Modelli 231 e prevenzione antimafia

Autrice: VITTORIA DROSI

SOMMARIO: 1. PREMESSA. – 2. LE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI DIVERSE DALLA CONFISCA. – 2.1 IL CAPO V DEL CODICE ANTIMAFIA: L’AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA E IL CONTROLLO GIUDIZIARIO (ARTT. 34 E 34-BIS). – 2.2. IL RUOLO DEL MODELLO 231 NELL’AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO GIUDIZIARIO. – 3. IL SISTEMA DELLE DOCUMENTAZIONI ANTIMAFIA. – 3.1. LE COMUNICAZIONI E LE INFORMAZIONI ANTIMAFIA. – 3.2. IL MODELLO 231 NELLA “PREVENZIONE” AMMINISTRATIVA: LA NUOVA MISURA DELLA PREVENZIONE DELLA COLLABORATIVA. – 4. I MODELLI 231 NELLA PREVENZIONE ANTIMAFIA, GIURISDIZIONALE E AMMINISTRATIVA. – 5. I MODELLI 231: IL TRAIT D’UNION TRA PREVENZIONE E SISTEMA DELLA RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI.

1. Premessa. L’esigenza di contrasto ad alcune forme di criminalità economica, organizzata e non, han portato il Legislatore, nel tempo, a far ricorso a strumenti ablativi, quali il sequestro e la confisca di prevenzione. Negli ultimi tempi, invece, pur senza abbandonare del tutto l’approccio ablatorio, il Legislatore ha inserito, nel corpus delle misure di prevenzione, anche una serie
di istituti “sussidiari” di carattere “terapeutico” finalizzati ad una “bonifica” dell’attività imprenditoriale quando si ha il sospetto che possa essere “pericolosa”. Scopo del presente lavoro è quello di individuare punti di contatto, interferenze e analogie eventualmente esistenti tra, da un lato, il sistema dellemisure di prevenzione patrimoniali e delle documentazioni antimafia, e, dall’altro, il sistema della responsabilità da reato delle persone giuridiche. Più in dettaglio, si cercherà di mettere in evidenza la capacità della compliance aziendale di permettere ad una azienda, già colpita da una misura di prevenzione giurisdizionale o da una interdittiva antimafia, di liberarsi della stessa (eventualmente anche anticipatamente), ed evitare l’applicazione di misure più
severe. L’uso intelligente di un paradigma terapeutico rispetto alle aziende sospette di essere “contaminate”, a scapito di quello meramente ablatorio, sembra rispondere adeguatamente anche un mutamento che caratterizza la realtà contemporanea dei rapporti tra imprese e organizzazioni criminali: istituti quali il sequestro e la confisca, ad oggi, potrebbero rivelarsi sempre meno
adeguati, perché opportuni solo rispetto ad una realtà già “irreversibilmente e strutturalmente illecita e/o mafiosa perché sostenuta solo con denaro di illecita provenienza o in un contesto criminale”1.

2. Le misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca. 2.1. Il Capo V del Codice Antimafia: l’amministrazione giudiziaria e il controllo giudiziario (artt. 34 e 34-bis).

Il sistema normativo italiano conosce, ad oggi2 , misure di prevenzione di carattere giurisdizionale riguardanti attività economiche, sia istituti applicati dall’Autorità Amministrativa (il Prefetto). Entrambe le categorie sono previste e disciplinate nel Codice Antimafia, cioè nel Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (di seguito, CAM)3. Il Libro I, dedicato a «Le misure di prevenzione» contiene al suo interno il Titolo I4 dedicato a «Le misure di prevenzione personali»5 , e il Titolo II dedicato a «Le misure di prevenzione patrimoniali».

Per quanto di interesse ai nostri fini, il Titolo II del Libro I del CAM è dedicato a «Le misure di prevenzione patrimoniali», e prevede, all’interno del Capo I intitolato «Il procedimento applicativo», l’istituto del sequestro (art. 20), della confisca di prevenzione (art. 24)6 . Un ulteriore intero Capo, cioè il V, è invece dedicato a «Le misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca».

All’interno di quest’ultimo sono previsti degli istituti che rappresentano sostanzialmente un unicum sul piano comparatistico, quali l’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende (art. 34) e il controllo giudiziario delle aziende (art. 34-bis), sia nella forma d’ufficio (comma I), che nella forma “volontaria” (comma VI). L’istituto dell’amministrazione giudiziaria7 di cui all’art. 34 CAM è applicabile in caso di agevolazione strutturale8 . Si tratta di uno strumento abbastanza invasivo in quanto comporta una sorta di “espropriazione” dell’azienda, che verrà momentaneamente affidata ad un amministratore  giudiziario9 . Questo strumento può essere utilizzato anche ed indipendentemente dall’essere l’impresa sottoposta ad intimidazione o assoggettamento. Nello specifico, anche nei casi in cui l’azienda faciliti le attività di persone rispetto alle quali siano state proposte o applicate le misure di prevenzione indicate dalla disposizione, o di persone sottoposte a procedimenti penali per reati gravi elencati nell’art. 34 stesso10. L’imprenditore (cioè, colui che svolge l’attività di facilitazione) deve essere un “terzo” rispetto alla persona agevolata, e i suoi beni devono essere effettivamente nella sua disponibilità. Se l’imprenditore fosse, invece, un mero “prestanome” per la parte agevolata, infatti, i beni (solo apparentemente suoi) potrebbero essere immediatamente ablati con gli strumenti del sequestro e della successiva confisca di prevenzione, i quali possono interessare tutti i beni di cui il soggetto (proposto o sotto processo) può disporre direttamente o indirettamente (attraverso intestazioni fittizie).
Nel caso in cui l’agevolazione sia solo occasionale, il giudice può applicare anche d’ufficio11 il controllo giudiziario12, misura meno invasiva che permette semplicemente di monitorare l’azienda, senza che sia prevista alcuna «ingerenza diretta nella gestione aziendale»13. Esistono in particolare due varianti, che si distinguono a seconda della severità degli oneri imposti all’impresa che ne risulta colpita. La forma più blanda è prevista dal comma II lettera a) e impone una serie di obblighi informativi14. La seconda forma più invasiva è prevista dalla lettera b)  del medesimo comma II, e prevede che il Tribunale possa «nominare un giudice delegato e un amministratore giudiziario, il quale riferisce periodicamente, almeno bimestralmente, gli esiti dell’attività di controllo al giudice delegato e al pubblico ministero». L’amministratore giudiziario è impropriamente definito tale, considerato che in base a tale istituto non si verifica alcuno spossessamento gestorio; si tratta, quindi, piuttosto, di una sorta di tutor giudiziario15. Inoltre, ai sensi del III comma, tramite il provvedimento di cui alla lettera b) del comma II (cioè la forma più invasiva), il Tribunale stabilisce i compiti dell’amministratore giudiziario finalizzati alle attività di controllo, e può imporre una serie di obblighi ulteriori, tra i quali16: «[…] d) di adottare ed efficacemente attuare misure organizzative, anche ai sensi degli articoli 6, 7 e 24-ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni; e) di assumere qualsiasi altra iniziativa finalizzata a prevenire specificamente il rischio di tentativi di infiltrazione o condizionamento mafiosi » 17.
Alla seconda forma più invasiva rimanda il comma VI, dedicato al controllo giudiziario “volontario” o “su istanza di parte”, che permette alle aziende già destinatarie di informazione antimafia interdittiva, e che abbiano già proposto l’impugnazione del relativo provvedimento del Prefetto al Tribunale Amministrativo Regionale, di sospendere i nefasti effetti dell’interdittiva antimafia,consegnandosi spontaneamente al controllo di un giudice delegato e un amministratore giudiziario nominati dal Tribunale18.

2.2. Il ruolo del modello 231 nell’amministrazione e controllo giudiziario.

Le ulteriori situazioni che legittimano l’applicazione dell’amministrazione giudiziaria (oltre i casi di agevolazione strutturale) la rendono uno strumento con ampia portata applicativa, tanto da poterlo ritenere complementare al sistema della responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche disciplinata in Italia nel d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (di seguito, Decreto 231), e non più uno strumento usato esclusivamente nella lotta e contrasto contro la criminalità organizzata di stampo mafioso19. La vicinanza ad interessi criminali (lo si ripeta, mafiosi e non) in termini di facilitazione può costituire presupposto di applicazione dell’istituto, non necessariamente quando l’imprenditore abbia piena consapevolezza del rapporto di agevolazione o lo abbia volontariamente permesso, ma nel caso in cui oggettivamente l’attività, in virtù del condizionamento criminale, finisca per agevolare interessi criminali e quindi in situazioni in cui si riscontri, a prescindere da considerazioni inerenti al  proprietario dell’attività economica, un bisogno di risanamento. D’altronde, l’art. 34 CAM valorizza esclusivamente l’elemento dell’oggettiva agevolazione, null’altro. Ad ogni modo, in diversi casi il condizionamento criminale subito sarà frutto di un difetto organizzativo20, dell’assenza di controlli preventivi che hanno consentito l’infiltrazione criminale; da qui emerge la familiarità con la normativa in materia di responsabilità penale delle imprese, che prevede, tra gli altri presupposti, la cosiddetta “colpa organizzativa”, intesa come deficit di organizzazione21.
Al di là dell’aspetto della colpa intesa come deficit di organizzazione quale possibile elemento comune del sistema del Decreto 231 e delle misure di prevenzione, è interessante il fatto che, nonostante l’art. 34 CAM non faccia esplicito riferimento in tal senso, l’adozione del modello 231 può certamente rientrare negli atti realizzabili da parte dell’amministratore giudiziario. Tra l’altro, a volte è stato il Tribunale stesso a prescrivere all’impresa dei «presidi occorrenti per scongiurare in futuro comportamenti aziendali analoghi a quello censurato»22, e vi sono stati casi23 nei quali la misura dell’amministrazione giudiziaria è stata revocata anticipatamente proprio grazie all’adozione del modello. Nello specifico, il comma III dell’art. 34 CAM prevede che  l’amministratore giudiziario «esercita tutte le facoltà spettanti ai titolari dei diritti sui beni e sulle aziende oggetto della misura». Ciò significa che gli è permesso, tra le altre cose, di dotare l’ente degli strumenti di compliance volti a contrastare un successivo tentativo di sottoposizione alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento, o comunque agevolare l’attività di persone pericolose24 .
Il caso più celebre è stato certamente quello che ha interessato tra il 202025 e 202126 una nota azienda di food delivery, Uber Italy S.r.l.27. In quell’occasione, la misura veniva disposta in quanto l’azienda, con le sue attività economiche, aveva agevolato un soggetto indiziato di aver commesso attività ascrivibili a condotte delittuose di cui all’art. 603-bis c.p., cioè intermediazione
illecita e sfruttamento del lavoro28. Ciò permette di riflettere sul ruolo – ai fini della revoca anticipata della misura – dell’adozione ed efficace attuazione di un Modello 231 nell’ambito del programma di risanamento aziendale prescritto dal Tribunale. Si legge nel provvedimento di revoca che società si è attività nell’adozione e attuazione del modello, ma anche nella mappatura dei rapporti infragruppo, soprattutto con Uber Eats s.r.l. Ai fini della revoca anticipata, il Tribunale ha valorizzato che l’amministratore giudiziario avesse svolto un’attenta mappatura delle attività sensibili, individuandone ben 20, e proceduto ad una puntuale adozione dei relativi protocolli di prevenzione. Tra questi, anche quello inerente al rapporto con i corrieri, nel quale è stato previsto l’obbligo di copertura assicurativa, nonché il divieto di rapporti con soggetti terzi intermediari per l’identificazione e/o il reclutamento dei Corrieri e/o la gestione dei rapporti con gli stessi, cioè le società intermediarie (cd. Fleet Partner).

La scelta del Tribunale di Milano si è dimostrata essere adeguata e proporzionata29 nel bilanciamento degli interessi in gioco, tra i quali anche il mantenimento del livello occupazionale. Nella fase iniziale si è evitato di fare ricorso a misure più invasive, facendo ricorso ad una misura finalizzata, non ad uno spossessamento, ma ad un affiancamento finalizzato alla bonifica. L’azienda sembra essere riuscita, quindi, a sfruttare a proprio vantaggio l’intervento del Tribunale, rendendolo una opportunità30 .
Contrariamente, in riferimento alla ipotesi di agevolazione solo occasionale, lo stesso Legislatore del 201731 ha operato espressamente un raccordo con il sistema della responsabilità penale degli enti e i cd. modelli organizzativi 231. Il Legislatore ha, infatti, opportunamente ritenuto che le competenze sviluppate nell’ambito compliance dovrebbero essere valorizzate anche in caso di applicazione di misure di prevenzione patrimoniali applicate dal giudice (e, come si vedrà più avanti, anche nel caso di provvedimenti adottati dal Prefetto). Nel caso del controllo giudiziario è possibile imporre all’azienda di attivarsi nell’adozione ed implementazione del modello 231, che diviene quindi uno strumento di contrasto all’infiltrazione in corso e al contempo di prevenzione, mediante la virtuosa organizzazione, di nuovi condizionamenti criminali32. Si è rilevato, poi, che nell’ambito del controllo giudiziario, si dovrebbero svolgere le stesse valutazioni di idoneità ed efficacie attuazione che si svolgono nell’ambito della disciplina del Decreto 231 rispetto ad un modello adottato ex post al fine di ottenere un miglior trattamento sanzionatorio33. In entrambi i casi, il Modello 231 dovrà sì tenere in debito conto la rilevata situazione di agevolazione34, ma dovrà comunque essere predisposto anche in chiave prospettica35, al fine di dotare l’ente delle procedure operative e delle regole di prevenzioni funzionali a prevenire altre infiltrazioni e illeciti penali, nell’ottica generale propria del compliance program.
In conclusione, in entrambi gli istituti vi è un collegamento con il sistema dei modelli organizzativi del Decreto 231. Nel caso dell’amministrazione giudiziaria, si potrebbe ritenere che il rinvio sia implicito, da un lato, grazie alla clausola che permette al Tribunale, in caso di revoca del provvedimento, di applicare contestualmente il controllo giudiziario (come se quest’ultimo fosse un modo per proseguire l’opera avviata con il primo)36; e, dall’altro, in virtù della natura e della ratio terapeutica dell’istituto, per cui il compliance program diviene un utile strumento di risanamento cui l’amministratore giudiziario ricorre. 

3. Il sistema delle documentazioni antimafia. 3.1. Le comunicazioni e le informazioni antimafia.

Come anticipato, il nostro sistema conosce anche forme di prevenzione ad iniziativa del Prefetto da applicare nel caso di tentativi di infiltrazione mafiosa. Si tratta di situazioni in parte simili a quelle che permettono al giudice di applicare le misure di prevenzioni patrimoniali giurisdizionali diverse dalla confisca, pur essendo qui il quadro probatorio necessario forse ancor più sfumato sotto molti profili.

Alla componente “amministrativa” della legislazione in materia di prevenzione antimafia37 è dedicato il Libro II del CAM, intitolato «Nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia». Più nello specifico, il Capo II è dedicato genericamente alla «Documentazione antimafia»; mentre il Capo III e il Capo IV sono dedicati, rispettivamente, alle «Comunicazioni antimafia» e alle «Informazioni antimafia». Le comunicazioni sono dirette ad attestare la sussistenza, o meno, di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 CAM, dovute all’applicazione (con provvedimento definitivo) di una delle misure di prevenzione personali applicate dall’Autorità Giudiziaria. Le comunicazioni hanno contenuto vincolato perché il Prefetto deve solo verificare, consultando la banca dati nazionale unica (disciplinata dall’art. 96 CAM), se sussista, o meno, a carico del soggetto sottoposto a verifica, una delle suddette cause di decadenza, sospensione o divieto.

Le informazioni antimafia presentano, invece, un contenuto discrezionale (alcune più, ed altre meno)38 in quanto dirette ad attestare la sussistenza (se interdittive), o meno (se liberatorie), di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa39 tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate. Si tratta di una attestazione che giunge all’esito di una valutazione autonoma e caratterizzata da un ampio potere di apprezzamento discrezionale rimesso al Prefetto, e senza, quindi, alcun automatismo rispetto all’ eventuale provvedimento giudiziario sugli stessi fatti. Qualora però, a seguito delle verifiche effettuate ai fini del rilascio della comunicazione, venga accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, il Prefetto adotta invece un’informazione interdittiva, ma senza emettere la comunicazione richiesta. L’informazione interdittiva, quindi, “sostituisce” la comunicazione richiesta40. L’interdittiva antimafia41 è, dunque, quel provvedimento che impedisce all’azienda di avere  qualsiasi rapporto con la Pubblica Amministrazione42; quindi, è una misura molto temuta perché può causare la chiusura dell’azienda specie per quelle che lavorano pressoché esclusivamente nel settore degli appalti/finanziamenti pubblici dal quale vengono estromesse43; si è quindi spesso parlato non a caso di “ergastolo imprenditoriale”44. Come anticipato, nel caso in cui l’impresa sia stata colpita dall’interdittiva, grazie alla disposizione di cui al comma VI dell’art.34-bis CAM, è l’azienda stessa che può chiedere che le sia applicato il controllo giudiziario (appunto, “volontario” o “ad istanza di parte”) al fine di sospendere glieffetti dell’interdittiva, impegnandosi a predisporre una serie di interventi, tra i quali l’adozione del modello 231. 45 

Inoltre, recentemente46 è stato introdotto il principio del contraddittorio nelle attività finalizzate al rilascio delle informazioni antimafia, sempre che non sussistano particolari esigenze di celerità né ragioni di salvaguardia di procedimenti amministrativi o di attività processuali in corso o, ancora, di altri accertamenti diretti alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose. Nello specifico, il Prefetto se, in base agli esiti delle verifiche disposte, ritenga sussistenti i presupposti per l’adozione dell’interdittiva (e non ricorrano le particolari esigenze e/o ragioni sopra indicate) deve notificare al soggetto interessato un “preavviso” del provvedimento con indicazione degli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa. È concesso un termine non superiore a 20 giorni entro i quali l’interessato può chiedere l’audizione e produrre memorie. Al termine del contraddittorio il Prefetto deciderà quindi se disporre l’interdittiva o, in alternativa, il nuovo istituto della prevenzione collaborativa, sulla quale quindi subito soffermeremo la nostra attenzione, alla luce delle interconnessioni tra essa e il sistema 231.

3.2 Il modello 231 nella “prevenzione” amministrativa: la nuova misura della prevenzione della collaborativa.

Nel 2021 47 il Legislatore ha predisposto un’alternativa all’informazione interdittiva per l’Autorità Amministrativa di Pubblica Sicurezza: qualora l’agevolazione sia solo occasionale, invero, il Prefetto deve applicare lo strumento della prevenzione collaborativa, istituto previsto dall’art. 94-bis CAM, rubricato proprio «Misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione occasionale». Durante il periodo di applicazione della prevenzione collaborativa «l’impresa conserva la capacità di contrattare, di eseguire i contratti e di incamerare i corrispettivi»48. La durata della sua applicazione deve essere compresa tra 6 e 12 mesi, durante i quali all’azienda possono essere richiesti una serie di adempimenti, quali obblighi di comunicazione e di predisposizione di un conto corrente bancario dedicato, ma anche, e soprattutto, l’adozione e attuazione del Modello 231. Al termine di questo breve periodo, il Prefetto avrà avuto modo di “conoscere” l’azienda e accertarsi che non vi sia (più, o non vi sia mai stata) nessuna agevolazione, neppure occasionale. Infatti, se alla scadenza del termine, il Prefetto accerti il venir meno dell’agevolazione occasionale e l’assenza di altri tentativi di infiltrazione mafiosa, rilascia un’informazione antimafia liberatoria, ed effettua le conseguenti iscrizioni nella banca dati
nazionale unica della documentazione antimafia49. Quindi, l’adozione o l’implementazione del Modello 231 può divenire, quando prescritta dal Prefetto, uno strumento per il rilascio dell’informazione antimafia liberatoria. Questo strumento è stato definito quale istituto cerniera tra le misure di prevenzione giudiziale e amministrative50. Tra l’altro, condivide con il controllo giudiziario ex art 34-bis CAM un fondamentale presupposto applicativo, cioè l’agevolazione occasionale51. La somiglianza tra gli strumenti della prevenzione collaborativa e controllo giudiziario risulta, inoltre, evidente grazie alle disposizioni con cui il Legislatore ha definito i rapporti tra questi due istituti. Infatti, qualora il Tribunale disponga il controllo giudiziario di un’impresa sottoposta già a prevenzione collaborativa, dovrà tener conto del periodo di esecuzione della stessa nella determinazione della durata di quella giudiziaria52. Si riconosce quindi la prevalenza della più garantista misura giurisdizionale su quella amministrativa53 .
Questo nuovo istituto apre la strada ad una ulteriore forma di “cooperazione partecipata” tra impresa e autorità amministrativa. Si consente al Prefetto di entrare in azienda e verificare la presenza o meno dei pericoli di infiltrazione mafiosa, senza però esporla al rischio di una paralisi e salvaguardando i lavoratori54. Il quadro normativo nell’ambito della lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso si è quindi arricchito di una nuova forma di cooperazione tra impresa e Prefetto e la disciplina complessiva attuale sembra avere abbandonato un approccio esclusivamente autoritario a favore di un approccio più partecipativo, l’unico in grado di privilegiare un reale scambio informativo con l’azienda.  

4. I Modelli 231 nella prevenzione antimafia, giurisdizionale e amministrativa.

Svolte queste considerazioni sul quadro normativo di riferimento, delineate le caratteristiche e presupposti, da un lato, dell’amministrazione e controllo giudiziario e, dall’altro, dell’interdittive antimafia e della prevenzione collaborativa, e individuati i punti di contatto di entrambe le categorie di istituti con il sistema del Decreto 231, occorre soffermarsi ulteriormente sulla funzione dei Modelli 231 nell’ambito dei due diversi “rami” della prevenzione, giurisdizionale e amministrativa. Una premessa metodologica sembra d’obbligo: le due dimensioni della prevenzione giurisdizionale e amministrativa si contraddistinguono per un medesimo approccio di fondo per cui si tenta di graduare l’invasività della misura facendo riferimento al livello dell’infiltrazione criminale: tanto più stringente il legame con i soggetti portatori di pericolosità, tanto più rigorosa la misura applicata. L’amministrazione giudiziaria ex art 34 CAM si applica quando si ritiene che l’azienda sia in uno stato di soggezione rispetto a individui pericolosi55 (ma “non ricorrono i presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali di cui al capo I” cioè, sequestro e confisca); mentre il controllo giudiziario ex art. 34-bis si applica quando «l’agevolazione prevista dal comma 1 dell’articolo 34 risulta occasionale». Tra l’altro, a conferma di questa “gerarchia”, il Legislatore ha previsto che, se durante il controllo giudiziario, «[…] venga accertata la violazione di una o più prescrizioni […], il tribunale può disporre l’amministrazione giudiziaria dell’impresa» (art. 34-bis, comma IV). Parallelamente, il Prefetto può emanare l’interdittiva antimafia in caso di «eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi»; mentre la prevenzione collaborativa di cui all’art 94-bis CAM è applicata quando il Prefetto accerta che i tentativi di infiltrazione mafiosa sono riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale. Risulta facile notare come nelle norme che disciplinano i due istituti più rigorosi, quali l’amministrazione giudiziaria e l’interdittiva antimafia, non via sia un espresso riferimento ai modelli 231.
Come anticipato, nel caso dell’amministrazione giudiziaria si potrebbe tuttavia ritenere che il rinvio sia implicito, da un lato, grazie alla clausola che permette al Tribunale, in caso di revoca del provvedimento, di applicare contestualmente il controllo giudiziario (come se quest’ultimo fosse un modo per proseguire l’opera avviata con il primo); e, dall’altro, in virtù della natura della ratio terapeutica dell’istituto, per cui il compliance program diviene un utile strumento di risanamento cui l’amministratore giudiziario ricorre. Analogamente, nelle norme che disciplinano l’istituto dell’interdittiva antimafia (art 84 e 91 CAM) non vi è alcun riferimento ai modelli 231. Tuttavia, ai sensi dell’art. 91, comma V, CAM «Il prefetto, anche sulla documentata richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa», e, certamente, l’adozione ed efficacie
attuazione di un modello 231 dovrebbe/potrebbe rappresentare un elemento che indichi al Prefetto la necessità di procedere a valutare nuovamente la necessità di mantenere in vita la misura.

Il Legislatore del 2017, e successivamente del 2021, ha ritenuto invece di inserire un riferimento espresso ai Modelli 231 nell’ambito del controllo giudiziario ex art 34-bis e nella prevenzione collaborativa ex art. 94-bis. La novella del 2021, nell’introdurre nel CAM la prevenzione collaborativa, mutua l’espressione già utilizzata nell’ambito della norma sul controllo giudiziario, che prescrive di «[…] adottare ed efficacemente attuare misure organizzative, anche ai sensi degli articoli 6, 7 e 24-ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, atte a rimuovere e prevenire le cause di agevolazione occasionale». Di conseguenza medesima dovrebbe essere la ratio dei due istituti, in quanto è prescritto all’ente lo stesso adempimento, ma in momenti differenti: nel caso della prevenzione collaborativa, in alternativa all’interdittiva; nel controllo giudiziario, si tratta di uno dei contenuti prescrittivi della misura di prevenzione stessa disposta d’ufficio e di una misura che finisce anche qui per sostituirsi all’interdittiva nel caso di ammissione al controllo volontario richiesto dall’attività economica (che sospende gli effetti dell’informazione prefettizia precedentemente emessa). Ci si deve poi interrogare se la durata, la tempistica dei due istituti renda sempre possibile non solo l’adozione, ma anche l’efficace attuazione dei modelli. Infatti, quest’ultima impone che venga svolta un’attività di diffusione dello stesso e formazione dei dipendenti, nonché un’attività di monitoraggio periodico, ed eventuale aggiornamento, che richiede del tempo, naturalmente.
Nel caso del controllo giudiziario, il Tribunale può disporre che la misura abbia una durata fino ad un massimo di tre anni. Ciò permetterebbe quindi all’amministratore giudiziario e al giudice delegato di avere il tempo necessario per monitorare l’effettiva attuazione. Difficile potrebbe essere invece la verifica dell’efficace attuazione del modello nel caso della prevenzione collaborativa, perché questa può avere una durata massima non superiore a un anno56. 

5. I modelli 231: il trait d’union tra prevenzione e sistema dellaresponsabilità degli enti.

Il focus del lavoro è stato incentrato su imprese oggetto di infiltrazioni criminali, e non perché al loro interno siano stati già commessi reati, o perché imprese mafiose. In queste ultime due ipotesi si applicherebbe ove possibile, rispettivamente, la disciplina del Decreto 23157, così come, nel caso di impresa mafiosa, questa è destinata ad essere assoggetta a sequestro58 prima, e confisca poi59. Nei casi di imprese sottoposte ad intimidazione ed assoggettamento, o comunque in grado di agevolare l’attività di soggetti portatori di pericolosità, anche nelle ipotesi in cui questa situazione sia meramente occasionale, sarebbe irragionevole espellere direttamente e immediatamente dal sistema l’azienda “sospettata”; le si deve piuttosto preventivamente offrire una via d’uscita: o una possibilità di recupero, o un periodo di “osservazione” per dimostrare all’Autorità Amministrativa e/o Giudiziaria di non essere condizionata dall’associazione mafiosa. È un’esigenza importante, soprattutto quando si tratta di un’azienda che opera in contesti di criminalità diffusa; è un’esigenza parimenti importante nei casi in cui l’azienda sia vittima del condizionamento mafioso/criminale. È altrettanto importante anche nei casi in cui non sia stata esattamente individuata la portata della vicinanza all’associazione mafiosa, o comunque non ci sia lo stesso impianto probatorio che avrebbe permesso una condanna in sede penale. Per fare fronte a tutte queste situazioni, il Legislatore italiano ha predisposto gli istituti precedentemente illustrati, con l’obiettivo di attuare una “bonifica” dell’attività economica dal condizionamento mafioso, se, e in quanto, possibile; e non con l’obiettivo di espellerla dal mercato.
In conclusione, il modello 231 diviene uno strumento duttile, capace di operare in plurimi settori e con diverse finalità, ma sempre emergendo per il ruolo che gli viene assegnato in punto di prevenzione dell’illegalità nei contesti di impresa.
Nel sistema della responsabilità da reato degli enti60, se l’azienda ha preventivamente adottato ed efficacemente attuato un modello idoneo a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi, andrà comunque esente da responsabilità, perché nulla le è rimproverabile,61. Quindi il modello 231, se adottato ed efficacemente attuato, esonera da responsabilità. Ovviamente,
predisporre un Modello 231 è un adempimento che richiede la massima diligenza, e che quindi impone all’azienda impiego di tempo e di significative risorse economiche ed organizzative62. Nonostante ciò, negli anni passati poche volte il modello 231 (63) è stato ritenuto idoneo64, e quindi quasi mai ha permesso l’esonero da responsabilità da reato, nel processo penale65; nei pochi casi in cui l’azione è esercitata, l’ente è stato spesso condannato66. Il Legislatore non ha definito in maniera specifica le caratteristiche che il modello deve possedere67, e ciò ha reso difficile per l’ente l’attività di predisposizione dello stesso68. Tuttavia, la giurisprudenza più recente69 sembra avere iniziato a riconoscere l’idoneità dei modelli in alcuni procedimenti, ponendo le basi per la validazione70, sottolineando come la verifica di idoneità del modello debba essere compiuta ex ante, in linea con il paradigma di accertamento della colpa penale. In ogni caso, la compliance aziendale, che in passato non sempre ha soddisfatto il giudice penale, potrebbe soddisfare il giudice della prevenzione e le Prefetture. D’altronde, nel caso di
applicazione della misura di prevenzione patrimoniale (diversa dalla confisca), l’azienda è “accompagnata” nel percorso di adozione e implementazione del modello.
Il Legislatore, con le modifiche apportate al Codice Antimafia nel 2017 (71 )e 2021, ha esplicitamente riconosciuto la grande importanza dei modelli 231, che consentono di prevenire prassi illecite e fare fronte, nei contesti delle misure terapeutiche che abbiamo analizzato, a tutte quelle situazioni che non meritano una condanna penale, che non meritano un provvedimento di interdizione, e che non meritano neppure una confisca di prevenzione, ma che tuttavia meritano certamente attenzione da parte dello Stato per evitare, per così dire, che si trasformino in qualcosa di più grave. Il Legislatore, preso atto delle tensioni che certamente si generano tra le misure più invasive del CAM (in particolare interdittive e confisca di prevenzione) e i diritti fondamentali, ha tentato di individuare un modo per attenuarne gli effetti percorrendo la via delle indicate misure improntate a logiche di risanamento e cooperative. Sembrerebbe essere un paradosso che questo approccio partecipativo e di valorizzazione dei modelli 231 sia stato adottato con il Decreto-Legge n. 152/2021 intitolato «Disposizioni urgenti per l’attuazione del PNRR e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose» (art. 49). Ma nelle intenzioni del Legislatore72 non si tratta assolutamente di un modo per allentare la presa nella lotta al contrasto alla criminalità organizzata. Si tratta solo dell’introduzione di strumenti volti a riservare l’”ergastolo imprenditoriale” solo a quelle realtà rispetto alle quali non sia realizzabile un’opera di ripristino della legalità.   

1 F. MENDITTO, La nuova frontiera della bonifica delle aziende coinvolte in contesti illeciti: l’amministrazione giudiziaria (art. 34 d.lgs. n. 159/2011), in Questione Giustizia, 24 giugno 2020.
2 Per un’accurata indagine storica delle misure di prevenzione, cfr. E. STANIG, L’evoluzione storica delle misure di prevenzione, in F. FIORENTIN (a cura di), Misure di prevenzione personali e patrimoniali, Giappichelli, Torino, 2018, p. 3 ss.
3 Tuttavia, a dispetto del nome, il CAM non è dedicato -esclusivamente- agli istituti di contrasto e lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso, ma in generale prevede e disciplina la maggior parte degli istituti rientranti nella categoria delle misure di prevenzione, sia di carattere personale che patrimoniale. Per un approfondimento delle misure di prevenzione che hanno unna collocazione extra codicistica cfr. F. MENDITTO, Le misure di prevenzione personali e patrimoniali. La confisca allargata (art. 240-bis c.p.) – Volume I. aspetti sostanziali e processuali, Capitolo IX, Le misure di prevenzione previste dalle leggi speciali, Giuffrè, Milano, 2019, p. 436-485.

4 I Capi I e II del Titolo I sono dedicati, rispettivamente, a «Le misure personali applicate dal Questore» (quindi l’Autorità Amministrativa) e a «Le misure personali applicate dall’Autorità Giudiziaria», cioè il Tribunale.
5 In questo contributo non verrà approfondito il tema delle misure di prevenzione personali. Per un’analisi completa di questi istituti v. F. CONSULICH, Le misure di prevenzione personali tra Costituzione e Convenzione, in E. MEZZETTI E L. L. DONATI (a cura di), La legislazione
antimafia, Zanichelli, Bologna, 2020.
6 Si richiede l’accertamento di requisiti di carattere soggettivo, quali la pericolosità sociale, anche eventualmente riferita al passato (art. 6 e art. 18 CAM), e oggettivo quali la titolarità o disponibilità dei beni, il carattere sproporzionato del valore dei beni rispetto al reddito o all’attività economica o l’origine illecita dei beni, la mancata giustificazione dell’origine lecita da parte del prevenuto, la correlazione temporale tra l’acquisto dei beni e la pericolosità sociale. Per un approfondimento della tematica v. il recente contributo di A. M. MAUGERI, La nozione di profitto confiscabile e la natura della confisca: due inestricabili e sempre irrisolte questioni, in Legislazione penale, 17/01/2023, p. 84 e ss.
7 Si tratta di un istituto già presente nel nostro ordinamento prima del 2011, cfr. art. 3-quater Legge n. 575/1965 (cd. Legge Antimafia).
8 Si applica quando «[…] sussistono sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di determinate attività economiche, comprese quelle di carattere imprenditoriale, sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall’articolo 416-bis del Codice penale.»

9 Cfr. 34, comma III, CAM.
10 In particolare, i reati di cui all’art. 4, lettere b) e i-bis, CAM; 603-bis, 629, 644, 648-bis e 648-ter del Codice penale.
11 La locuzione “anche d’ufficio”, in virtù del richiamo del primo comma dell’art. 34-bis all’art. 34 CAM, sembrerebbe far credere che la misura possa disporsi anche su richiesta dei titolari della proposta di prevenzione indicati all’art. 17 CAM.
12 T. ALESCI, I presupposti ed i limiti del nuovo controllo giudiziario nel codice antimafia, in Giurisprudenza Italiana, 2018, 7, p. 1521.
13 G. TONA – C. VISCONTI, Nuove pericolosità e nuove misure di prevenzione: percorsi contorti e prospettive aperte nella riforma del codice antimafia, in Legislazione penale, 14 febbraio 2018, par. 5.2, pp. 33 e ss.
14 Quali: « […] l’obbligo di comunicare al questore e al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora abituale, ovvero del luogo in cui si trovano i beni se si tratta di residenti all’estero, ovvero della sede legale se si tratta di un’impresa, gli atti di disposizione, di acquisto o di pagamento effettuati, gli atti di pagamento ricevuti, gli incarichi professionali, di amministrazione o di gestione fiduciaria ricevuti e gli altri atti o contratti indicati dal tribunale, di valore non inferiore a euro 7.000 o del valore superiore stabilito dal tribunale in relazione al reddito della persona o al patrimonio e al volume d’affari dell’impresa Tali obbligo deve essere assolto entro dieci giorni dal compimento dell’atto e comunque entro il 31 gennaio di ogni anno per gli atti posti in essere
nell’anno precedente».
15 Cfr. A. M. MAUGERI, Prevenire il condizionamento criminale dell’economia: dal modello ablatorio al controllo terapeutico delle aziende, in Rivista Trimestrale di Diritto Penale Contemporaneo, 1/2022, p. 134; D. ALBANESE, Alle sezioni unite una questione in tema di “controllo giudiziario delle aziende” ex art. 34-bis d.lgs. 159/2011: appello, ricorso per cassazione o nessun mezzo di impugnazione? (nota a Cass., Sez. VI, ord. 15 maggio 2019 (dep. 3 giugno 2019), n. 24661, Pres. Fidelbo, Rel. Costanzo), in Sistema penale, par. 2, 13 giugno 2019; C. VISCONTI, Approvate in prima lettura dalla Camera importanti modifiche al procedimento di prevenzione patrimoniale, in Sistema penale, 23 novembre 2015.
16 Gli altri obblighi che possono essere imposti sono: a) di non cambiare la sede, la denominazione e la ragione sociale, l’oggetto sociale e la composizione degli organi di amministrazione, direzione e vigilanza e di non compiere fusioni o altre trasformazioni, senza l’autorizzazione da parte del giudice delegato; b) di adempiere ai doveri informativi; c) di informare preventivamente l’amministratore giudiziario circa eventuali forme di finanziamento della società da parte dei soci o di terzi.
17 Sugli obblighi di cui ai punti d) ed e) si concentrerà la nostra attenzione nel presente lavoro.

18 Il Comma VI dell’art. 34-bis CAM prevede che il Tribunale di prevenzione accolga l’istanza «ove ne ricorrano i presupposti», ma, da un lato, senza delineare i limiti al potere di cognizione del Tribunale, e, dall’altro, senza dare indicazioni su quali siano gli aspetti da valutare per ammettere, o meno, l’ente al controllo giudiziario volontario. Le Sezioni Unite del 2019 (n. 46898) avevano ritenuto che il Tribunale ordinario dovesse verificare sì la presenza del requisito dell’agevolazione soltanto occasionale, ma valorizzando l’ulteriore verifica inerente alla ‘‘prognosi di bonificabilità’’ dell’imprese. Ciò ha permesso alla giurisprudenza successiva di valorizzare questo secondo aspetto, non curandosi, invece dell’indagine retrospettiva (cfr. Sez. VI, n. 30168/2021; Sez. II, n. 9122/2021; Sez. VI, n. 27704/2021; e da ultimo, Sez. II, n. 1132/2023). Recentemente, invece,
la Cassazione (Sez. I, 11 aprile 2023 (ud. 23 novembre 2022), n. 15156) ha ritenuto che il Tribunale di prevenzione disponga in realtà di pieni poteri di cognizione, tanto da poter giungere, persino, a conclusioni radicalmente diverse da quelle fatte proprie dall’autorità prefettizia. Ampi riferimenti al riguardo in E. BIRRITTERI, Accertamento dell’infiltrazione criminale dell’ente e controllo giudiziario volontario, in Giurisprudenza italiana, n. 7, 2023, p. 1647. La tesi secondo cui la verifica dell’occasionalità dovesse essere intesa quale giudizio prognostico circa l’emendabilità, è stata sostenuta in dottrina, da C. VISCONTI, Il controllo giudiziario “volontario”: una moderna “messa alla prova” aziendale per una tutela recuperatoria contro le infiltrazioni mafiose, in Diritto penale contemporaneo, 23 settembre 2019.
19 Cfr. M. VULCANO, La nuova frontiera della compliance 231: da strumento preventivo della responsabilità da reato a strumento correttivo nelle misure di prevenzione antimafia, in Rivista231, n. 3/2023.

20 Sul tema recentemente, cfr. Tribunale di Milano, sezione autonoma misure di prevenzione, decreto 15 gennaio 2024, Presidente dott. Fabio Roia, Relatore dott.ssa Giulia Cucciniello, disponibile al link https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2024/01/tribmilano-prevenzione.pdf .
21 C. SANTORIELLO, Responsabilità da reato degli enti: problemi e prassi, Giuffrè, Milano, 2023, p. 4. Per una ricostruzione del dibattito v. E. BIRRITTERI, I nuovi strumenti di bonifica aziendale nel codice antimafia: amministrazione e controllo giudiziario delle aziende, in Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell’Economia, n. 3-4, 2019, p. 837. Per considerazioni critiche, in una fase storica precedente a quella delle ultime riforme, v. A. MANGIONE, La contiguità alla mafia fra “prevenzione” e “repressione”, tecniche normative e categorie dogmatiche, in Rivista italiana di
diritto e procedura penale, 1996, p. 710 ss.
22 Cfr. Trib. Milano, decr. 24 giugno 2016, con nota di C. VISCONTI, Ancora una decisione innovativa del Tribunale di Milano sulla prevenzione antimafia nelle attività imprenditoriali, in Penale contemporaneo, 11 luglio 2016.
23 Sul caso della multinazionale TNT (Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Milano – decreto di revoca del 23 settembre 2011) ampiamente C. VISCONTI, Contro le mafie non solo confisca ma anche “bonifiche” giudiziarie per imprese infiltrate: l’esempio milanese (working paper), in Diritto penale contemporaneo, 20 gennaio 2012; nonché P. PIGNATONE, mafia e corruzione: tra confische, commissariamenti e interdittive, in Diritto penale contemporaneo, 4/2015, p. 262, nota n. 6; F. BRIZZI – F. MASTRO, Possibili protocolli prevenzionali dei reati associativi a seguito di un evento sentinella, in Rivista231, giugno 2021.

24 Cioè, i soggetti nei confronti dei quali è stata proposta o applicata una misura preventiva e/o contro i quali è pendente un procedimento penale per un reato grave individuato dallo stesso art 34 CAM.
25 Disponibile al link: https://www.hub231.it/wp-content/uploads/2021/05/tribunale-mi-uber-34- anonim_compressed.pdf
26 Disponibile al link: https://www.hub231.it/wp-content/uploads/2021/05/UBER-34-REVOCAMISURA-omiss.pdf
27 Sul caso Uber, A. MERLO, Sfruttamento dei riders: amministrazione giudiziaria ad Uber per contrastare il “caporalato digitale”, in Sistema penale, 2 giugno 2020; A. GALLUCCIO, Misure di prevenzione e “caporalato digitale”: una prima lettura del caso Uber Eats, in Giornale di diritto del lavoro e relazioni industriali, 2/2021, pp. 105 ss.; M. VULCANO, La Compliance 231 nelle società sottoposte a misure di prevenzione patrimoniali: il Caso Uber, in Rivista231, 2, 2022, p. 47 ss; F. VITARELLI, Lo sfruttamento del lavoro dei “riders” tra prevenzione e repressione, Le società 1/2023 p. 83.
28 La l. 161/2017, di riforma del Codice antimafia, ha inserito il delitto di cui all’art. 603 bis c.p., nell’elenco dei reati sui quali si può fondare l’applicazione dell’amministrazione giudiziaria ex art. 34 CAM.

29 Interessante notare che in quel caso, nonostante la misura fosse quella dell’amministrazione giudiziaria, di fatto non si è realizzato un effettivo spossessamento, ma affiancamento, come accadrebbe nel caso del controllo giudiziario ex art. 34-bis. Nel caso Uber il controllo giudiziario ex art. 34-bis non avrebbe potuto essere applicato, sia perché mancava il requisito della “occasionalità”, ma soprattutto perché il 603-bis c.p. non rientra (ad oggi) nell’ambito applicativo del controllo giudiziario. Cfr. sul punto A.M. MAUGERI, Prevenire il condizionamento criminale dell’economia: dal modello ablatorio al controllo terapeutico delle aziende, cit., p. 131.
30 Cfr. M. VULCANO, la prevenzione mite: amministrazione giudiziaria e controllo giudiziario ex artt. 34 e 34 bis del codice antimafia, in Rivista di studi e ricerche sulla Criminalità organizzata, n. 3/2021, pp. 31.
31 L’art. 34–bis CAM è stato inserito nel novero delle misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca ad opera dell’art. 11 della L. 161/2017, intitolata «Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al Codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate».

32 Trib. Milano, sez. misure di prevenzione, 15 aprile 2011, Tecnis, n. 48, inedito; cfr. F. BALATO, La nuova fisionomia delle misure di prevenzione patrimoniali: il controllo giudiziario delle aziende e delle attività economiche di cui all’art. 34-bis codice antimafia, in Diritto penale contemporaneo,
3/2019, p. 70. In giurisprudenza cfr. Tribunale Santa Maria Capua Vetere, 14 febbraio 2018, con nota di T. ALESCI, I presupposti ed i limiti del nuovo controllo giudiziario nel codice antimafia, in Giurisprudenza italiana, 6/2018, pp. 1518 – 1525.
33 Le condizioni di cui all’art.12 consentono la riduzione delle sanzioni pecuniarie. Ai sensi dell’articolo 45 è consentita la non applicazione di misure cautelari (interdittive), e ai sensi degli artt. 49 e 50 è consentita, rispettivamente, la loro sospensione e la revoca. L’articolo 17 consente la non applicazione di sanzioni interdittive. Quest’ultima disposizione va letta in combinato disposto con l’art. 65 e 78 che individuano, rispettivamente, il termine per provvedere alla riparazione, e la possibilità di conversione delle sanzioni interdittive in pecuniarie. Per un approfondimento sulle sanzioni nel sistema del Decreto 231, v. V. MONGILLO, M. BELLACOSA, Il sistema sanzionatorio (Capitolo V), in Responsabilità da reato degli enti, Volume I, G. LATTANZI – P. SEVERINO (a cura di), Giappichelli, Torino, 2020.
34 S. PERINI, La valutazione giudiziale del Modello organizzativo ex d.lgs. 231/2001, in Lavoro nella giurisprudenza, 2016, p. 879.

35 Cfr. G. LOSAPPIO, Mogc 231 e controllo giudiziario ex d.lgs. 159/2011, in Rivista231, n.2/2023, p. 44-5.
36 Sui rapporti tra amministrazione e controllo giudiziario cfr. L. PERONACI, Dalla confisca al controllo giudiziario delle aziende: il nuovo volto delle politiche antimafia. I primi provvedimenti applicativi dell’art. 34-bis D.lgs. 159/2011, in Giurisprudenza penale web, 8, 2018, p. 9.

37 Sarebbe scorretto riferirsi al Libro II del CAM quale libro contenente le misure di prevenzione amministrative, perché questa sono invero contenute anche esse nel libro I, Titolo I, Capo I, dedicato a «Le misure di prevenzione personali applicate dal Questore» di cui agli artt. 1-3 CAM.
38 Cfr. G. AMARELLI, Le interdittive antimafia “generiche” tra interpretazione tassativizzante e dubbi di incostituzionalità, in G. AMARELLI – S. STICCHI DAMIANI (a cura di), Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici, Giappichelli, Torino, 2019, p. 207 e ss. Infatti, le ipotesi più problematiche sono quelle di cui alla lettera d) ed e) del comma IV dell’art. 84, ai sensi del quale «Le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva di cui al comma 3 sono desunte: […] d) dagli accertamenti disposti dal prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell’interno ai sensi del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, ovvero di quelli di cui all’articolo 93 del presente decreto; e) dagli accertamenti da effettuarsi in altra provincia a cura dei prefetti competenti su richiesta del prefetto procedente ai sensi della lettera d) […]».
39 La sentenza del Consiglio di Stato, II sezione, 3 maggio 2016, n. 1743, è nota per l’elencazione di una serie di princìpi ai quali deve riferirsi il Prefetto nel valutare gli elementi che possono fungere da “spia” per determinare, in concreto, il tentativo d’infiltrazione mafiosa. Per approfondimenti cfr. S. STICCHI DAMIANI, Le interdittive tra lacune normative e discrezionalità amministrativa: il ruolo del giudice amministrativo nell’individuazione degli elementi indiziari, in G. AMARELLI – S. STICCHI DAMIANI (a cura di), Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici, Giappichelli, Torino, 2019; F. MAZZACUVA, La natura giuridica delle misure interdittive antimafia, nello stesso volume.
40 Cfr. Art. 89-bis CAM, rubricato «Accertamento di tentativi di infiltrazione mafiosa in esito alla richiesta di comunicazione antimafia». È stata sollevata questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 89-bis (e in via conseguenziale dell’art. 92, commi III e IV) CAM, per violazione degli artt. 3 e 41 Cost. perché priverebbe un soggetto del diritto, sancito dall’art. 41 Cost., di esercitare l’iniziativa economica, ponendolo nella stessa situazione di colui che risulti destinatario di una misura di prevenzione personale applicata con provvedimento definitivo. La Corte costituzionale si è pronunciata con sentenza n. 57 del 26 marzo 2020 respingendo la questione.
41 Per un approfondimento cfr. Legislazione Antimafia, E. MEZZETTI – L. L. DONATI (a cura di), Zanichelli, Bologna, 2020; e Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici, G. AMARELLI – S. STICCHI DAMIANI (a cura di), Giappichelli, Torino, 2019.

42 Una importantissima norma di raccordo tra i due volti (giurisdizionale e ammnistrativo) della prevenzione antimafia è l’art. 67 CAM dedicata agli «Effetti delle misure di prevenzione». Si tratta di una disposizione rientrante ancora nel libro I, ma richiamata nell’art. 84 CAM, sia al comma II,
che al comma III, che forniscono, rispettivamente, le definizioni di Comunicazione e Informazione antimafia. Nello specifico, l’art. 67 CAM prevede una serie di decadenze che seguono all’emanazione di una misura di prevenzione personale applicata dall’Autorità Giudiziaria (comma I), e di ulteriori decadenze qualora il provvedimento sia addirittura divenuto definitivo (comma II). Cercando di schematizzare, l’emanazione di misure di prevenzione personali applicate dall’Autorità Giudiziaria comporta l’interdizione rispetto a tutte le iscrizioni e ai provvedimenti autorizzatori, concessori o abilitativi per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati, nonché a tutte le attività soggette a segnalazione certificata di inizio attività (cd. SCIA) e a silenzio assenso, e vieta di concludere contratti di lavori, servizi e forniture con la Pubblica Amministrazione.
43 Tra l’altro, non è consentito al Prefetto di escludere decadenze e i divieti stabiliti dal comma V dell’art. 67 CAM, neppure quando valuti che, in conseguenza degli stessi, verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all’interessato e alla sua famiglia. Sono state ritenute inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 92 CAM censurato per violazione degli artt. 3, comma I, 4 e 24 Cost. Cfr. Corte Costituzionale, 19/07/2022, n.180.
44 Cfr. Cons. St. n. 758/2019. In dottrina v. sul punto, M. MAZZAMUTO, Misure giurisdizionali di salvataggio delle imprese versus misure amministrative di completamento dell’appalto: brevi note sulle modifiche in itinere al codice antimafia, in Diritto penale contemporaneo, 20 aprile 2016, p. 1; R. CANTONE, B. COCCAGNA, Commissariamenti prefettizi e controllo giudiziario delle imprese interdette per mafia: problemi di coordinamento e prospettive evolutive, in Diritto Penale Contemporaneo, 2018, 10, 151 e ss.; G. PIGNATONE, Mafia e corruzione: tra confische, commissariamenti e interdittive, in Diritto Penale Contemporaneo -Rivista Trimestrale, 2015, 4, 259 e ss. In generale sul tema v. anche E. MEZZETTI, L’enticidio: una categoria penalistica da ricostruire ed una conseguenza per l’azienda da evitare, in Diritto Penale Contemporaneo, 23 gennaio 2018; R. BORSARI, Le misure interdittive antimafia. Profili penali, in L. DELLA RAGIONE, A. MARANDOLA, A. ZAMPAGLIONE (a cura di), Misure di prevenzione, interdittive antimafia e procedimento, Milano, 2022, 733 e ss.
45 Sui rapporti tra controllo giudiziario volontario e giudizio di annullamento dell’interdittiva cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 13.02.2023 n. 8, secondo cui non c’è un rapporto di pregiudizialità processuale tra il giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia e il controllo giudiziario ulteriore a quello previsto al momento genetico, cioè di ammissione, al controllo giudiziario volontario.
46 Art. 48 del decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152, intitolato «Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose», convertito con modificazioni dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, che interviene sull’art. 92 del CAM, che oggi disciplina il «Procedimento di rilascio delle informazioni antimafia». Per un approfondimento sul d.l. n. 152, si rinvia a Parte III – Voci dall’Aula, Strumenti normativi e strategie operative a tutela delle risorse relative al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (P.N.R.R.). Opportunità e innovazioni per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici, in rivista trimestrale della scuola di perfezionamento per le forze di polizia periodico trimestrale di dottrina, legislazione e giurisprudenza, Anno 2022, n. 2, disponibile al link: https://scuolainterforze.interno.gov.it/wp-content/uploads/2023/01/Rivista-2-2022.pdf
47 Art. 49 del d.l. n. 152/2021 cit., rubricato «Prevenzione collaborativa».

48 Cfr. Corte Cost. n. 101/2023, punto 3.4.1. Sulla capacità della prevenzione collaborativa di permettere la partecipazione alle gare pubbliche si veda G. D’ANGELO – G. VARRASSO, Il decreto-legge n. 152/2021 e le modifiche in tema di documentazione antimafia e prevenzione collaborativa, in Diritto Penale Contemporaneo – Rivista Trimestrale, n. 2/2022, p. 23. Gli Autori,
infatti, segnalano il mancato raccordo tra la previsione di cui all’art. 94-bis CAM e l’art. 80 del Codice dei Contratti pubblici (D.lgs. 50/2016). La norma è stata oggi sostituita dall’art. 94 rubricato «cause di esclusione automatica» del nuovo Codice (D.lgs. 36/2023).
49 Cfr. art. 94-bis, comma IV, CAM.
50 Cfr. Strumenti normativi e strategie operative a tutela delle risorse relative al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (P.N.R.R.). Opportunità e innovazioni per la prevenzione delle infiltrazionimafiose negli appalti pubblici, cit., p. 164.
51 Si dovrebbe valutare se l’introduzione di questo istituto possa essere di pregiudizio (ulteriore) per le imprese colpite, invece, da interdittiva. Detto altrimenti, qualora l’azienda colpita dainterdittiva chieda di essere ammessa al controllo giudiziario volontario, il giudice potrebbe ritenere di non concedere il “beneficio” perché, se davvero l’agevolazione fosse stata meramente occasionale, allora quella azienda non sarebbe stata colpita dall’interdittiva, ma, tutt’al più, il Prefetto avrebbe disposto la prevenzione collaborativa.
52 Cfr. art. 34-bis CAM ult. Parte e art. 94-bis, comma III, CAM.
53 Cfr. A. M. MAUGERI, Prevenire il condizionamento criminale dell’economia: dal modello ablatorio al controllo terapeutico delle aziende, in Diritto Penale Contemporaneo – Rivista Trimestrale, n. 1/2022, p. 152.
54 Cfr. M. VULCANO, Le modifiche del decreto-legge n. 152/2021 al codice antimafia: il legislatore punta sulla prevenzione amministrativa e sulla compliance 231 ma non risolve i nodi del controllo giudiziario, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, p. 11.

55 Letteralmente: «[…] sussistono sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di determinate attività economiche, comprese quelle di carattere imprenditoriale, sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall’articolo 416-bis del codice penale o possa comunque agevolare l’attività di persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una delle misure di prevenzione personale o patrimoniale previste dagli articoli 6 e 24 del presente decreto, ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per taluno dei delitti di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a), b) e i-bis), del presente decreto, ovvero per i delitti di cui agli articoli 603-bis, 629, 644, 648-bis e 648-ter del codice penale».

56 Molto scettica su “La compatibilità delle tempistiche della «efficace attuazione» con quelle della prevenzione collaborativa” è l’Autrice A. DE VIVO, L’efficace attuazione del modello nella «prevenzione collaborativa» introdotta dal d.l. 152/2021, in Rivista231, n.1/2022, p. 125 e ss.
57 A condizione che si tratti di uno dei (ormai tanti) reati – presupposto specificamente elencati dagli art. 24 e ss. del d.lgs. 231/2001, che il reato sia stato commesso da un soggetto incardinato all’interno dell’organigramma aziendale e che rivesta il ruolo di apicale (art. 5, comma I, lettera a) o (a questo immediatamente) sottoposto (lettera b), e che abbia agito nell’interesse o a vantaggio dell’ente (art. 5, comma I).
58 Art. 20 CAM.
59 Art. 28 CAM. 

60 Per un approfondimento sul tema della responsabilità da reato degli enti in Italia, v. Responsabilità da reato degli enti, Volume I – II, G. LATTANZI – P. SEVERINO (a cura di), Giappichelli, Torino, 2020; G. DE VERO. Trattato di diritto penale. La responsabilità penale delle persone giuridiche, Giuffrè, Milano, 2008; D. CASTRONUOVO, Compliance: responsabilità da reato degli enti collettivi, Ipsoa, Milano, 2019; Responsabilità degli enti per illeciti ammnistrativi dipendenti da reato, A. BERNASCONI – G. GARUTI (a cura di), Cedam, Padova, 2022.
61 Cfr. S. MANACORDA, L’idoneità preventiva dei modelli di organizzazione nella responsabilità da reato degli enti: analisi critica e linee evolutive, in Rivista trimestrale diritto penale dell’economia, 2017, n. 1-2, p. 50.
62 P. SEVERINO, Il sistema di responsabilità degli enti ex d.lgs. n. 231/2001: alcuni problemi aperti, in F. CENTONZE – M. MANTOVANI (a cura di), La responsabilità “penale” degli enti. Dieci proposte di riforma, Il Mulino, Bologna, 2016, p. 75.

63 In generale sul tema v. A. GULLO, I modelli organizzativi, Cap. IV, in Responsabilità da reato degli enti, Volume I – II, G. LATTANZI – P. SEVERINO (a cura di), Giappichelli, Torino, 2020 p. 241.
64 V. Tribunale Milano, Sezione Sesta, 26 giugno 2014, con nota di P. DE MARTINO, Una sentenza assolutoria in tema di sicurezza sul lavoro e responsabilità degli enti ex d.lgs. 231/2001, in Diritto penale contemporaneo, 14 novembre 2014; R. SABIA, I. SALVEMME, Costi e funzioni dei modelli di organizzazione e gestione ai sensi del d. lgs. n. 231/2001, in Tutela degli investimenti tra integrazione dei mercati e. Concorrenza di ordinamenti, A. DEL VECCHIO – P. SEVERINO (a cura di), Bari, 2016, p 456 (la pronuncia è richiamata nell’economia dell’analisi dei modelli organizzativi in materia di sicurezza sul lavoro). La sentenza è stata confermata anche in appello: Corte appello Milano, Sez. Quinta, 24 novembre 2015, con nota di C. FERRUCCI, La Corte d’appello di Milano sulla responsabilità dell’ente in materia di sicurezza sul lavoro, in Diritto Penale Contemporaneo, 12 febbraio 2016. Per un quadro esaustivo, S. MANACORDA, L’idoneità preventiva dei modelli di organizzazione nella responsabilità del reato degli enti analisi critica e linee evolutive, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, 1-2/2017, p. 74; riferimenti anche in V. MANES Realismo e concretezza e l’accertamento dell’idoneità del modello organizzativo, in Giurisprudenza Commerciale, 4/2021, p. 490, nota 85. C. E. PALIERO, Responsabilità dell’ente e cause di esclusione della colpevolezza: decisione “lassista” o interpretazione costituzionalmente orientata?, in Le Società, 2010, p. 480; lo stesso Autore, in Responsabilità dell’Entità e principio di colpevolezza sul controllo della Corte di Cassazione, in Le Società, 2014, p.478, stigmatizza l’incertezza circa il giudizio sull’idoneità dei Modelli e l’eccessivo onere probatorio che permane sugli enti in caso di reati commessi da alti dirigenti, con conseguente attrito con la reale attribuzione del principio di colpevolezza.
65 Per fortuna, gli Uffici di Procura non si sentono vincolati dal principio di obbligatorietà dell’azione penale previsto dall’art. 112 Cost. rispetto all’ente, e la disciplina 231 viene applicata a “macchia di leopardo” a seconda della sensibilità dei singoli Procuratori della Repubblica, Cfr. Prevenzione e governo del rischio di reato: la disciplina 231/2001 e le politiche di contrasto dell’illegalità nell’attività di impresa, 5/2019, www.assonime.it, p. 31, https://www.assonime.it/_layouts/15/Assonime.CustomAction/GetPdfToUrl.aspx?PathPdf=https: //www.assonime.it/attivita editoriale/studi/Documents/Note%20e%20Studi%205A-2019.pdf
66 Cfr. M. M. SCOLLETTA, La disciplina della responsabilità da reato degli enti collettivi: teoria e prassi giurisprudenziale, in L. D. CERQUA- G. CANZIO – L. LUPARIA (a cura di), Diritto penale delle società, Cedam, Padova, 2016, p. 824.
67 Fatta eccezione (forse) per una definizione leggermente più completa nell’ambito del settore della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (art. 30 d.lgs. 30 agosto 2007, n. 123, cd. T.U.S.L.).
68 Non si sono raggiunti i risultati sperati forse anche a causa di un atteggiamento a volte ostile della magistratura, che si basa spesso sulla considerazione secondo cui “se il reato è stato realizzato, vuol dire che il modello era inidoneo”, e quindi, ci sanno sempre dei margini di sindacato ex post sul modello. Sul tema, cfr. M. COLACURCI, L’idoneità del modello 231, tra difficoltà operativi e possibili correttivi, in Diritto Penale Contemporaneo, Rivista trimestrale, n. 2/2016, p. 74.

69 Sentenza cd. Impregilo Bis (Cassazione Penale, Sez. VI, 15 giugno 2022 – ud. 11 novembre 2021, n. 23401, Presidente Fidelbo, Relatore Rosati) che ha chiuso la “saga Impregilo”. In realtà, anche prima della sentenza Impregilo bis in giurisprudenza era emersa la necessità di provare la colpa in organizzazione, anche quando la società fosse radicalmente priva del modello (cfr. Cass. Sez. IV, 18413/2022). In ogni caso la giurisprudenza di legittimità successiva alla sentenza Impregilo bis si è posta in coerenza con questa impostazione (Cass. sez. IV, 570/2023).
70 Cfr. R. SABIA, Responsabilità da reato degli enti e paradigmi di validazione dei modelli organizzativi -Esperienze comparate e scenari di riforma, Giappichelli, Torino, Cap. II, par. 3 e ss.
71 L’art. 34–bis CAM è stato inserito nel novero delle misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca ad opera dell’art. 11 della L. 161/2017, intitolata «Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al Codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate».

72 Cfr. nota di lettura A.S. 2483: «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152, recante disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa
e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose» Approvato dalla Camera dei deputati, dicembre 2021 n. 281, disponibile al link https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01329986.pdf

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