04/02/2019 – La Corte dei conti della Sicilia, sezione di controllo, sembra demolire per l’ennesima volta le stabilizzazioni dei precari.

La Corte dei conti della Sicilia, sezione di controllo, sembra demolire per l’ennesima volta le stabilizzazioni dei precari.

 

QUI il parere n. 28/2019 della Corte dei Conti siciliana, sezione di controllo

Ci sono voluti 10 mesi perché la Corte dei Conti siciliana, sezione di controllo, sollecitata da un piccolo Comune con la richiesta di un parere, puntuale e tecnicamente dettagliato, si pronunciasse sulle stabilizzazioni come disciplinate dalla l.r. 8/2018 fornendo una chiave di lettura della normativa regionale in coordinamento con quella nazionale che, ancora una volta, di fatto impedirà alla stragrande maggioranza dei Comuni di assumere i precari storici. Dieci mesi durante i quali, alla luce del sole, le diverse amministrazioni comunali, all’indomani della pubblicazione della l.r. 8/2018, si sono affannate a porre in essere tutte le azioni necessarie perché potessero essere in regola sia amministrativamente che contabilmente con le norme sulle stabilizzazioni. La circolare del 5.11.2018 dell’Assessorato aveva poi fornito ulteriori assicurazioni agli enti sul fatto che finalmente c’erano tutte le condizioni per stabilizzare.  Un silenzio di dieci mesi durante i quali molti enti hanno completato le procedure, firmato i contratti, trasmesso gli atti in Assessorato per il contributo previsto dalla legge regionale, senza contare la copiosa corrispondenza rivolta all’Assessorato per renderlo edotto delle procedure in corso ed ai sindacati per comunicare lo stato dei processi di stabilizzazione a fronte dei continui solleciti da parte degli stessi.

Questi i due passaggi chiave di una deliberazione, la n. 28/2019, che, pur non mettendo mai in discussione la legittimità della l.r. 8/2018 e la sua compatibilità con la riforma Madia, ne fornisce una chiave di lettura “originalissima”, per lo meno per il secondo punto.

  1. “ il collegio ritiene che l’applicazione delle disposizioni nazionali sulla preventiva mobilità obbligatoria ex art. 34, 34 bis e 35 del d.lgs 165/01, costituisca una condizione ineludibile per le amministrazioni pubbliche che intendano procedere all’espletamento di procedure concorsuali per l’assunzione di personale”;
  2. “ ne consegue che, dato il vincolo di destinazione delle risorse regionali alle procedure di stabilizzazione, l’entità di dette risorse aggiuntive, affinchè possa dirsi garantito l’adeguato accesso dall’esterno, non potrebbe in ogni caso superare l’importo di quelle a carico del bilancio e destinate al reclutamento ordinario” e prima, riprendendo una prospettazione dell’ente richiedente “ …ferma restando in ogni caso la necessità di rispettare l’adeguato accesso dall’esterno fissato nella misura del 50% delle risorse ( sia comunali che regionali) utilizzabili”

 Sul primo punto la questione si ripropone ancora una volta nonostante sembrava fosse stata risolta per questa particolare procedura di assunzione: la norma citata è chiara nel richiedere la preventiva attivazione della procedura di mobilità obbligatoria, ma se le assunzioni dei precari sono diventate possibili grazie al contributo regionale connesso proprio alla posizione del lavoratore precario, come potrebbe un ente soddisfare le possibili richieste di mobilità di altro personale con oneri a totale carico del proprio bilancio? Anzi come potrebbe indire le procedure di mobilità a prescindere dal contributo regionale? Senza considerare che le procedure di stabilizzazione sono state ideate esclusivamente per porre fine al precariato che, in Sicilia, non può neppure lontanamente accostarsi al precariato del resto d’Italia: quale la logica di far precedere le procedure concorsuali di stabilizzazione dalle procedure di mobilità? Oppure vogliamo ancora una volta provare a sostenere che i precari siciliani hanno già sostenuto procedure concorsuali e quindi possono essere assunti direttamente?  Questioni che negli ultimi anni si sono riproposte ciclicamente e alle quali si è tentato inutilmente di dare soluzione con leggi nazionali e regionali, ignorando la peculiarità della situazione siciliana. Ma questo primo punto non può prescindere da quello successivo che analizza il significato dell’adeguato accesso dall’esterno e delle capacità assunzionali di cui ogni ente può disporre.

Sul secondo punto la chiave di lettura della Corte dei Conti dell’art. 26 comma 6 della l.r. 8/2018 deriva da un’analisi della normativa nel suo complesso svolta, per così dire, “ a puntate” con un finale nuovo anche rispetto a tutte le interpretazioni che in questi dieci mesi si sono diffuse. Ecco i passi:

  1. “La disposizione dell’art. 26 comma 6 va intesa, invero, nel senso che nell’ambito degli spazi assunzionali disponibili per le stabilizzazioni ( 50% della complessiva disponibilità dell’ente), al netto di quelli destinati ad essere coperti mediante procedure concorsuali aperte all’esterno, le relative procedure possono essere interamente riservate senza che ciò contrasti con l’art. 20 comma 2 del d.lgs 75/2017”: quindi procedure interamente riservate nell’ambito del 50% degli spazi dell’ente ( lettura positiva se aggiungiamo a questo 50% le risorse regionali aggiuntive così che gli spazi ordinari relativi al restante 50% restano intatti)
  2. “La ratio della garanzia della riserva dei posti all’esterno non riguarda la singola procedura selettiva, nell’ambito della quale sia prevista una riserva di posti a favore dei precari da stabilizzare, bensì risulta assicurata dal generale obbligo per gli enti di bandire procedure concorsuali aperte a tutti per la copertura del fabbisogno nell’ambito degli spazi finanziari disponibili destinando risorse non superiori al 50% di detto plafond all’espletamento di procedure concorsuali ad hoc tra il personale precario da stabilizzare. In altri termini il reclutamento del personale attraverso procedure concorsuali per la stabilizzazione non può in ogni caso assorbire risorse finanziarie superiori al 50% di quello da reclutare attraverso ordinarie procedure concorsuali aperte all’esterno”: quindi non si parla più di posti riservati, ma di risorse da destinare alle procedure speciali e a quelle ordinarie nella misura del 50% ciascuna ( anche in questo caso lettura già chiara considerato che le risorse aggiuntive regionali  le utilizzo per il fine di destinazione, ossia le stabilizzazioni, quindi con procedure riservate; lettura che tuttavia deve essere integrata con i passi successivi che puntano l’attenzione sul concetto di risorse finanziarie disponibili)
  3.  “Il collegio ritiene che le risorse finanziarie assegnate ai comuni dalla legge regionale 8/2018, abbiano la finalità di garantire la possibilità, non prevista dal comma 4 dell’art. 20 della legge Madia, di elevare i complessivi spazi assunzionali mediante risorse aggiuntive regionali anche in caso di stabilizzazioni da attuarsi ai sensi del comma 2 dell’art. 2”: quindi se è vero che esiste il limite del 50% come sopra delineato, tale limite è superato grazie alle risorse aggiuntive regionali ( lettura positiva e coerente con le finalità dell’art. 3 della l.r. 27/2016 come modificata ed integrata dalla l.r. 8/2018 art. 26 comma 7);
  4.  “In tal senso il 50% dei posti disponibili quale limite imposto alle procedure di stabilizzazione dal comma 2 dell’art. 20 deve calcolarsi considerando la possibilità di elevare con risorse aggiuntive regionali gli spazi assunzionali ordinari…”: lettura ancora coerente con quanto esposto al punto precedente.
  5. Ed ecco il colpo a sorpresa : “ …ovvero, come prospettato dall’amministrazione richiedente, con, apri virgolette, riflesso solo sulla determinazione degli spazi assunzionali complessivamente disponibili ( e fin qui ancora coerente) ferma restando, in ogni caso, la necessità di rispettare l’adeguato accesso dall’esterno fissato nella misura del 50% delle risorse sia comunali che regionali utilizzabili, chiuse virgolette. Ne consegue che, dato il vincolo di destinazione delle risorse regionali alle procedure di stabilizzazione, l’entità di dette risorse aggiuntive, affinchè possa dirsi garantito l’adeguato accesso dall’esterno, non potrebbe in ogni caso superare l’importo di quelle a carico del bilancio e destinate al reclutamento ordinario”

Così cambia il quadro sostanziale:

  1. Prima della deliberazione: un ente ha proprie capacità assunzionali per 200, ha inoltre la possibilità di utilizzare risorse aggiuntive regionali ( art 26 commi 5,6,e,7) nel limite della previsione del comma 28 art. 9 d.l. 78/2010 da destinare alle procedure di stabilizzazione. Quindi alle 200 di capacità proprie l’ente somme le capacità derivanti dalle risorse aggiuntive che utilizza per le procedure di stabilizzazione lasciando quasi intatte le capacità ordinarie e quindi rispettando il vincolo del 50% per l’accesso dall’esterno;
  2. Dopo la deliberazione: un ente ha proprie capacità assunzionali di 200 e a queste può sommare capacità aggiuntive fino ad un massimo di 200 con obbligo di destinare il 50% all’accesso dall’esterno: quindi capacità assunzionali non più parametrate alle risorse del comma 28 art. 9 d.l. 78/2010 e che certamente garantiscono l’assunzione dei precari, ma ridotte e indissolubilmente collegate alle capacità ordinarie dell’ente derivanti dai collocamenti a riposo del personale.   

La domanda a questo punto sorge spontanea: in quanti comuni i collocamenti a riposo degli ultimi tre anni ( considerando la possibilità di utilizzare i resti assunzionali degli anni 2017 e 2018) sono in grado di garantire una capacità assunzionale che, sommata a quelle delle risorse regionali nello stesso importo, ma poi ridotta al 50%, sia idonea a coprire il fabbisogno necessario alla assunzione dei precari presenti in numero quasi sempre elevato?  

La lettura dell’amministrazione richiedente è, quindi, stata sposata in pieno dalla Corte dei Conti che, sulla richiesta di un parere, adotta un atto deliberativo e lo trasmette anche all’Assessorato enti locali a rimarcare l’efficacia generalizzata dell’atto

Non credo che, allo stato, vi siano altri margini di interpretazione, data la posizione netta assunta dalla Corte: la parola passa ancora una volta all’Assessorato, alle organizzazioni sindacali, alle amministrazioni comunali che hanno già firmato i contratti ed a quelle che hanno in corso di definizione le procedure di stabilizzazione. Sarà tutto nuovamente congelato o peggio, revocato?

Da tecnico che aveva motivatamente sposato la prima tesi che rispettava l’adeguato accesso dall’esterno, e portato quasi a termine le procedure, non posso che adeguarmi a quanto esposto nell’atto deliberativo, così come compreso dalla sua lettura, e sospendere l’iter non ritenendo di poter porre in essere altri atti prima che in modo chiaro venga spiegato ai Comuni come muoversi: se dopo dieci mesi succede tutto questo, cosa impedisce che più avanti nascano altre novità? Troppi sono gli anni trascorsi da quando si cominciò a parlare di stabilizzazioni, tanti i dubbi che continuano a permanere, quando sarebbe sufficiente indicare una strada chiara ed univoca perché si raggiunga l’obiettivo di porre fine al precariato. Viene il dubbio che questa volontà davvero esista!

Dott. Francesco Scattareggia – Segretario Generale

                                                                                                                      

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