08/05/2020 – La disciplina della rateizzazione si complica con il Coronavirus

La disciplina della rateizzazione si complica con il Coronavirus
di Cristina Carpenedo
 
La nuova disciplina della rateizzazione delle entrate locali sembrava una passeggiata e invece, come accade ai tempi del Coronavirus, tutto si complica. Con la legge 160/2019 il legislatore detta, per la prima volta, una specifica disciplina rivolta ai comuni e ai loro concessionari in caso di richiesta di rateizzazione da parte dei debitori di entrate tributarie e patrimoniali. I commi di interesse vanno dal 796 al 801 dell’articolo 1 della legge in commento, inseriti nella disciplina della riscossione mediante accertamento esecutivo. L’istituto è particolarmente adatto per gli accertamenti esecutivi del comma 792 e le nuove ingiunzioni del successivo comma 804, titoli precettivi sui quali non pende alcun termine di decadenza e che rispondono alle regole di prescrizione, la sola a essere sospesa in presenza di rateizzazione. La nuova dilazione infatti permette di riconoscere fino a 72 rate mensili e di impedire l’iscrizione di un nuovo fermo o ipoteca, possibili con l’eventuale successiva decadenza descritta dal comma 800. La Risoluzione 3/DF/2020 del Mef, avente ad oggetto «Atti di accertamento esecutivo di cui all’articolo 1, comma 792. Modalità di rateazione delle somme dovute” mette in evidenza l’ampia possibilità di deroga della disciplina in discorso mediante l’esercizio della potestà regolamentare, fondata sullo storico art. 52 del dlgs 446/97. L’ente locale può disciplinare le modalità di riscossione comprese quelle di rateizzazione delle somme dovute sulla base di atti impositivi. Il comma 796 stabilisce alcune modalità di rateazione a seguito della notifica di atti di accertamento esecutivo da applicare in «assenza di una apposita disciplina regolamentare» con l’unica limitazione indicata dal comma 797 di garantire «una durata massima non inferiore a trentasei rate mensili per debiti di importi superiori a euro 6.000,01».
Ma cosa accade se il comune intende concedere la rateazione di somme richieste mediante un atto che non assuma ancora la veste di atto impositivo tributario? In base alla giurisprudenza della Suprema Corte sembra potersi ritenere che «atto impositivo» sia quell’atto che esprime una pretesa tributaria definita nell’an e nel quantum, da ritenere lo stesso atto impugnabile avanti gli organi della giurisdizione tributaria. Nei tributi locali, soprattutto per la Tari, è diffuso il rilascio di dilazioni su avvisi di pagamento o atti di sollecito del medesimo. È un ritorno al dibattito che alimenta da tanto tempo la dilazione di pagamento: è possibile concedere la dilazione su semplici richieste di pagamento? La risoluzione del Mef non risponde a questo quesito ma centra la sua risposta sulle somme dovute mediante atto impositivo ed è su questo confine che la limitazione delle 36 rate pare collocarsi. Certamente non è impedito all’ente disciplinare la rateazione su atti che non definiscono ancora l’obbligazione tributaria, ma è evidente che tutto va contestualizzato al necessario rispetto delle regole di decadenza, che impongono la notifica dell’avviso di accertamento entro il quinquennio e della successiva ingiunzione (o cartella) entro il terzo anno successivo alla definitività del vecchio avviso di accertamento (modalità ante 2020). Attenzione dunque alle 36 rate mensili, misura favorevole al debitore in difficoltà quando vi è certezza dell’obbligazione tributaria e regole di decadenza rispettate.

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