06/04/2020 – La Plenaria sull’accesso civico generalizzato in ambito appalti pubblici: dov’è la civicità?

La Plenaria sull’accesso civico generalizzato in ambito appalti pubblici: dov’è la civicità?
Consiglio di Stato, Ad. Plen, 02 aprile 2020, n. 9
Scritto da Elvis Cavalleri 4 Aprile 2020
 
 
Accesso civico generalizzato: si applica alle procedure di affidamento di contratti pubblici? Ed agli atti relativi all’esecuzione?
Come noto, la III sezione del Consiglio di Stato (clicca qui) ha deferito all’Adunanza Plenaria la soluzione di detti spinosi quesiti, che in giurisprudenza avevano già fatto registrare diverse risposte tra loro di segno diametralmente opposto (cfr. ad es. questo articolo).
La questione si originò dalla sentenza del TAR Toscana n. 577/2019, che aveva indagato sul diritto della ricorrente di accedere agli atti della fase di esecuzione di un contratto pubblico, al fine di accertare la sussistenza dei presupposti per la risoluzione del contratto stipulato con l’aggiudicataria, e quindi il suo diritto a subentrare nel contratto a seguito di interpello ex art. 140 del d.lgs 163/2006 ratione temporis applicabile, in quanto collocata al secondo posto della graduatoria.
Ebbene il Giudice di prime cure non nutrì alcun dubbio nel ritenere che “per quanto riguarda gli atti e documenti della fase pubblicistica del procedimento, oltre all’acceso ordinario è consentito anche l’accesso civico generalizzato, “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”; per quanto riguarda atti e documenti della fase esecutiva del rapporto contrattuale tra stazione appaltante ed aggiudicataria, l’acceso ordinario è consentito ai sensi degli artt. 22 e seguenti della legge n. 241 e nel rispetto delle condizioni e dei limiti individuati dalla giurisprudenza, che nella fattispecie non risultano osservati“.
Il Giudice d’appello, viceversa, di dubbi ne nutriva diversi, tanto che, come poc’anzi anticipato, formulò i seguenti quesiti interpretativi all’Adunanza Plenaria:
“– I. Se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo le regole dello scorrimento della graduatoria;
– II. Se la disciplina dell’accesso civico generalizzato di cui al d.lvo n. 33/2013, come modificato dal d.lvo n. 97/2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice;
– III. Se, in presenza di un’istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla legge n. 241/1990, o ai suoi elementi sostanziali, l’amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato di cui al decreto legislativo n. 33/2013; se, di conseguenza, il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria di cui alla legge n. 241/1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato”.
I dubbi sono stati sciolti con la pronuncia Consiglio di Stato, Ad. Plen, 02 aprile 2020, n. 9 oggi annotata.
La pronuncia si distingue per minuziosità argomentativa, e si sviluppa in oltre 70 pagine di testo. Ragione per cui non può che rimandarsi alla lettura integrale della pronuncia per comprendere tutte le sfumature giuridiche declinate, potendoci per converso qui limitare ad una breve notazione dei punti salienti.
In via preliminare, sotto il profilo squisitamente processuale, è d’interesse la statuizione di inammissibilità dell’intervento volontario ad opponendum di un Comune che viveva analoga fattispecie di diritto. Sotto questo profilo la Plenaria ha ritenuto inconferente il richiamo dell’opponente alle recenti Norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale, adottate dalla stessa Corte l’8 gennaio 2020, “poiché esse ammettono l’intervento di soggetti titolari di un interesse qualificato, che sia appunto inerente in modo diretto e immediato al concreto rapporto dedotto in giudizio e non semplicemente alle stesse o simili, astratte, questioni di diritto, o al più a tutti quei soggetti privati, senza scopo di lucro, portatori di interessi collettivi e diffusi, attinenti alla questione di costituzionalità, che rivestano il ruolo di c.d. amicus”.
Ciò chiarito, la Plenaria, invertendo l’ordo quaestionum prospettato dal Collegio remittente, ritiene per ragioni di necessaria consecuzione logica di passare da subito alla trattazione del
III° quesito (sulla natura dell’istanza ostensiva e sulla possibilità di riqualificarla nell’ambito del procedimento)
Giova rammentare che, nello specifico caso scrutinato, il richiedente l’accesso non aveva specificatamente qualificato la propria istanza ai sensi di una specifica norma (accesso ordinario vs generalizzato), la quale era invece formulata “in modo indistinto, duplice o, se si preferisce, ancipite, nella quale si racchiudevano dunque due interessi: uno specifico, derivante dalla posizione di seconda classificata dell’istante; uno generale, ovvero un interesse collaborativo con la pubblica amministrazione nell’interesse pubblico.
Il Supremo consesso, con un approccio nettamente sostanzialistico, ha ritenuto che “se è vero che l’accesso documentale e quello civico generalizzato differiscono per finalità, requisiti e aspetti procedimentali, infatti, la pubblica amministrazione, nel rispetto del contraddittorio con eventuali controinteressati, deve esaminare l’istanza nel suo complesso, nel suo “anelito ostensivo”, evitando inutili formalismi e appesantimenti procedurali tali da condurre ad una defatigante duplicazione del suo esame”.
Illuminante è allora l’impiego dell’aggettivo ancipite: allorquando non sia individuabile l’esercizio di una specifica forma di accesso, la stazione appaltante è onerata di un esercizio “qualificatorio” quanto mai ampio ai fini dell’evasione della richiesta, considerato che questa, legittimamente, ben potrebbe essere formulata dal privato con riferimento tanto all’una che all’altra forma di accesso.
La Plenaria statuisce in estrema sintesi un “divieto di vincolare l’accesso a rigide regole formali che ne ostacolino la soddisfazione“.
Ancorché non determinante ai fini del decidere, Ia Plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 5, c.p.a., ha ritenuto comunque di rispondere alla questione di interesse generale posta dalla III sezione, e quindi di chiarire, al di là della specifica vicenda, se sussista o meno la possibilità ovvero l’obbligo della stazione appaltante di estendere l’ambito di operatività di un accesso procedimentale ordinario.
Per meglio dire, il quesito a cui rispondere è del seguente tenore: a fronte di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale della l. n. 241 del 1990, in relazione alla quale è indiscussa la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, è possibile esaminare la richiesta sotto il diverso profilo dell’accesso civico generalizzato?
La risposta è seccamente negativa, in quanto diversamente opinando “la pubblica amministrazione si pronuncerebbe, con una sorta di diniego difensivo “in prevenzione”su una istanza, quella di accesso civico generalizzato, mai proposta, nemmeno in forma, per così dire, implicita e/o congiunta o, comunque, ancipite dall’interessato, che si è limitato a richiedere l’accesso ai sensi della l. n. 241 del 1990″.
Per tali ragioni è da ritenersi “preclusa la possibilità di immutare, anche in corso di causa, il titolo della formalizzata actio ad exhibendum, pena la violazione del divieto di mutatio libelli e di introduzione di ius novorum (cfr. St., sez. IV, 28 marzo 2017, n. 1406; Cons. St., sez. V, 20 marzo 2019, n. 1817; Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503)”.
Questo il principio di diritto espresso dalla Plenaria:
la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi dell’art. 116  c.p.a.,  possa  mutare  il  titolo  dell’accesso,  definito  dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento;
I° quesito (sull’interesse ex art. 22 della legge n. 241/1990 del secondo graduato all’accesso degli atti relativi alla fase esecutiva)
Il nodo della quaestio consiste nel chiarire se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, la titolarità di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata,  ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la regole dello scorrimento della graduatoria.
La Plenaria è perentoria: “L’accesso documentale agli atti della fase esecutiva è ammesso espressamente dallo stesso art. 53, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, laddove esso rimette alla disciplina degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, «il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici», ma anche e più in generale dalla l. n. 241 del 1990, richiamata dall’art. 53 testé citato“.
L’esecuzione del pubblico contratto o della pubblica concessione, sostiene con chiosa edulcorata la Plenaria, “non è una “terra di nessuno”, idonea a configurare “un rapporto rigorosamente privatistico tra la pubblica amministrazione e il contraente escludente qualsivoglia altro rapporto o interesse, ma è invece soggetta, oltre al controllo dei soggetti pubblici, anche alla verifica e alla connessa conoscibilità da parte di eventuali soggetti controinteressati al subentro o, se del caso, alla riedizione della gara“.
Vi è quindi “una rilevanza pubblicistica (anche) della fase di esecuzione del contratto“, e “l’interesse legittimo degli operatori economici nel settore dei rapporti contrattuali  ha assunto ormai una configurazione di ordine anche solo strumentale, certo inedita nella sua estensione, ma di sicuro impatto sistematico“.
Dal “polimorfismo” di cui oggi è avvinto il bene della vita, può ricavarsi che è ormai schiusa “la strada ad una visione della materia, che fuoriesce dall’angusto confine di una radicale visione soggettivistica del rapporto tra il solo, singolo, concorrente e la pubblica amministrazione e che vede la confluenza e la tutela di molteplici interessi anche in ordine alla sorte e alla prosecuzione del contratto“.
Per tali ragioni è da riconoscersi un interesse giuridicamente tutelato quantomeno in capo “ai soggetti che abbiano partecipato alla gara, e non ne siano stati definitivamente esclusi per l’esistenza di preclusioni che impedirebbero loro di partecipare a qualsiasi gara, a conoscere gli atti della fase esecutiva non configura quindi una “iperestensione” del loro interesse“, i quali devono poter accertare “la sopravvenienza di illegittimità che precludano la prosecuzione del rapporto (c.d. risoluzione pubblicistica, facoltativa o doverosa) o per inadempimenti che ne determinino l’inefficacia sopravvenuta (c.d. risoluzione privatistica)“.
Ma ciò è vero, si premura la Plenaria di precisare, solo al ricorrere di specifiche condizioni, invero a ben vedere di difficile concreta realizzazione.
Infatti, una volta fatta luce sulla sussistenza di un interesse, e sulla conseguente legittimazione  alla conoscenza dello svolgimento del rapporto contrattuale, la Plenaria ritiene che però, ai fini dell’accesso, detto interesse debba preesistere all’istanza di accesso, non essendo viceversa sostenibile che ne sia una conseguenza.
L’accesso, dunque, non deve essere finalizzato a fornire la prova di un riattualizzato interesse, poiché diversamente opinando l’accesso medesimo “assolverebbe ad una finalità, espressamente vietata dalla legge, perché preordinata ad un non consentito controllo generalizzato sull’attività, pubblicistica o privatistica, delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 4, della l. n. 241 del 1990)”:
“non è ammissibile una sorta di superlegittimazione di stampo popolare a conoscere gli atti della fase esecutiva”.
Comecché l’accesso documentale possa essere utlizzato al fine di fornire prova di un fatto già noto all’instante, ma non già per appurare la sussistenza del fatto medesimo. Il che pare all’evidenza una sostanziale esclusione di legittimazione all’accesso.
Ad ogni modo, questo è il principio di diritto espresso dalla Plenaria:
è ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22 della241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale;
II° quesito (sull’applicabilità dell’accesso civico generalizzato in relazione ai documenti relativi ai contratti pubblici, sia nella fase ad evidenza pubblica sia nella fase esecutiva)
Ultima in trattazione, ma prima in importanza, la questione di cui ci si accinge a parlare.
Come noto, ci rammenta la Plenaria, sul tema vi sono due orientamenti tra loro contrastanti:
Secondo la III Sezione il rinvio operato agli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990 da parte dell’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, “non può condurre alla generale esclusione dell’accesso civico generalizzato in relazione ai contratti pubblici perché il richiamo a specifiche condizioni, modalità e limiti si riferisce a determinati casi in cui, per una materia altrimenti ricompresa per intero nella possibilità di accesso, norme speciali o l’art. 24, comma 1, della l. n. 241 del 1990 possono prevedere specifiche restrizioni“.
Il riferimento alla disciplina degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990 contenuto nella norma, secondo la Sezione “costituirebbe il mero frutto di un mancato coordinamento del legislatore tra le due normative“.
Per tali ragioni sarebbe irragionevole e non costituzionalmente orientata una interpretazione “statica” volta a precludere “l’accesso civico generalizzato ogniqualvolta una norma di legge richiami la disciplina dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990″, dovendosi viceversa privilegiare “una interpretazione conforme ai canoni dell’art. 97 Cost. e valorizzare l’impatto “orizzontale” dell’accesso civico generalizzato, non limitabile da norme preesistenti e non coordinate con il nuovo istituto, ma soltanto dalle prescrizioni speciali, da interpretare restrittivamente, rinvenibili all’interno della disciplina di riferimento“.
Secondo la V Sezione, al contrario, l’eccezione assoluta, contemplata nell’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2016, è da intendersi “riferita a tutte le ipotesi in cui vi sia una disciplina vigente che regoli specificamente il diritto di accesso“.
Il d.lgs. 50/2016 prevede una specifica regolamentazione dell’accesso, dal che, secondo la Sezione, la legge propende “per l’esclusione assoluta della disciplina dell’accesso civico generalizzato in riferimento agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici“.
Esclusione che non consegue da una “incompatibilità morfologica o funzionale”, bensì dal “delineato rapporto positivo tra norme, che non è compito dell’interprete variamente atteggiare, richiedendosi allo scopo, per l’incidenza in uno specico ambito di normazione speciale, un intervento esplicito del legislatore”.
La Plenaria conviene con l’orientamento della III sezione, e a chiare lettere statuisce che
la disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza.
Secondo la Plenaria nell’accesso documentale ordinario, “classico”, si è “al cospetto di un accesso strumentale alla protezione di un interesse individuale, nel quale è l’interesse pubblico alla trasparenza ad essere, come taluno ha osservato, “occasionalmente protetto” per il c.d. need to know, per il bisogno di conoscere, in capo al richiedente, strumentale ad una situazione giuridica pregressa”.
Per converso, “nell’accesso civico generalizzato si ha un accesso dichiaratamente finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa, nel quale il c.d. right to know, l’interesse individuale alla conoscenza, è protetto in sé, se e in quanto non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privato, ragioni espresse dalle cc.dd. eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013“.
Anche nel nostro ordinamento, quindi, è necessario accettare “l’evoluzione della visibilità del potere, con la conseguente accessibilità generalizzata dei suoi atti sul modello del FOIA, è la storia del lento cammino verso la democrazia e, con il progressivo superamento degli arcana imperii di tacitiana memoria, garantisce la necessaria democraticità del processo continuo di informazione e formazione dell’opinione pubblica (Corte cost., 7 maggio 2002, n. 155)“.
La pubblica amministrazione è destinata sempre più ad assumere i contorni di una “casa di vetro”, nell’ambito di una visione più ampia dei diritti fondamentali sanciti dall’art. 2 della Costituzione, che non può prescindere dalla partecipazione ai pubblici poteri.
Al fine di acclarare la natura fondamentale del diritto di accesso civico generalizzato, la Plenaria richiama gli artt. 1, 2, 97 e 117 Cost, l’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per gli atti delle istituzioni europee, nonché l’art. 10 CEDU, come peraltro hanno rilevato le Linee guida dell’ANAC e le Circolari FOIA n. 2/2017 (par. 2.1) e n. 1/2019 (par. 3).
Ciò chiarito in termini di principi generali, il Collegio, pur sottolineando l’infelice formulazione della norma, ritiene che l’interpretazione fornita dalla V Sezione sia eccessivamente limitativa della “terza generazione” del diritto all’accesso, e che occorra diversamente interrogarsi sulle cd. eccezioni assolute, previste dall’ art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013, che testualmente prevede:
Il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990.
L’interpretazione letterale propugnata dalla V sezione, infatti, “pur mossa dal comprensibile intento di ritagliare un raggio applicativo autonomo a ciascuna delle tre ipotesi previste dal comma 3, perviene però a spezzare l’indubbio nesso sistematico, già evidente nella formulazione del comma («ivi compresi…. inclusi») che esiste tra le singole ipotesi“.
Per tali ragioni l’Adunanza ha ritenuto preferibile una lettura unitaria della norma “– a partire dall’endiadi «segreti e altri divieti di divulgazione» – evitando di scomporla e di trarne con ciò stesso dei nuovi, autonomi l’uno dagli altri, limiti, perché una lettura sistematica, costituzionalmente e convenzionalmente orientata, impone un necessario approccio restrittivo (ai limiti) secondo una interpretazione tassativizzante.
La disposizione non può invero essere intesa nel senso di esentare dall’accesso generalizzato interi ambiti di materie per il sol fatto che esse prevedano casi di accesso limitato e condizionato, compresi quelli regolati dalla l. n. 241 del 1990, perché, se così fosse, il principio di specialità condurrebbe sempre all’esclusione di quella materia dall’accesso, con la conseguenza, irragionevole, che la disciplina speciale o, addirittura, anche quella generale dell’accesso documentale, in quanto e per quanto richiamata per relationem dalla singola disciplina speciale, assorbirebbe e “fagociterebbe” l’accesso civico generalizzato“.
Viceversa è necessario indagare la portata e il senso dei limiti all’accesso non già per interi ambiti di materia, bensì “caso per caso”; e comprendere quindi se “il filtro posto dal legislatore a determinati casi di accesso sia radicalmente incompatibile con l’accesso civico generalizzato quale esercizio di una libertà fondamentale da parte dei consociati. Anche le eccezioni assolute insomma, come osservato pure in dottrina, non sono preclusioni assolute perché l’interprete dovrà valutare, appunto, la volontà del legislatore di fissare in determinati casi limiti più stringenti all’accesso civico generalizzato“.
Diversamente opinando s’avallerebbe il rischio che i casi del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013, letti in modo frazionato e non sistematico, si trasformino in un “buco nero” della trasparenza – frutto anche di un sistema di limiti che si apre ad altri che rinviano ad ulteriori con un potenziale circolo vizioso e un regressus ad infinitum – ove è risucchiato l’accesso generalizzato, con un ritorno all’opacità dell’azione amministrativa per effetto di una interpretazione che trasforma l’eccezione in regola e conduce fatalmente alla creazione in via pretoria di quelli che, con felice espressione, sono stati definiti “segreti di fatto” accanto ai “segreti di diritto”, espressamente contemplati dalla legge”.
Ritiene in definitiva la Plenaria che i limiti previsti per l’accesso ai documenti amministrativi di cui agli artt. 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990 e quelli dettati dalle singole discipline settoriali “non possono essere superati ricorrendo strumentalmente all’istituto dell’accesso civico generalizzato, deve ritenersi che, una volta venute meno le ragioni di questi limiti“, tra cui quelli espressamente previsti dall’art. 53 del codice dei contratti pubblici, “sul piano sia temporale sia contenutistico, l’accesso civico generalizzato opera di diritto, senza che sia necessaria nel nostro ordinamento una specifica disposizione di legge che ne autorizzi l’operatività anche in specifiche materie, come quella dei contratti pubblici, con la conseguenza che l’accesso civico generalizzato, ferme le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013, è ammissibile in ordine agli atti della fase esecutiva“.
Accesso che ad ogni modo sconta delle eccezioni.
Il riferimento è sia alle eccezioni assolute (es. segreti di stato), che a quelle relative (es. segreti tecnici e commerciali), per le quali a differenza delle prime “non sussiste a monte, nella scala valoriale del legislatore, una priorità ontologica o una prevalenza assiologica di alcuni interessi rispetto ad altri, sicché è rimesso all’amministrazione effettuare un adeguato e proporzionato bilanciamento degli interessi coinvolti“.
Le eccezioni relative “implicano e richiedono un bilanciamento da parte della pubblica amministrazione, in concreto, tra l’interesse pubblico alla conoscibilità e il danno all’interesse- limite, pubblico o privato, alla segretezza e/o alla riservatezza, secondo i criteri utilizzati anche in altri ordinamenti, quali il cd. test del danno (harm test), utilizzato per esempio in Germania, o il c.d. public interest test o public interest override, tipico dell’ordinamento statunitense o di quello dell’Unione europea (art. 4, 2, del reg. (CE) n. 1049/2001: v., per un’applicazione giurisprudenziale, Trib. UE, sez. I, 7 febbraio 2018, in T- 851/16), in base al quale occorre valutare se sussista un interesse pubblico al rilascio delle informazioni richieste rispetto al pregiudizio per l’interesse-limite contrapposto”.
E ciò grazie ad una equilibrata applicazione del limite previsto dall’art. 5-bis, comma 2, c), del d. lgs. n. 33 del 2013, “secondo un canone di proporzionalità, proprio del test del danno (c.d. harm test), che preservi il know-how industriale e commerciale dell’aggiudicatario o di altro operatore economico partecipante senza sacrificare del tutto l’esigenza di una anche parziale conoscibilità di elementi fattuali, estranei a tale know-how o comunque ad essi non necessariamente legati“.
Parimenti, ma da altra angolazione, quantunque l’interesse del richiedente non necessariamente debba essere altruistico o sociale né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, cionondimeno questo non deve essere pretestuoso o contrario a buona fede.
“Sarà così possibile e doveroso evitare e respingere: richieste manifestamente onerose o sproporzionate e, cioè, tali da comportare un carico irragionevole di lavoro idoneo a interferire con il buon andamento della pubblica amministrazione; richieste massive uniche (v., sul punto, Circolare FOIA n. 2/2017, 7, lett. d; Cons. St., sez. VI, 13 agosto 2019, 5702), contenenti un numero cospicuo di dati o di documenti, o richieste massive plurime, che pervengono in un arco temporale limitato e da parte dello stesso richiedente o da parte di più richiedenti ma comunque riconducibili ad uno stesso centro di interessi; richieste vessatorie o pretestuose, dettate dal solo intento emulativo, da valutarsi ovviamente in base a parametri oggettivi”.
L’accesso civico generalizzato, in ultima istanza “non può finire per intralciare proprio il funzionamento della stessa, sicché il suo esercizio deve rispettare il canone della buona fede e il divieto di abuso del diritto, in nome, anzitutto, di un fondamentale principio solidaristico (art. 2 Cost.)“.
Nonostante l’ampio raggio d’azione dell’accesso civico generalizzato, la casa di vetro emblematica di una pubblica amministrazione trasparente, dispone ancora di un funzionante, seppur debole, “sistema di tende”: il filtro valutativo sulle eccezioni relative e sulle istanze pretestuose o contrarie a buona fede di cui s’è detto.
Detto filtro non ci pare tuttavia sufficiente a scongiurare il problema sollevato dalla V Sezione, e ritenuto non convincente dalla Plenaria forse in maniera forse troppo sbrigativa.
L’accesso civico generalizzato, con il benestare della pronuncia oggi in commento, potrà essere pretestuosamente utilizzato per la soddisfazione di interessi economici e commerciali del singolo operatore, nell’intento di superare i limiti interni dei rimedi specificamente posti dall’ordinamento a tutela di tali interessi, ove compromessi dalla conduzione delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici.
Sotto questo profilo, non ci pareva davvero irragionevole la recentissima giurisprudenza della V sezione secondo cui, “sebbene il legislatore non chieda all’interessato di formalmente motivare la richiesta di accesso generalizzato, la stessa vada disattesa, ove non risulti in modo chiaro ed inequivoco l’esclusiva rispondenza di detta richiesta al soddisfacimento di un interesse che presenti una valenza pubblica, essendo del tutto estraneo al perimetro normativo della fattispecie la strumentalità (anche solo concorrente) ad un bisogno conoscitivo privato” (Cons. Stato, V, 12 febbraio 2020, n. 1121).
Non vi sono dubbi che debba essere accolta con favore la massima trasparenza della pubblica amministrazione.
Più difficile è accettare che questa possa contribuire ad alimentare il già gravosissimo contenzioso in materia di contratti pubblici, fornendo agli operatori economici nuove “mosse giuridiche” per sollecitare la risoluzione dei contratti stipulati dalla PA con i competitors, in una spasmodica ricerca di “qualcosa che non va”, anche solo sotto il profilo formale.
S’allarga così la “scacchiera legale” del mercato, ora relegata alla sola fase di individuazione del contraente, anche alla fase di esecuzione contrattuale, che verosimilmente porterà a creare una perversa spirale di attacchi e contrattacchi (e di accessi e controaccessi civici generalizzati), il cui fine non è certamente il buon andamento della pubblica amministrazione, bensì quello dei bilanci delle aziende richiedenti l’accesso, il cui intento è solo ed esclusivamente quello di subentrare nell’esecuzione della commessa.
Un accesso civico generalizzato senza civicità – che rimane allora solo ed esclusivamente generalizzato – di cui nessuno sentiva davvero il bisogno

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