medesimi fatti materiali, potrebbe avere efficacia preclusiva dell’azione di responsabilità amministrativa.
E’ da ritenersi inammissibile, all’esito della disposta CTU, la produzione di ulteriori elaborati tecnici di parte i quali, prendendo le mosse dall’elaborato definitivo predisposto dal CTU, introducano nuovi temi e/o nuove argomentazioni che, per tale via, rimangano sottratte al contraddittorio e al dibattito processuale.
Va, per contro, ritenuta ammissibile la memoria conclusionale del P.M. posto che, in linea generale, è data la possibilità alle parti, espletata la consulenza tecnica d’ufficio, di sollevare contestazioni che possono riguardare il procedimento, oppure il contenuto di essa, con l’esclusione delle parti in cui detta memoria si riferisca alla CTP versata in atti dopo la conclusione della CTU, ovvero contesti nuovi profili di danno, o contenga differenti prospettazioni.
Va operato un netto distinguo tra i compiti rimessi al consulente d’ufficio e l’accertamento dell’esistenza del danno erariale che, in uno con la determinazione del suo preciso ammontare, costituiscono compiti precipui e non delegabili del Giudice, vieppiù qualora le operazioni peritali siano dirette a valutare la congruità del prezzo e le caratteristiche prestazionali (nel caso, degli infissi di una struttura ospedaliera), inscindibilmente legate, nella consulenza acquisita, ad operazioni di stima e di “rivalutazione”, sotto l’aspetto economico, del materiale posto in opera.
Sussiste la responsabilità, a titolo di colpa grave ed esclusiva, del direttore dei lavori, il quale abbia omesso di verificare puntualmente le lavorazioni e somministrazioni eseguite dall’impresa, così consentendo e attribuendo alla stessa il corrispettivo per lavori non effettuati.
Sussiste del pari la responsabilità del Responsabile del procedimento, in concorso col Direttore dei lavori, il quale, seppur a conoscenza, fin dall’inizio dei lavori, delle diverse caratteristiche degli infissi forniti e delle difficoltà incontrate per l’esecuzione dell’appalto come progettato, abbia sottoscritto tutti gli stati di avanzamento, emettendo i relativi certificati di pagamento, e abbia approvato le perizie di variante, predisposte dal direttore dei lavori e causative di maggiori esborsi, in assenza dei presupposti previsti dall’art. 25L. n. 109/1994, e ulteriormente specificati dall’art. 134D.P.R. n. 554/1999, comma 8.
Va, altresì, ravvisata la responsabilità del D.L. n. e del RUP, ex Decreto 19 aprile 2000, n. 145art. 28 (e anche art. 180, D.P.R. n. 207/2010), per i corrispettivi pagati all’impresa esecutrice, all’esito dell’appalto, per materiale approvvigionato a piè d’opera, non utilizzabile.
Sussiste, infine, la responsabilità del Collaudatore il quale, pur avendo attestato di aver esaminato la rispondenza della tipologia costruttiva al campione sottoposto ad esame di laboratorio (come previsto in contratto) e di aver effettuato una campagna d’accertamento, non abbia evidenziato la presenza d’infissi aventi ante di larghezza maggiore dei limiti dimensionali prescritti dalla casa produttrice, ovvero rilevato la presenza di luci fisse non previste negli atti contrattuali, pur avendo incluso il controllo dei sistemi di chiusura tra le espresse operazioni di verifica.

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