05/09/2023 – Ennesimo travisamento dei giudici civili in tema di lavoro pubblico: l’inesistente perdita di chance per mancata mobilità volontaria

Ennesimo travisamento dei giudici civili in tema di lavoro pubblico: l’inesistente perdita di chance per mancata mobilità volontaria

 

Un insieme di pronunce, tra primo e secondo grado, e decisione in Cassazione, che lascia sbigottiti e conferma quanto erronea è stata la scelta del 1998 di attribuire ai giudici ordinari la giurisdizione sul rapporto di lavoro alle dipendenze della PA.

Purtroppo, i giudici ordinari non avevano, e continuano a dimostrare di esserne privi, la necessaria formazione sulle peculiarità del rapporto di lavoro pubblico, al quale continuano ad applicare in forma analogica canoni propri del puro diritto civile, nonostante il d.lgs 165/2001 si qualifichi come norma di diritto speciale che per le parti che dispongono in modo diverso dall’ordinamento civilisitico, rende questo inapplicabile.

Dell’intero apparato decisionale dei giudici, evidenziato dall’ordinanza della Corte di Cassazione Sezione civile, lavoro 20/7/2023, n. 20966, l’unico aspetto persuasivo è la decisione della Corte di appello in merito all’illiceità del comportamento di una PA che copre fabbisogni stabili con forme di lavoro, invece, flessibili.

Occorre raccontare i fatti. L’ ingegnere Tizio dipendente del comune A, cat. D3 del c.c.n.l. enti locali, a seguito del trasferimento dal comune B di altro dipendente ingegnere inquadrato nel medesimo livello professionale, aveva presentato in data 2/5/2008 domanda di mobilità per quel posto resosi vacante nel comune B; tale comune B aveva comunicato al richiedente il rigetto della sua domanda, poichè il medesimo comune B non aveva indetto alcuna procedura di mobilità; ma, sempre il comune B aveva quindi avviato in data 14/5/2008 una procedura di assunzione con contratto a tempo determinato per un anno e così, poi, conferito l’incarico all’ingegnere Caio; nè il comune B aveva dato nessun riscontro alla domanda del Tizio di partecipare alla selezione per il conferimento del contratto annuale; Tizio aveva, quindi, proposto ricorso al Tribunale chiedendo disporsi che venisse accertato il suo diritto alla stipula del contratto a tempo determinato per un anno oltre che condannato il comune B al risarcimento del danno; 2. il Tribunale aveva accolto in parte la domanda; aveva accertato la responsabilità del comune B per non essere ricorso alla procedura di mobilità, avvalendosi erroneamente per l’assunzione in parola delle comuni forme contrattuali; aveva condannato il comune B al solo risarcimento del danno quantificato in euro 8.131,80 (per spese di benzina e pedaggio autostradale nonché per il compenso di un’ora di straordinario per il tempo effettivo di raggiungimento del posto di lavoro); la Corte d’appello evidenzia la responsabilità del comune B per non avere quest’ultimo preliminarmente verificato la possibilità di coprire il posto resosi vacante

tramite la procedura di mobilità, considerato che la copertura del posto in parola non era diretta a sopperire una esigenza straordinaria bensì stabile ed ordinaria e che ciò imponeva all’Amministrazione di attivare le procedure di mobilità e solo in caso di

infruttuosità della stessa di bandire un concorso pubblico.

Decisione finale: l’ordinanza rinvia alla Corte d’appello la sentenza, perchè il danno da perdita di chance, accertato anche dal giudice territoriale, avrebbe dovuto anche considerare la concreta ed effettiva possibilità dell’ingegnere Tizio, se fosse stato assunto, di conseguire anche le retribuzioni di posizione e risultato connesse all’incarico di posizione organizzativa a sua volta collegato al posto vacante coperto con contratto a tempo determinato; secondo la Cassazione, si tratterebbe di lucro cessante da valutarsi, ovviamente, in rapporto al trattamento retributivo complessivo goduto dal Tizio Miuccio presso il comune A.

Ora, sintetizzata la vicenda, risultano più evidenti le parti condivisibili e molto meno condivisibili del costrutto interpretativo offerto dai vari giudici.

Persuade solo, come evidenziato prima, la constatazione dell’illegittimità della decisione del comune B di coprire un fabbisogno continuativo avvalendosi di un contratto flessibile, a tempo determinato.

Anche se i fatti risalgono al 2008 e solo nel 2013 il testo dell’articolo 36, comma 2, è stato formulato in modo inequivocabilmente chiaro, già a quell’epoca comunque risultava evidentissima l’impossibilità per le PA di coprire posti della dotazione organica e, quindi, connessi all’ordinario fabbisogno, mediante contratti flessibili, utilizzabili solo per esigenze straordinarie.

La tendenza delle PA, invece, a considerare equivalenti le assunzioni a tempo indeterminato e quelle flessibili era, ed è ancora, molto estesa, nonostante la plateale contrarietà a legge.

Dalla lettura dell’ordinanza non è, però, dato comprendere se il comune B avesse assunto l’ingegnere, preposto alla direzione di una struttura di vertice e per questo destinatario di incarico di posizione organizzativa, fosse stato assunto utilizzando l’articolo 110 del d.lgs 267/2000.

Se così fosse, allora le sentenze dei giudici territoriali si rivelerebbero clamorosamente erronee: piaccia o meno (e a chi scrive l’articolo 110 del d.lgs 267/2000 piace pochissimo), l’assunzione a contratto è regolata dal Tuel in ampia deroga alla disciplina generale dei contratti flessibili prevista dall’articolo 36 del d.lgs 165/2001; l’articolo 110 consente in maniera chiara di soddisfare, sia pure con una forma flessibile, proprio fabbisogni ordinari, in quanto il comma 1 consente di coprire posti della dotazione organica.

Laddove, invece, il comune B avesse effettuato il reclutamento non avvalendosi dell’articolo 110 del Tuel, allora le conclusioni delle corti territoriali sarebbero correttissime e dovrebbero fare da monito alle altre PA.

Quello che non persuade assolutamente, invece, è quanto disposto in merito alla perdita di chance, connessa al diniego alla mobilità.

Se, da un lato, è corretto stigmatizzare l’illegittimità dell’assunzoine flessibile su fabbisogni stabili (fermi restando i dubbi sull’utilizzo dell’articolo 110), dall’altro pare di percepire che i giudici ordinari abbiano travisato non poco l’istituto della mobilità.

Vero è che nel 2008 era già vigente l’obbligo per le PA di far precedere i concorsi dall’esperimento di procedure di mobilità volontaria. Ma, altrettanto vero è che tale obbligo scattava solo per la copertura di posti vacanti in organico.

Il comune B, tuttavia:

  1. o ha assunto con l’articolo 110 del Tuel e quindi poteva legittimamente assumere con contratto a termine, non applicandosi nessuna delle regole specificamente dedicate dal d.lgs 165/2001 al tempo determinato;
  2. oppure non ha applicato l’articolo 110, ma ha comunque assunto con contratto a termine.

 Nell’ipotesi 2, per quanto sia stata illegittima la scelta di coprire un fabbisogno continuativo con un contratto a termine, in ogni caso nessun obbligo di attivare la mobilità incombeva sull’ente.

Era, allora, possibile evidenziare l’illegittimità dell’assunzione a tempo determinato dell’ingegnere Caio, ma limitatamente agli effetti sul rapporto di lavoro tra comune B e, appunto, ingegnere Caio: questo avrebbe potuto dolersi dell’illegittima apposizione del termine sul contratto di lavoro (a meno di articolo 110) e chiedere il risarcimento del danno.

Ma, affermare che la mancata attivazione della procedura di mobilità da parte del comune B comporti danno da perdita di chance nei confronti dell’ingegnere Tizio è platealmente assurdo e paradossale: è come affermare che qualsiasi dipendente pubblico, sul semplice presupposto che mandi a tutti i circa 30.000 enti pubblici una richiesta di mobilità volontaria, acquisisce il diritto al risarcimento del danno se questi non attivano la mobilità ed assumano con contratti a termine.

O, ancora, è come ritenere che esista in capo al dipendente un diritto al transito in mobilità; diritto totalmente inesistente ancor più all’epoca, il 2008, anche perchè la mobilità si può perfezionare solo col consenso dell’ente di provenienza, eventualità per nulla certa e per altro nemmeno presa in considerazione dalle sentenze.

Come si possa, pertanto, fondare un diritto al risarcimento del danno per una perdita di chance assolutamente inesistente o, al massimo, astratta e comunque condizionata dal nulla osta, francamente non è possibile comprendere. Mentre si comprende benissimo, appunto, la difficoltà estrema dei giudici del lavoro nell’affrontare le questioni del lavoro nella PA.

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