04/09/2020 – I contratti a termine non dribblano i vincoli

I contratti a termine non dribblano i vincoli
di Luigi Oliveri

Ai comuni non è consentito peggiorare il rapporto tra spesa di personale e media triennale delle entrate correnti, al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità dell’ultimo anno del triennio, disponendo assunzioni a tempo determinato.

L’articolo 33, comma 2, del d.l. 34/2019, convertito in legge 58/2019, attuato dal dm 17.3.2020 ha modificato radicalmente il sistema di computo delle facoltà assunzionali, ma molte amministrazioni ritengono possibile ancora adottare comportamenti e scelte, legittime nel sistema precedente, ma non più compatibili con l’attuale.
L’esempio delle assunzioni dei dipendenti a tempo determinato è particolarmente calzante. Vigente il regime di controllo della sola spesa del personale basato sul turn over, gli enti avevano da controllare essenzialmente tre ordini di grandezza. Il primo: la media della spesa di personale del triennio 2011-2013 (o per gli enti fino a 1000 abitanti la spesa del 2008). Entro tale tetto, qualsiasi spesa di personale era teoricamente possibile. Il secondo: il costo delle cessazioni dell’anno precedente, cui aggiungere i resti assunzionali del quinquennio ancora precedente. Il terzo: il tetto alla spesa per le assunzioni flessibili, tra cui quelle a tempo determinato, previsto dall’articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2019, convertito in legge 122/2010. Nel precedente regime normativo sarebbe stato possibile effettuare tutte le assunzioni a tempo determinato entro il tetto indicato dall’articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2010 (in sostanza, la spesa del 2009, tranne per gli enti non virtuosi, per i quali il tetto è ridotto al 50% della spesa 2009), purché entro il tetto massimo della media del triennio 2011-2013.
Col nuovo metodo di calcolo delle facoltà assunzionali, non è più da dare per scontato che un comune possa assumere tutti i dipendenti a tempo determinato astrattamente rientranti nel tetto di cui all’articolo 9, comma 28.
La ragione è semplice. Il precedente regime normativo guardava esclusivamente alla spesa di personale e non la metteva in correlazione con altri elementi del bilancio. Il nuovo sistema, come acclarato da molteplici pronunce della Corte dei conti, introduce una rilevantissima novità: pone il principio della sostenibilità della spesa. Le facoltà assunzionali, in altre parole, non sono più connesse esclusivamente al controllo della sola spesa di personale, ma al rapporto tra questa e le entrate correnti. L’esito di tale rapporto, dà la misura della sostenibilità della spesa di personale. Il dm 17.30 2020 è molto chiaro: solo gli enti «virtuosi», il cui rapporto spesa di personale/entrate risulti inferiore ai valori soglia indicati dal dm stesso possono «incrementare la spesa di personale registrata nell’ultimo rendiconto approvato», cioè, quindi, aumentare il numeratore del rapporto spesa/entrate; e l’incremento consentito agli enti virtuosi è ammesso esclusivamente «per assunzioni di personale a tempo indeterminato». Di conseguenza, un ente potrebbe in teoria aumentare la spesa di personale connessa ad altre voci, diverse dalle assunzioni a tempo indeterminato (per esempio, appunto, assumendo personale flessibile), solo garantendo che a tale incremento di spesa corrisponda un simmetrico incremento delle entrate, tale da lasciare in alterato il rapporto finanziario. In caso contrario, il comune andrebbe incontro a conseguenze che il dm non specifica, ma che sono implicite. In primo luogo, ovviamente compromette e riduce gli spazi di assunzioni a tempo indeterminato. In secondo luogo, vìola precise indicazioni poste dalla legge e, quindi, pone in essere una gestione contabile e del personale di per sé lesiva del principio di sostenibilità finanziaria, da considerare come un vero e proprio principio di bilancio, la cui violazione ne inficia la regolarità, con possibili conseguenze erariali.

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