Forma del contratto a seguito di affidamenti diretti o negoziate: lo scambio di lettere non è affatto obbligatorio

tratto da leautonomie.it – a cura di Luigi Oliveri – 

Le modalità di stipulazione del contratto, l’articolo 18, comma 1, prevede: “In caso di procedura negoziata oppure per gli affidamenti diretti, mediante corrispondenza secondo l’uso commerciale, consistente in un apposito scambio di lettere, anche tramite posta elettronica certificata o sistemi elettronici di recapito certificato qualificato ai sensi del regolamento UE n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 luglio 2014”.

Da dove possa trarsi l’obbligatorietà della forma dello scambio di corrispondenza secondo gli usi commerciali, enunciato dal Mit col parere 2341 oggettivamente è difficile comprenderlo.

La norma non è per nulla imperativa come il Mit lascia intendere, almeno certamente per quanto riguarda gli enti locali, ove l’attività connessa alla stipulazione dei contratti è regolata dall’articolo 97 del d.lgs 267/2000, che regola le funzioni del segretario comunale come ufficiale rogante. Il segretario, ai sensi del comma 4, lettera c), di detta norma “roga, su richiesta dell’ente, i contratti nei quali l’ente è parte e autentica scritture private ed atti unilaterali nell’interesse dell’ente”. Basta, quindi, che “l’ente”, per voce del Rup o del responsabile del servizio interessato, chieda al segretario comunale di rogare il contratto mediante atto pubblico in forma amministrativa o scrittura privata autenticata, ed il segretario non potrà sottrarsi di certo a tali modalità, se ritenute da chi le richiede più tutelanti e meglio capaci di dare certezze e contenuti tecnicamente corretti al rapporto contrattuale.

Come sempre, quando ci si immette lungo la strada della ricerca di un vincolo o un obbligo a rispettare particolari forme, specie quando queste investo non l’attività amministrativa, bensì quella paritetica di diritto privato, chi pensa di poter esprimersi sui temi nel senso dirigistico ed autoritativo va sempre fuori bersaglio.

Dovrebbe risultare noto a tutti il principio dell’assoluta libertà delle forme del contratto, contenuto nel codice civile, il quale si limita ad indicare esclusivamente in quali casi il contratto debba avere forma scritta (quando sia la PA uno dei contraenti sempre, ma per indicazioni non del codice civile, bensì giurisprudenziali) e ulteriori limitati casi ricorrendo i quali necessita l’atto pubblico notarile (per esempio, nel caso delle donazioni).

Dunque, le parti restano sempre libere di scegliere. La previsione dell’articolo 18 del codice dei contratti ha un effetto opposto: lungi dall’obbligare la stipulazione del contratto mediante scambio di lettere secondo gli usi commerciali, indica invece che solo nel caso di affidamenti diretti o procedure negoziate è possibile utilizzare tale modalità, invece non ammessa qualora il contratto scaturisca dalle altre modalità di selezione del contraente.

Certo, non si nega affatto che la sottoscrizione mediante scambio di lettere secondo gli usi commerciali è elemento di semplificazione, sicchè l’utilizzo di altre modalità appare recessivo.

Comunque, se davvero l’intento del codice fosse stato quello di “semplificare” le procedure di stipula, le strade da perseguire sarebbero state altre. Prima tra tutte, quella di  rendere possibile espressamente la sottoscrizione mediante forma pubblica amministrativa da remoto, cosa assolutamente possibile alla luce delle tecniche digitali oggi esistenti, ma che ci si ostina a non consentire, in omaggio alla Legge Notarile, risalente a oltre 110 anni fa…

 

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