05/04/2020 – Per contenere il contagio sacrificare la nostra privacy?

QUI l’articolo in pdf

 L’eccezionale situazione che in queste settimane stiamo vivendo a causa della pandemia causata dal nuovo coronavirus non riguarda soltanto le nostre abitudini e i comportamenti di ogni giorno, ma ci ha costretto a riflettere su alcuni diritti fondamentali e libertà ormai acquisite da decenni nel nostro ordinamento, e sui presupposti, le procedure e i limiti per la loro limitazione o sospensione. In questi ultimi giorni, al dibattito sulla libera circolazione e sulle libertà economiche sospese o limitate con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, si è aggiunta una riflessione sulla privacy e sul potere e i relativi limiti delle Autorità pubbliche nella violazione della nostra sfera di riservatezza privata. La questione è molto complessa e riguarda, ovviamente, il giudizio di bilanciamento tra due valori entrambi fondamentali: la salute, che la Costituzione del 1948 definisce diritto fondamentale, e la privacy che secondo la Corte costituzionale costituisce manifestazione del «diritto fondamentale all’intangibilità della sfera privata, che attiene alla tutela della vita degli individui nei suoi molteplici aspetti». Tale tema, in realtà, interseca vari aspetti della strategia messa in campo dalle Autorità politiche, con il supporto della comunità scientifica, per arginare la diffusione del contagio, e riguarda sia la strategia complessiva da seguire in questa battaglia senza precedenti, sia anche  questioni apparentemente più banali come la raccolta dei rifiuti prodotti dai soggetti risultati positivi. Più volte si è sentito parlare del “metodo Corea del Sud”, ed è di pochi giorni fa la notizia che il Governo ha lanciato una call pubblica per la realizzazione di una app che consenta di usare anche in Italia la metodologia del contact tracing, cioè di sfruttare i cd. big data per combattere il coronavirus. Per spiegare in concreto di che si tratta e dei rischi, anche futuri di un tale approccio, va chiarito che secondo l’approccio scientifico ogni soggetto contagiato dal virus (tecnicamente R0, “erre con zero”) contagia a sua volta 2,5 persone; il che implica che la diffusione del virus si arresta solo quando questo valore diventa zero o negativo; fino a quando ogni persona contagiata ne contagia almeno un’altra la diffusione del virus non si arresta. Tenuto conto che il tempo stimato entro il quale il contagio si trasmette è pari a due settimane, risulta evidente che le misure di contenimento sono basate sulla logica del lockdown, cioè sul blocco di tutte le attività sociali e lavorative che comportano il contatto tra le persone. Ma risulta, ancora, importante riuscire a tracciare tutti i contatti avuti dai soggetti risultati positivi, in modo da isolare a sua volta tutte le persone che sono venute in contatto con il soggetto positivo, allo scopo di bloccare il meccanismo matematico che sta portando all’esplosione dei dati dei contagiati.

Fino a oggi questa attività di rintraccio dei contatti in ambito di sorveglianza sanitaria è avvenuta attraverso metodi empirici e limitata ai contatti avuti fino a 48 ore prima dell’insorgenza dei sintomi. La prospettiva in discussione è quella di utilizzare i dati delle videocamere di sicurezza, quelli degli smartphone, quelli dei social media (Facebook, Istagram, Tic-Toc), quelli delle operazioni effettuate con carta di credito. In buona sostanza, raccogliendo in un unico data base tutti i dati afferenti la geolocalizzazione in un certo periodo di tempo dei soggetti positivi o sintomatici, risulta possibile mappare le zone in cui questi soggetti sono stati e individuare gli altri soggetti che sono stati in quelle stesse zone. Se la finalità è nobile, e in questo periodo sembra non incontrare resistenza, occorre valutare le invasioni nella sfera individuale di ciascuno da parte delle Autorità.

La normativa europea consente alcune eccezioni alle garanzie sul trattamento dei dati personali in situazioni emergenziali. Ma si impongono due domande: quali sono le garanzie circa l’uso futuro da parte delle Autorità di tali dati, una volta finita la pandemia? Siamo sicuri di voler varcare questa soglia?

Come dice lo storico israeliano Yuval Noah Harari, nel mondo della iper-tecnologia, ogni eccezione temporanea diventa regola. Intanto, il Governo con il decreto legge n. 9 del 2 marzo scorso è intervenuto ad allentare i vincoli al trattamento dei dati sanitari, prevedendo un allentamento nella tutela della privacy, autorizzando una più efficace gestione dei flussi e l’interscambio di dati personali tra autorità sanitaria e tutte le amministrazioni pubbliche comunque coinvolte nella gestione, attuazione e controllo della misure disposte dalle Autorità. Facciamo un esempio: i soggetti risultati positivi all’esame del tampone, laddove non presentano un quadro clinico complesso, sono inviati a domicilio in isolamento o quarantena obbligatoria, mentre tutte le persone venute a contatto con i positivi sono obbligate alla permanenza domiciliare con sorveglianza attiva. Si pone, pertanto, un primo problema afferente ai controlli delle autorità (vigili urbani, forze dell’ordine) sul  rispetto delle misure di isolamento, che riguarda un numero sempre più alto di persone in quanto la quarantena riguarda anche, qui in Sicilia, tutti i soggetti che hanno fatto ingresso nel territorio della Regione come disposto dalle ordinanze regionali. È, dunque, evidente che gli organi comunali preposti al controllo debbono poter venire a conoscenza dello stato di malattia o della situazione di quarantena di persone oggetto dei poteri di controllo. Ma tali dati debbono essere resi noti, ad esempio, anche ai gestori del ciclo dei rifiuti, perché l’Istituto Superiore di Sanità ha disposto che, in ossequio al principio della cautela, i rifiuti urbani prodotti nelle abitazioni dove soggiornano soggetti positivi al tampone debbono essere assimilati ai rifiuti speciali extra-ospedalieri e raccolti da ditte specializzate nel rispetto di particolari regole; allo stesso modo anche i rifiuti prodotti nelle abitazioni dove soggiornano soggetti in quarantena fiduciaria debbono essere considerati tutti indifferenziati, in deroga all’obbligo di separare le varie frazioni, e raccolti e smaltiti secondo i principi applicabili ai rifiuti indifferenziati. L’obbligo di minimizzazione del dato personale non sempre consente di poter anonimizzare il dato, perché spesso, soprattutto nei centri più piccoli, a un determinato indirizzo corrisponde esclusivamente una persona o una famiglia, per cui la semplice organizzazione delle speciali modalità di raccolta dei rifiuti rende nota l’identità della persona positiva o, anche solo, in quarantena. Se le indicate finalità di trattamento (controllo, raccolta rifiuti) giustificano la comunicazione dei dati sanitari, devono essere respinte tutte le pressioni che, in nome di superiori esigenze di salute pubblica e prevenzione dal contagio, vengono pure avanzate soprattutto ai Comuni per rendere pubblico l’elenco dei contagiati. Nell’ordinamento giuridico vigente, improntato al rispetto della dignità della persona, tali pulsioni non possono avere alcuna sponda, se non a costo di far regredire la nostra società a uno stadio quasi pregiuridico in cui gli appestati erano banditi dalla società, come raccontano le memorabili pagine del Manzoni. Questo subdolo virus ci sta rendendo tutti peccatori e, comunque, non più ascrivibili alla categoria dei giusti candidati alla vita eterna, posto che siamo stati costretti, oltre a reprimere la pietas verso i morti, financo a disobbedire alla parola Vangelo (“ero nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato”, Mt 25,46); cerchiamo almeno di non resuscitare le regole dell’antica Sparta e gli orrori del monte Taigeto: esistono Autorità e regole per garantire i controlli e la salute pubblica. 

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto