04/08/2018 – Consigli, prefetti in campo

Consigli, prefetti in campo  Se il presidente non convoca l’assemblea

[p.36] Ai sensi dell’art. 39, comma 5, del decreto legislativo n. 267/00, in quali casi viene attivato il potere sostitutivo del prefetto? Nella fattispecie in esame, alcuni consiglieri comunali di minoranza hanno depositato presso il comune una mozione e una interrogazione contestualmente alla istanza di convocazione del consiglio, ai sensi dell’art. 39, comma 2, del decreto legislativo n. 267/00 e, a causa del mancato riscontro della richiesta nei termini indicati dalla legge, hanno chiesto l’attivazione del potere sostitutivo del prefetto ex art. 39, comma 5, del citato Tuel. Il regolamento sul funzionamento del consiglio comunale prevede che le interrogazioni e le mozioni presentate al protocollo dell’ente devono essere iscritte all’ordine del giorno in occasione della convocazione della prima adunanza del consiglio successiva alla loro presentazione. Inoltre, la medesima fonte normativa stabilisce che la convocazione richiesta ex art. 39, comma 2, «deve contenere in allegato, per ciascun argomento indicato da iscrivere all’ordine del giorno, il relativo schema di deliberazione». Il sindaco, in base al combinato disposto delle citate norme regolamentari, sostiene che la richiesta di convocazione formulata da un quinto dei consiglieri non possa avere ad oggetto atti di sindacato ispettivo, dovendo ciascuna richiesta essere, indefettibilmente, corredata dal relativo «schema di deliberazione». Ciò stante, l’orientamento che vede riconosciuto e definito dal legislatore «il potere dei consiglieri di chiedere la convocazione del Consiglio medesimo» come «diritto» è ormai ampiamente consolidato (sentenza Tar Puglia, Lecce, sez. I del 4 febbraio 2004, n. 124). Peraltro, il diritto ex art. 39, comma 2, «è tutelato in modo specifico dalla legge con la previsione severa ed eccezionale della modificazione dell’ordine delle competenze mediante intervento sostitutorio del prefetto in caso di mancata convocazione del consiglio comunale in un termine emblematicamente breve di venti giorni» (Tar Puglia, sez. 1, 25 luglio 2001, n. 4278). Il Tar Sardegna, con sentenza n. 718 del 2003, ha respinto un ricorso avverso un provvedimento prefettizio ex art. 39, comma 5, del citato decreto legislativo in quanto, ad avviso del giudice amministrativo, il prefetto non poteva esimersi dal convocare d’autorità il consiglio comunale, «essendosi verificata l’ipotesi di cui all’art. 39 del Tuel n. 267/2000». Circa la questione della sindacabilità dei motivi che determinano i consiglieri a chiedere la convocazione straordinaria dell’assemblea, secondo l’indirizzo prevalente, al presidente del consiglio spetta solo la verifica formale della richiesta e il prescritto numero di consiglieri, non potendo comunque sindacarne l’oggetto. La giurisprudenza in materia si è, infatti, da tempo espressa affermando che, in caso di richiesta di convocazione del consiglio da parte di un quinto dei consiglieri, «al presidente del consiglio comunale spetta soltanto la verifica formale che la richiesta provenga dal prescritto numero di soggetti legittimati, mentre non può sindacarne l’oggetto, poiché spetta allo stesso consiglio nella sua totalità la verifica circa la legalità della convocazione e l’ammissibilità delle questioni da trattare, salvo che non si tratti di oggetto che, in quanto illecito, impossibile o per legge manifestamente estraneo alle competenze dell’assemblea in nessun caso potrebbe essere posto all’ordine del giorno» (Tar Piemonte, n. 268/1996 ). Inoltre, si è sostenuto che appartiene ai poteri sovrani dell’assemblea decidere in via pregiudiziale che un dato argomento inserito nell’ordine del giorno non debba essere discusso (questione pregiudiziale) ovvero se ne debba rinviare la discussione (questione sospensiva) (Tar Puglia, Lecce, sez. 1, 25 luglio 2001, n. 4278 e sempre Tar Puglia, Lecce, sez. 1, 4 febbraio 2004,n.124). Nondimeno, l’art. 43 del Tuel demanda alla potestà statutaria e regolamentare dei comuni e delle province la disciplina delle modalità di presentazione delle interrogazioni, delle mozioni e di ogni altra istanza di sindacato ispettivo proposta dai consiglieri, nonché delle relative risposte, che devono comunque essere fornite entro 30 giorni. Al riguardo, qualora l’intenzione dei proponenti non fosse diretta a provocare una delibera in merito del consiglio comunale, bensì a porre in essere un atto di sindacato ispettivo, si potrebbe ipotizzare, ai sensi dell’art. 42, comma 1, del decreto legislativo n. 267/00, che rientri nella competenza del consiglio comunale in qualità di «organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo» anche la trattazione di «questioni» che, pur non rientrando nell’elencazione del comma 2 del medesimo art. 42, attengono comunque al suddetto ambito di controllo. Del resto, la dizione legislativa che parla di «questioni» e non di deliberazioni o di atti fondamentali, conforta nel ritenere che la trattazione di argomenti non rientranti nella previsione del citato comma 2, dell’art. 42, non debba necessariamente essere subordinata alla successiva adozione di provvedimenti da parte del consiglio comunale. Sulla base di tali argomentazioni, pertanto, il prefetto è tenuto alla applicazione della normativa prevista dall’art. 39, comma 5, del decreto legislativo n. 267/00, invitando il sindaco a voler provvedere alla convocazione del richiesto consiglio comunale. Con specifico riferimento al caso in esame, l’ente potrebbe valutare l’opportunità di modificare la normativa regolamentare dal momento che la stessa, limitando all’esame delle «deliberazioni» la possibilità di accedere all’istituto previsto dall’art. 39, comma 2, citato, restringe il perimetro dei diritti riconosciuti ai consiglieri comunali dalla legge statale.

03/08/2018 

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto