Progressioni verticali: punteggi solo a titoli ulteriori, non a quelli per l’accesso

Per le progressioni verticali regolate dall’articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs 165/2001 ai fini del punteggio non vale il titolo di studio necessario per accedere tramite concorso dall’esterno, bensì possono essere considerati i titoli di studio “ulteriori”.

Nel lavoro pubblico le progressioni verticali sono un istituto che sostituisce, nel lavoro privato, il consolidamento delle mansioni superiori. In applicazione dell’articolo 2103 del codice civile, i datori privati fanno spesso progredire dipendenti che abbiano considerato meritevoli, attribuendo loro mansioni superiori, così da valutare dal vero la loro capacità di svolgere mansioni di più complessa responsabilità, per poi lasciare decorrere il termine massimo di svolgimento di dette mansioni superiori, in modo che resti acquisito definitivamente l’inquadramento superiore.

Nel lavoro pubblico questo meccanismo è impossibile, perchè è vietato applicare detto articolo 2013. Per questa ragione il fine di consentire a chi, già dipendente di una PA, si distingua per particolari competenze, è perseguito con lo strumento della progressione verticale.

Si comprende, allora, per quale ragione i punteggi da attribuire non debbono riguardare il possesso del titolo di studio necessario in caso di accesso dall’esterno con concorso pubblico: questo è un requisito soggettivo da considerare di mera ammissibilità alla procedura di progressione verticale e conseguentemente improduttivo di punteggi.

D’altra parte, ciò che l’articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs 165/2001 consente di valutare è il “possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno”.

Per altro, chi dipenda già da una PA ha comunque una possibilità in più, rispetto ad ogni altro cittadino, di ascendere ad inquadramenti superiori. Infatti, mentre il cittadino qualunque può solo accedere per concorso pubblico, il dipendente della PA non solo può a sua volta partecipare ad ogni concorso pubblico, ma può, in aggiunta, valersi della progressione verticale. Poiché questa è una procedura riservata, che esclude il confronto col mercato, il legislatore ha correttamente deciso di valorizzare titoli e competenze fuori dall’ordinario.

Su questa linea interpretativa è la sentenza del Tar Sicilia, Catania, Sez. III, 3.1.2024, n. 12, che, in estrema sintesi, rigetta il ricorso presentato da una dipendente, laureata in scienze biologiche e naturali, avverso il provvedimento che non l’ha ammessa ad una procedura di progressione verticale per accedere all’area Funzionari nel profilo giuridico amministrativo o contabile.

Oggetto del ricorso, la circostanza che il bando ed il resto della lex specialis aveva appunto richiesto per la partecipazione titoli molto precisi e connessi strettamente alle competenze specifiche del profilo di inquadramento, incompatibili con la laurea in scienze biologiche.

Secondo il ricorso, l’ente avrebbe dovuto comunque aprire la procedura a chiunque disponesse di laurea; anzi, la circostanza che successivamente all’indizione della procedura fosse divenuto efficace l’articolo 13, comma 6, del Ccnl 16.11.2022, ai sensi del quale sono possibili progressioni verticali anche a chi non possieda il titolo per accedere dall’esterno, avrebbe ulteriormente viziato la decisione di escluderla.

Il Tar ha rigettato totalmente le doglianze presentate col ricorso. Stabilisce il giudice[1]: “Nessun dubbio può residuare, conseguentemente, in ordine al fatto che la discrezionalità riconosciuta dalla norma alle amministrazioni con riferimento alla possibilità di graduare e declinare in autonomia i titoli e le competenze professionali richiesti ai fini della progressione verticale interna riguardi “titoli di studio ulteriori rispetto a quelli validi per l’accesso all’area dall’esterno”.

La sentenza ha richiamato il parere della Funzione Pubblica DFP-0066005-P6/10/2021, il quale in merito ai titoli precisa: “Da quanto detto discende che, in sede applicativa, le stesse amministrazioni procedenti potranno programmare il ricorso alla procedura comparativa per la copertura di più elevati fabbisogni professionali adattandola alle proprie esigenze, ossia declinando in autonomia con propri atti i titoli e le competenze professionali (a titolo esemplificativo il possesso di abilitazioni professionali non richieste ai fini dell’accesso) nonché i titoli di studio ulteriori rispetto a quelli validi per l’accesso all’area dall’esterno (lauree, master, specializzazioni, dottorati di ricerca, corsi con esame finale) ritenuti maggiormente utili – per l’attinenza con le posizioni da coprire previste dall’ordinamento professionale vigente al proprio interno, sulla base del contratto collettivo di riferimento e con le attività istituzionali affidate – ai fini del superamento della procedura comparativa e funzionali al miglioramento dell’efficienza dell’amministrazione, assegnando – ove possibile – anche il relativo punteggio”.

Come logico, non solo le PA debbono premiare non professionalità ordinarie (a nulla valendo l’anzianità, ad esempio), ma possono attribuire punteggi a quelle di particolare rilievo, come attestate da titoli “ulteriori” a quelli per l’accesso tramite concorsi, purchè comunque attinenti a profilo e mansioni da coprire.

In caso contrario, la progressione verticale si rivelerebbe semplicemente un premio individuale, totalmente slegato da esigenze organizzative, che invece sono alla base della scelta della PA di escutere questo sistema di reclutamento invece del concorso pubblico.


[1] E’ da precisare, comunque, che il Tar non ha censurato la circostanza che nel caso di specie il bando di concorso aveva previsto anche punteggi per il solo titolo di ammissione.

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