L’indennità risarcitoria per abusi paesaggistici minori.

Autrice: Emanuela Porcelli – 

Nota a sentenza Consiglio di Stato n. 945 del 30 gennaio 2024- sezione seconda

Abstract

Gli illeciti amministrativi oggetto di sanatoria erano già stati disciplinati dalla l. 1497/1939. In particolare, l’indennità risarcitoria ex art. 15 L. 1497/1939 prevista per gli abusi paesaggistici cd. minori è stata riprodotta nel dlgs 42/04, con mera modifica del nomen iuris e dunque senza abrogatio. Ergo, questa è tutt’oggi dovuta.

Sommario:

 1. L’abuso paesaggistico;

2. la questione sottoposta al Consiglio di Stato.

 

  1. L’abuso paesaggistico.

Fondamentali in materia paesaggistica sono le due leggi n. 1497 del 1939 (c.d. Legge Bottai) e la Legge n. 1089 del 1939, tra le quali esiste un filo comune dato dal fatto che entrambe esigono un regime conservativo rigoroso.

Una prima definizione di “opere abusive” viene  in rilievo con l’art. 7 della legge n. 167 del 18 aprile 1962, in cui si stabilisce che sono tali le opere eseguite in totale difformità dalla concessione ossia quelle che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto della concessione stessa, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile. Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonchè quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’opera acquisita deve essere demolita con ordinanza del sindaco a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali

All’interno della nostra Carta Costituzionale, il paesaggio è tutelato dall’art. 9, comma 2, che afferma la tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Nel corso degli anni, si è avvertita l’esigenza di aggiornare e riordinare la disciplina sull’edilizia e pertanto si è giunti all’emanazione del D.P.R. n. 380/01 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).

Il Legislatore nel riordinare e organizzare la materia edilizia ha ivi previsto determinati interventi edilizi non subordinati ad alcun tipo di controllo né di natura diretta né di natura indiretta da parte della PA.

 Orbene, l’art. 10 T.U.E., disciplinante gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio subordinati a permesso di costruire, attualmente ricomprende: gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici; gli interventi che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso; gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. 42/2004.

In particolare, il d.l. n. 76/2020, perseguendo l’obiettivo di ridurre il peso burocratico a carico dei cittadini e delle imprese mediante interventi di semplificazione e accelerazione delle procedure in ottica di un rilancio dell’economia, attua un ampliamento dell’ambito di applicazione delle manutenzioni straordinarie, con l’effetto di sottoporre a SCIA interventi edilizi precedentemente sottoposti a permesso di costruire. Proprio con la modifica dell’art. 3, comma 1, lett. b), la definizione di manutenzione straordinaria attualmente va a ricomprendere anche la modifica alle destinazioni d’uso purché non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti implicanti incremento di carico urbanistico e le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati, necessarie per mantenere o acquisire l’agibilità o l’accessibilità dell’edificio, che non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio, a condizione che l’intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del d.lgs. n. 42/2004.

In relazione alla prima tipologia di interventi occorre rilevare che attualmente, a differenza della versione precedente della norma, è possibile modificare la destinazione d’uso dell’immobile, a condizione che non siano previsti mutamenti urbanistici delle destinazioni d’uso così rilevanti da comportare un incremento del carico urbanistico.

In relazione, invece, ai prospetti degli edifici, occorre che essi costituiscano interventi legittimamente realizzati al fine di mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio o l’accesso allo stesso, a condizione che l’intervento non pregiudichi il decoro architettonico dell’edificio. La modifica del prospetto deve anch’essa risultare conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia. Inoltre non deve avere ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.

Da ciò deriva un importante limite agli interventi nei centri storici o in ambiti di pregioin quanto essi potranno essere qualificati come interventi di ristrutturazione edilizia, anziché di nuova costruzione, solo se eseguiti con mantenimento di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e senza incremento di volumetria e realizzati mediante esecuzione di apposita pianificazione urbanistica, e non mediante titolo edilizio semplice.

Tale stringente limite, che sostanzialmente sottopone al controllo dei competenti uffici delle amministrazioni comunali tali tipi di interventi, trova la sua ratio nell’esigenze di salvaguardia e tutela dei centri storici da interventi edilizi che alterano e deturpano il pregio storico ed estetico degli abitati storici.

Anche il procedimento amministrativo per il rilascio del permesso di costruire, oggetto di svariate modifiche nel tempo, è attualmente informato a criteri di snellezza e celerità. Infatti il termine per l’adozione del provvedimento è di 90 giorni, decorsi inutilmente i quali sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni sulla conferenza di servizi. Sempre in materia di abusi, il Consiglio di Stato con la sentenza del 4 gennaio 2021 n. 80 ha ribadito che, grava sul privato l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell’immobile abusivo, in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto e la deduzione della parte privata di concreti elementi di fatto relativi all’epoca dell’abuso trasferisce l’onere della prova contraria in capo all’amministrazione.

Ergo, quando si parla di “abuso edilizio” si intende generalmente un illecito che, a seconda dei casi, può assumere rilevanza penale o amministrativa, posto in essere da chi realizza un’opera edilizia in assenza delle prescritte autorizzazioni o su suolo non edificabile. La giurisprudenza amministrativa da sempre ritiene che avendo l’illecito edilizio natura permanente, in quanto è tale l’alterazione dell’assetto urbanistico-edilizio del territorio indotta dall’opera abusiva, il potere repressivo dell’amministrazione può essere esercitato anche a lunga distanza di tempo, non derivando dal decorso di questo né una sorta di sanatoria dell’opera abusiva né tantomeno una situazione di affidamento in capo all’autore dell’abuso. In altre parole, nessuna sanatoria “automatica”, per il solo decorso del tempo, è possibile in presenza di abusi edilizi. Si è sostenuto come cessi la permanenza dell’illecito edilizio o paesaggistico sol quando si ottenga il rilascio del titolo edilizio e di quello paesaggistico, nel caso di presenza di tale vincolo. Il rilascio dei siffatti titoli in sanatoria fa cessare la permanenza dei relativi illeciti: infatti, per il principio di legalità, le opere edilizie si possono considerare supportate da un titolo solo se quello richiesto dalla legge è rilasciato prima della loro realizzazione o successivamente (nei casi consentiti di condono o di accertamento di conformità), così come – sotto il profilo paesaggistico – le opere si possono considerare supportate da un titolo solo se la relativa autorizzazione è rilasciata e diventa efficace prima della loro realizzazione o successivamente. Peraltro, la permanenza dell’abuso edilizio viene meno con l’ottenimento del titolo necessario per il mantenimento dell’opera, anche se pervenuto successivamente alla sua realizzazione. Naturalmente, occorrerà il rispetto di alcuni requisiti stabiliti dalla legge. “L’abuso edilizio” consiste nella realizzazione di un’opera senza i titoli necessari come prescritti dalla legge ovvero su un suolo già dichiarato non edificabile. È un illecito che ha natura permanente, protraendosi nel tempo, e venendo meno solo con il ripristino dello status quo ante (sanzione demolitoria) o con l’ottenimento del titolo prescritto in sanatoria. La realizzazione di un abuso edilizio comporta l’applicazione di sanzioni amministrative e nei casi che configurano reati (si pensi ad esempio alla c.d. lottizzazione abusiva), anche di sanzioni penali. Le sanzioni amministrative sono dirette a eliminare i manufatti ritenuti abusivi per la suprema salvaguardia del pubblico interesse, mentre le sanzioni penali mirano a perseguire l’autore del reato e sono disciplinate dall’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001. Pertanto, gli abusi paesaggistici sorgono ogniqualvolta vi sia una violazione del c.d. Codice del paesaggio.
Le sanzioni amministrative sono previste dall’art. 167 del Codice del paesaggio. Tali sanzioni sono sostanzialmente ripristinatorie dello status quo ante, ma, in realtà, il quarto comma dell’art. 167 prevede compatibilità paesaggistica in determinati e tassativi casi: per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati, per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica; per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

In tali casi, infatti, che sono definiti come “abusi minori” è possibile una sanatoria postuma, che comporta che il trasgressore paghi una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L’importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. dunque, ogniqualvolta un’opera, sebbene realizzata in assenza della necessaria autorizzazione paesaggistica, non abbia comportato variazioni volumetriche (i c.d. “volumi tecnici”), ovvero, per la sua realizzazione si siano utilizzati materiali non contemplati dall’autorizzazione de quo ovvero, ancora, si sia trattato di un intervento di manutenzione ordinaria o straordinaria, il trasgressore potrà evitare la sanzione demolitoria presentando un’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica, pagando una sanzione pecuniaria.

Le sanzioni penali sono parimenti contemplate dalla Parte IV del Codice del paesaggio e, segnatamente dall’art. 181, che rimanda all’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001, sempre fatto salvo il caso previsto dall’art. 167, comma 4 di presentazione ed ottenimento dell’accertamento della compatibilità paesaggistica per gli interventi tassativamente indicati. Dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere che possa sussistere una distinzione tipologica degli abusi paesaggistici secondo una tripartizione: degli abusi minori, comportanti l’applicazione delle sole sanzioni amministrative pecuniarie qualora intervenga una valutazione della compatibilità paesaggistica; abusi gravi, che configurano un delitto, punito con la reclusione; abusi ordinari, sanzionati mediante il rinvio quoad poenam all’articolo 44 lettera c) della legge urbanistica.

Anche se le opere sono state realizzate da tempo, le misure sanzionatorie ripristinatorie possono essere sempre applicate: esse infatti non sono soggette a prescrizione, e non occorre una specifica motivazione sull’interesse pubblico. Per altro l’assenza di autorizzazione paesaggistica in zona vincolata ex art. 146 D.lgs. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio), vale da sola per l’applicazione della sanzione demolitoria (cfr. sentenza N. 1715/22 Tar Campania.)

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, il rilascio postumo dell’autorizzazione paesaggistica al di fuori dei limiti in cui essa è consentita ai sensi dell’art. 167, commi 4 e 5, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non consente la sanatoria urbanistica ex art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e non produce alcun effetto estintivo dei reati edilizi né preclude l’emissione dell’ordine di rimessione in pristino dell’immobile abusivo edificato in zona vincolata.

Invero, poiché l’autorizzazione paesaggistica, secondo l’art. 146, comma 4, del d.lgs. 42 del 2004, costituisce un atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio, lo stesso permesso di costruire resta subordinato al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica la quale, però, sempre secondo la norma richiamata, non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi, tranne nei casi dei cd. abusi minori, tassativamente individuati dall’art. 167, commi 4 e 5, d.lgs. n. 42 del 2004. Tale preclusione, considerato che l’autorizzazione paesaggistica è presupposto per il rilascio del permesso di costruire, impedisce di conseguenza anche la sanatoria urbanistica ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001.

La giurisprudenza amministrativa ha così sostenuto che la sanatoria di cui all’articolo 36 del D.P.R. n. 380/2001 si fonda sul rilascio di un provvedimento abilitativo sanante da parte della competente Amministrazione, sempre possibile previo accertamento di conformità o di non contrasto delle opere abusive non assentite agli strumenti urbanistici vigenti nel momento della realizzazione e in quello della richiesta, previo accertamento di compatibilità paesaggistica nelle ipotesi in cui l’area sia assoggettata a vincolo paesaggistico e che è tassativamente limitato alle sole fattispecie contemplate dall’art. 167 comma 4, d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, come da ultimo sostituito per effetto dell’art. 27, d.lg. 24 marzo 2006, n. 157 (v. sentenza Consiglio di Stato, sez. IV, n. 1874/2019).  Inoltre, è stato osservato che siffatta disciplina normativa è strettamente connessa con la particolare rilevanza costituzionale attribuita ai beni ambientali, in quanto la garanzia degli stessi non è solo fine a sé stessa, ma anche strumentale alla preservazione di beni fondamentali come la salute e la vita, evidenziando come la scelta del legislatore di consentire l’autorizzazione paesaggistica postuma esclusivamente per i c.d. “abusi minori” è in linea con i principi costituzionali della ragionevolezza e della parità di trattamento, oltre che con quelli dell’ordinamento comunitario, perché si muove su un piano di coerenza con l’accentuato profilo costituzionale dell’interesse pubblico alla preservazione del paesaggio (vedi sentenza T.A.R. Napoli, sez. VII, n. 4077/2022). Le opere realizzate in assenza o in difformità della dovuta autorizzazione paesaggistica possono essere sanate sotto il profilo paesaggistico, ma la possibilità di sanatoria si scontra con la rigidità dell’art. 167, co. 4, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che ammette all’accertamento di compatibilità paesaggistica i soli interventi. Pertanto, possono essere sanate le sole opere che, in assenza o in difformità di autorizzazione paesaggistica, non abbiano creato superfici o volumi non autorizzati: viceversa la sanatoria non sarà possibile e le superfici o volumi illegittimamente realizzati dovranno essere demoliti.
Il primo comma dell’art. 167, infatti, non lascia spazio a dubbi sul fatto che, al di fuori delle strette maglie in cui è ammessa la sanatoria paesaggistica.

L’autorizzazione paesaggistica comprende qualsiasi opera edilizia calpestabile che può essere sfruttata per qualunque uso. Ciò implica che ai sensi dell’art. 149, comma 1, lett. a), d.lgs. 42/2004 – laddove prevede che non è comunque richiesta l’autorizzazione prescritta dall’articolo 146, dall’articolo 147 e dall’articolo 159:  per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici,  la realizzazione di opere edilizie, aventi visibilità esterna in grado di alterare il paesaggio, è subordinata al previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.

In riferimento all’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, l’art. 167, comma 4, lett. a), d.lgs. 42/2004, stabilisce che non è possibile il rilascio del titolo successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi, qualora essi, abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero l’aumento di quelli legittimamente realizzati. La giurisprudenza amministrativa sollecitata ad intervenire per una piscina e la connessa pavimentazione circostante, eseguite abusivamente, ha statuito che ha dato luogo ad incremento volumetrico e di superficie utile, alterando lo stato dei luoghi, sì da violare il vincolo paesaggistico gravante sull’area in cui gli interventi ricadono e pertanto l’autorizzazione paesaggistica non è quindi rilasciabile nemmeno in sanatoria, motivo per cui la loro demolizione è legittima (v. Sentenza Consiglio di Stato N. 10866/22).

 

  1. La questione sottoposta al Consiglio di Stato

Di recente, il Consiglio di Stato è intervenuto poiché sollecitato da parte di un privato che proponeva appello avverso la sentenza del Tar di Lecce, contro la Regione Puglia.

Il ricorrente impugnava la sentenza di primo grado poiché aveva respinto il suo ricorso avverso l’atto dirigenziale regionale n. 44 del 12 marzo 2014, avente ad oggetto l’applicazione delle indennità risarcitorie ex art. 167 dlgs 42/04 e art. 1 comma 37, lette b2 L. 308/04. L’appellante, aveva realizzato previa comunicazione asseverata del 1995, un volume tecnico di mq 37 sul terrazzo della propria abitazione, all’epoca ricadente in zona non vincolata. Successivamente, nell’anno 2004 aveva trasformato quel vano tecnico in volume abitativo e chiedeva pertanto la sanatoria per quella trasformazione del volume tecnico in volume abitativo ai sensi del decreto legge n. 269/2003.

La soprintendenza nel 2009 aveva assentito al mantenimento dell’opera sotto il profilo paesaggistico con conseguente rilascio del provvedimento che autorizzava il cambiamento di destinazione d’uso.

Tuttavia nell’anno 2014 veniva notificato al ricorrente l’atto dirigenziale del Servizio Regionale Urbanistica n. 44 del 17 marzo 2014 di applicazione della indennità risarcitoria ex art. 167 dlgs 42/04, avverso cui l’interessato proponeva ricorso al Tar per la Puglia.

In primo grado il ricorso veniva respinto poiché il vincolo paesaggistico era esistente già all’epoca di realizzazione del volume tecnico e l’indennità risarcitoria costituiva presupposto imprescindibile per la sanabilità dell’abuso paesaggistico; inoltre, era irrilevante la circostanza che si fosse realizzato un mero cambio di destinazione d’uso senza lavori esterni così come irrilevante era la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.

Con il primo motivo di appello, il ricorrente ribadiva che l’autorizzazione paesaggistica non era necessaria e che comunque era stata rilasciata con la sanatoria del Comune di Brindisi nel 2010 relativamente alle opere edilizie consistenti in una mera ristrutturazione con cambio di destinazione d’uso di un volume tecnico in civile abitazione sul terrazzo. La sanatoria veniva rilasciata anche sulla base dei pareri di compatibilità ambientale favorevoli emessi dal Nucleo di Valutazione Paesaggistica del Comune e della Soprintendenza. Il ricorrente, rappresentava inoltre che la sanzione prevista all’epoca dalla L. 1497/1939 era stata definitivamente abrogata nel 2008 e che in virtù del fatto che la modifica della destinazione d’uso non aveva comportato alcun danno sul piano paesistico e trattandosi pertanto di intervento minore ai sensi del DPR 31/2017, non era necessaria la autorizzazione paesaggistica.

Con il secondo motivo, il ricorrente sottolineava l’avvenuta prescrizione della pretesa sanzionatoria poiché l’illecito edilizio era cessato con il rilascio del parere favorevole in data 29 giugno 2009 da parte della Soprintendenza, mentre il provvedimento impugnato era stato emesso oltre cinque anni dopo in violazione dell’articolo 28 L. 689/1981.

Con il terzo motivo si reiterava la censura relativa alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, omissione che avrebbe impedito all’appellante di far presente le sue ragioni evitando un provvedimento lesivo.

Si costituiva in giudizio la Regione Puglia.

Relativamente al primo motivo di gravame, la circostanza che la L. 1497/1939 sia stata abrogata definitivamente nel 2008 non ha alcun rilievo quanto all’esistenza dell’illecito da sanare poichè la norma all’epoca vigente è stata riprodotta nel dlgs 41/2004, che ha raccolto le norme esistenti in precedenti testi legislativi cosicché possono considerarsi abrogate solo le fattispecie non contenute nel nuovo testo unico, trattandosi negli altri casi di mera modifica del nomen iuris. Pertanto, l’indennità risarcitoria oggi disciplinata dall’articolo 167 del dlgs 42/2004 in caso di abusi paesaggistici cd minori era già prevista dall’articolo 15 L. 1497/1935.

L’autorizzazione paesaggistica era necessaria anche all’epoca della realizzazione del volume tecnico in base alla L. 310/1995, mentre le successive autorizzazioni rilasciate dalla Soprintendenza e dal Comune di Brindisi, invocate dall’appellante a sostegno della non necessità dell’autorizzazione, devono considerarsi autorizzazioni in sanatoria dal momento che all’epoca in cui fu richiesta la modifica della destinazione d’uso del manufatto era emerso che l’autorizzazione paesistica non era stata richiesta. Infine, con riferimento al secondo e al terzo motivo di gravame sono da respingere poiché infondati dal momento che l’atto impugnato ha natura vincolata e la partecipazione del privato non avrebbe potuto modificare il contenuto del provvedimento dal momento che i criteri di determinazione della sanzione sono indicati dalla legge.

Già, in precedenza, Palazzo Spada affermava che: “il potere di irrogare la sanzione ai sensi dell’art. 15 della legge n. 1497 del 1939 è un autonomo potere sanzionatorio che prescinde quindi dall’esito favorevole della sanatoria paesaggistica ed edilizia. Ne deriva la irrilevanza del tempo trascorso dalla chiusura del provvedimento di sanatoria edilizia e dal rilascio della autorizzazione paesaggistica (in sanatoria), in quanto il potere sanzionatorio di cui all’art. 15 è esclusivamente soggetto al termine di prescrizione quinquennale, previsto in generale per le sanzioni amministrative dall’art. 28 della L. n. 689 del 1981 che, inoltre, decorre non dalla data di realizzazione del manufatto abusivo o dalla presentazione della domanda di condono, ma dal momento in cui viene a cessare la situazione di illiceità, e cioè dal giorno del conseguimento delle necessarie autorizzazioni, anche in via di sanatoria” (Consiglio di Stato sentenza n. 1090/2010).

In passato, ai sensi dell’art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, i proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, dell’immobile, il quale sia stato oggetto nei pubblicati elenchi delle località, non potevano distruggerlo né introdurvi modificazioni che recassero pregiudizio a quel suo esteriore aspetto. Essi, pertanto, debbono presentare i progetti dei lavori che vogliano intraprendere alla competente regia Soprintendenza e astenersi dal mettervi mano sino a tanto che non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione.

Da tale disciplina deriva che qualsiasi modifica dello stato dei luoghi è comunque soggetta ad autorizzazione paesaggistica.

La giurisprudenza ha, infatti, anche affermato che hanno una indubbia rilevanza paesaggistica tutte le opere realizzate sull’area sottoposta a vincolo, anche se non vi è un volume da computare sotto il profilo edilizio, poiché le esigenze di tutela dell’area sottoposta a vincolo paesaggistico possono anche esigere l’immodificabilità dello stato dei luoghi (Cons. St., Sez. VI, 20 giugno 2012, n. 3578).
Ai sensi dell’art. 82, comma 12, del d.P.R. n. 616 del 1977, aggiunto dal d.l. 27 giugno 1985, n. 312, conv. nella legge 8 agosto 1985, n. 431, “non è richiesta l’autorizzazione di cui all’articolo 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”.

In base all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, “indipendentemente dalle sanzioni comminate dal codice penale, chi non ottempera agli obblighi e agli ordini di cui alla presente legge è tenuto, secondo che il Ministero dell’educazione nazionale ritenga più opportuno, nell’interesse della protezione delle bellezze naturali e panoramiche, alla demolizione a proprie spese delle opere abusivamente eseguite o al pagamento di una indennità equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto

conseguito mediante la commessa trasgressione”

La sanzione prevista dall’art. 15 viene quindi comminata per la inosservanza degli obblighi previsti dalla legge n. 1497 del 1939 per i beni sottoposti a vincolo paesaggistico, tra cui deve comprendersi anche l’inosservanza degli obblighi di cui all’art. 7 ovvero la richiesta di autorizzazione per qualsiasi modifica e effettuazione di lavori che riguardino gli immobili sottoposti a vincolo.
Il comportamento sanzionato nel caso di specie è, quindi, costituito dalla mancata richiesta dell’autorizzazione per le modifiche al bene vincolato realizzate in difformità dalla concessione edilizia n. 39 del 1991.

Rispetto a tale comportamento è, dunque, irrilevante che la Provincia di Belluno abbia già dato parere favorevole alla sanatoria, essendo questa solo “l’autorizzazione postuma” necessario presupposto al fine di ottenere il titolo edilizio in sanatoria. Tale “autorizzazione postuma” così come il successivo completamento del procedimento di sanatoria edilizia con il rilascio della concessione il 16 giugno 1993 non hanno alcun effetto sanante rispetto all’illecito paesaggistico ormai compiuto e rilevante, ai

sensi dell’art. 15 della legge n. 1497 del 1939.

Per la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, infatti, l’autorizzazione “postuma”, pur inibendo il ricorso alla misura ripristinatoria, non può considerarsi un equipollente perfetto dell’autorizzazione tempestiva, lasciando fermo in capo alla competente Amministrazione, il potere-dovere di procedere all’applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 15, L. n. 1497 del 1939 (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6113; id., 13 luglio 2006, n. 4420; sez. VI, 4 dicembre 2000, n. 6469).

Il potere di irrogare la sanzione ai sensi dell’art. 15 della legge n. 1497 del 1939 è un autonomo potere sanzionatorio che prescinde quindi dall’esito favorevole della sanatoria paesaggistica ed edilizia.
Dalla natura autonomamente sanzionatoria di tale potere deriva la irrilevanza del tempo trascorso dalla chiusura del provvedimento di sanatoria edilizia e dal rilascio della autorizzazione paesaggistica (in sanatoria), in quanto il potere sanzionatorio di cui all’art. 15 è esclusivamente soggetto al termine di prescrizione quinquennale, previsto in generale per le sanzioni amministrative dall’art. 28 della L. n. 689 del 1981 che, inoltre, decorre non dalla data di realizzazione del manufatto abusivo o dalla presentazione della domanda di condono, ma dal momento in cui viene a cessare la situazione di illiceità, e cioè dal giorno del conseguimento delle necessarie autorizzazioni, anche in via di sanatoria.

(Consiglio di Stato, Sez. V, 13 luglio 2006, n. 4420).

Trattandosi di sanzione amministrativa, e non di una forma di risarcimento del danno, inoltre, la relativa attività amministrativa si conclude tipicamente con un atto dovuto, nell’ambito del quale il rilievo della sussistenza di un effettivo danno ambientale rileva solo come eventuale parametro alternativo al “profitto conseguito” per la commisurazione del quantum.

L’indennità prevista per abusi edilizi ambientali è applicabile, infatti, sia nel caso di illeciti sostanziali (cioè nel caso di compromissione dell’integrità paesaggistica) sia nelle ipotesi di illeciti formali, come ad esempio quella concernente la violazione dell’obbligo di conseguire l’autorizzazione preventiva a fronte di un intervento compatibile con il contesto paesistico oggetto della protezione (cfr. Consiglio Stato, Sez. VI, 28 luglio 2006, n. 4690; Sez. IV, 17 settembre 2013, n. 4631; Cons. Stato, Sez. V, 17 ottobre 2013, n. 5042).

Da tale inquadramento normativo e giurisprudenziale deriva che la sanzione sia stata legittimamente irrogata in presenza del presupposto costituito dalla realizzazione di opere senza la previa richiesta di autorizzazione paesaggistica; né può rilevare l’affidamento della parte circa la conclusione favorevole del procedimento di sanatoria, essendo il potere sanzionatorio espressamente previsto dalla legge anche per le violazioni formali della disciplina paesaggistica ovvero per la mancata richiesta di autorizzazione preventiva.

Quanto alla quantificazione della sanzione, peraltro non espressamente contestata nell’atto di appello, questa deriva dall’applicazione dell’art. 7 della legge n. 1497 del 1939 che fa riferimento al profitto conseguito, individuato dalla Provincia nell’aumento di valore del bene dovuto all’aumento della volumetria e al mutamento di destinazione d’uso commisurato al valore di mercato a metro quadro. Tale quantificazione si deve dunque ritenere corretta, non essendo contestato comunque il valore di mercato di riferimento utilizzato.

L’art.1 della legge n.1497/39 individuava quattro tipologie di “bellezze naturali” da sottoporre a protezione, tramite uno specifico provvedimento vincolativo.  All’interno della categoria di “bellezza d’insieme” erano presenti anche una o più “bellezze individue”, ma ai fini della loro qualificazione ciò che contava era il fatto di concorrere a determinare l’aspetto esteriore dell’intero complesso, considerato unitariamente.

Nel caso che ci occupa, il Consiglio di Stato chiarisce che la circostanza che la L. n. 1497/39 sia stata abrogata definitivamente nel 2008 non ha alcun rilievo quanto all’esistenza dell’illecito quanto all’esistenza dell’illecito da sanare poiché la norma all’epoca vigente è stata riprodotta del dlgs n. 42/2004 che raccolto le norme esistenti in precedenti testi legislativi, cosicchè possono considerarsi abrogate solo le fattispecie non contenute nel nuovo testo unico trattandosi negli altri casi di mera modifica del nomen iuris.

Pertanto, l’indennità risarcitoria oggi disciplinata dall’art. 167 del dlgs n. 42 del 2004, in caso di abusi paesaggistici cosiddetti “minori” era già prevista dall’articolo 15 L. 1497/1939, è dovuta.

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