08/06/2020 – Presa in carico di nucleo familiare sprovvisto di residenza

Presa in carico di nucleo familiare sprovvisto di residenza

Oggetto
Presa in carico di nucleo familiare sprovvisto di residenza.
Massima
L’erogazione di tutta una serie di servizi, compresi quelli di natura socio-assistenziale, è garantita dal comune di residenza, in quanto ente esponenziale per eccellenza della collettività territoriale di riferimento, preposto alla cura degli interessi della popolazione locale.

Qualora la persona da assistere sia stata cancellata dall’anagrafe per irreperibilità e si sia trasferita in altro territorio, senza tuttavia fissarvi la residenza né stabilirvi il domicilio, spetta all’ufficiale d’anagrafe di quel territorio invitare la persona ad effettuare le dovute dichiarazioni, al fine di regolarizzare la propria posizione. In caso di inerzia da parte del soggetto tenuto, l’ufficiale d’anagrafe provvede d’ufficio, notificando all’interessato il relativo provvedimento.

Se, invece, la persona bisognosa di assistenza è “senza fissa dimora” si considera residente nel comune dove ha stabilito il proprio domicilio: la stessa, al momento della richiesta di iscrizione, è tenuta a fornire all’ufficio di anagrafe gli elementi necessari all’accertamento dell’effettiva sussistenza del domicilio nel comune. In mancanza del domicilio, si considera residente nel comune di nascita. Al riguardo, l’ISTAT ha evidenziato che «La legge ha previsto anche il caso in cui non sia possibile ottenere dall’interessato l’elezione di domicilio; questa ipotesi dovrebbe costituire una eccezione e quindi il criterio suppletivo dell’iscrizione nel Comune di nascita si deve considerare una “extrema ratio” alla quale far ricorso in casi eccezionali.».

Funzionario istruttore
ROSA MARIA FANTINI

rosamaria.fantini@regione.fvg.it

Parere espresso da
Servizio elettorale, Consiglio delle autonomie locali e supporto giuridico agli enti locali
Testo completo del parere
Il Servizio Sociale dei Comuni rappresenta la situazione di una coppia di coniugi, che nell’agosto 2018 è stata cancellata per irreperibilità dall’anagrafe del comune di provenienza (che aveva già effettuato la presa in carico assistenziale del nucleo familiare[1]) e che da allora si sarebbe spostata più volte all’interno del territorio regionale senza, tuttavia, fissare una nuova residenza, né stabilire un nuovo domicilio.

La coppia è ospitata da dicembre 2019 presso un bed and breakfast sito in uno dei comuni dell’ambito territoriale di riferimento e necessita, anzitutto, di un intervento di emergenza, considerato che la cancellazione anagrafica per irreperibilità avrebbe, tra l’altro[2], originato l’interruzione del pagamento della pensione che il marito percepiva.

L’Ente chiede, pertanto, di conoscere a quale Comune competa effettuare la presa in carico della coppia e attivare le necessarie prestazioni socio-assistenziali, al di là di un intervento di emergenza, che può essere disposto a favore di un nucleo temporaneamente presente sul territorio.

Com’è noto, l’erogazione di tutta una serie di servizi, compresi quelli di natura socio-assistenziale[3], è garantita, in virtù del principio generale della competenza territoriale[4], dal comune di residenza, in quanto ente esponenziale per eccellenza della collettività territoriale di riferimento, preposto alla cura degli interessi della popolazione locale.

Allo stesso principio si ispira la disciplina di settore, contenuta nell’art. 6, comma 1[5], della legge 8 novembre 2000, n. 328, e nell’art. 10, comma 1[6], della legge regionale 31 marzo 2006, n. 6.

A conferma del predetto assunto, l’art. 4[7] della L.R. 6/2006 – che garantisce in ogni caso l’accesso al sistema integrato di interventi e servizi sociali alle persone comunque presenti sul territorio regionale, qualora si trovino in situazioni tali da richiedere interventi indifferibili e non sia possibile indirizzarli ai corrispondenti servizi della regione o dello Stato di appartenenza (comma 4) – dispone che «Per gli interventi e i servizi di cui al presente articolo spetta il diritto di rivalsa nei confronti del Comune di residenza.» (comma 6).

Poiché le richiamate disposizioni di legge presuppongono l’avvenuta fissazione della residenza in un comune e non contemplano l’ipotesi in cui la persona da assistere non vi abbia provveduto, si rende necessario accennare alla disciplina anagrafica, al fine di poter individuare dove essa possa farsi risalire.

L’art. 43 del codice civile dispone che il domicilio di una persona è nel luogo in cui la stessa ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi, mentre la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale.

Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, la residenza è determinata dall’abituale e volontaria dimora di un soggetto in uno specifico luogo, vale a dire dalla combinazione dell’elemento oggettivo della permanenza stabile in un comune con l’elemento soggettivo dell’intenzione di rimanervi in modo duraturo[8], rilevati dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali.

La giurisprudenza chiarisce, poi, che «la residenza è comunque una situazione di fatto, alla quale deve tendenzialmente corrispondere una situazione di diritto contenuta nelle risultanze anagrafiche»[9].

Va, infatti, ricordato che «Il principio informatore dell’anagrafe è la res facti e ad esso bisogna sempre riferirsi per risolvere ogni problema di natura anagrafica», poiché «Deve sempre sussistere la coincidenza tra il fatto e la sua rappresentazione amministrativa»[10].

Il Ministero dell’interno[11] afferma, in particolare, che:

– «L’iscrizione anagrafica non appare vincolata ad alcuna condizione, né potrebbe essere il contrario, in quanto in tal modo si verrebbe a limitare la libertà di spostamento e di stabilimento dei cittadini sul territorio nazionale in palese violazione dell’art. 16 della Carta Costituzionale.»;

– «La funzione dell’anagrafe è essenzialmente di rilevare la presenza stabile, comunque situata, di soggetti sul territorio comunale, né tale funzione può essere alterata dalla preoccupazione di tutelare altri interessi anch’essi degni di considerazione, quale ad esempio l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica, per la cui tutela dovranno essere azionati idonei strumenti giuridici, diversi tuttavia da quello anagrafico.»;

– «[…] in presenza di quello che costituisce un diritto-dovere del cittadino, richiedere ed avere la residenza anagrafica, non si può assolutamente ipotizzare l’esistenza di una discrezionalità dell’amministrazione comunale, ma soltanto il dovere di compiere un atto dovuto, ancorato all’accertamento obiettivo di un presupposto di fatto, e cioè la presenza abituale del soggetto sul territorio comunale».

Al riguardo, la giurisprudenza sostiene, in particolare, che:

– le controversie relative all’iscrizione e alla cancellazione anagrafica appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, non esercitando nella materia de qua l’amministrazione comunale alcun potere discrezionale[12];

– l’iscrizione e la cancellazione anagrafica si configurano come atti dovuti in presenza dei presupposti stabiliti dalla legge, in relazione ai quali spetta all’amministrazione un mero potere di accertamento: tali controversie concernono, dunque, situazioni di diritto soggettivo e non di interesse legittimo[13].

Ciò posto, si evidenzia che l’art. 1, terzo comma, della legge 24 dicembre 1954, n. 1228 stabilisce che «Nell’anagrafe della popolazione residente sono registrate le posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze, che hanno fissato nel comune la residenza, nonché le posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel comune il proprio domicilio, in conformità del regolamento per l’esecuzione della presente legge.».

L’art. 2 della stessa L. 1228/1954 dispone – per quanto qui rileva – che:

– «È fatto obbligo ad ognuno di chiedere per sé e per le persone sulle quali esercita la patria podestà [ora “la responsabilità genitoriale”] o la tutela, la iscrizione nell’anagrafe del comune di dimora abituale e di dichiarare alla stessa i fatti determinanti mutazione di posizioni anagrafiche, a norma del regolamento […]» (primo comma);

– «Ai fini dell’obbligo di cui al primo comma, la persona che non ha fissa dimora si considera residente nel comune dove ha stabilito il proprio domicilio. La persona stessa, al momento della richiesta di iscrizione, è tenuta a fornire all’ufficio di anagrafe gli elementi necessari allo svolgimento degli accertamenti atti a stabilire l’effettiva sussistenza del domicilio. In mancanza del domicilio, si considera residente nel comune di nascita.» (terzo comma)[14];

– «Per i nati all’estero si considera comune di residenza quello di nascita del padre o, in mancanza, quello della madre. Per tutti gli altri, soggetti all’obbligo della residenza, ai quali non possono applicarsi i criteri sopraindicati, è istituito apposito registro presso il Ministero dell’interno.» (quinto comma).

Va anche rilevato che l’art. 7, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223 reca una presunzione di definitivo allontanamento dal comune dei soggetti cancellati per irreperibilità, disponendo che nell’ipotesi di una loro ricomparsa si debba procedere a nuova iscrizione anagrafica.

Poiché, ai sensi dell’art. 4, primo comma, della L. 1228/1954 l’ufficiale d’anagrafe provvede alla regolare tenuta dell’anagrafe della popolazione residente ed è responsabile dell’esecuzione degli adempimenti prescritti per la formazione e la tenuta degli atti anagrafici[15], egli «deve assicurare in ogni momento l’esatta corrispondenza tra le registrazioni anagrafiche e la situazione di fatto e a tal fine, oltre a ricevere le comunicazioni di altri uffici e le dichiarazioni degli interessati, ha il potere di ordinare verifiche sulle dichiarazioni rese e disporre indagini per accertare la veridicità dei fatti»[16].

L’ufficiale d’anagrafe è anche tenuto ad operare d’ufficio iscrizioni, cancellazioni e mutazioni anagrafiche per le quali gli interessati, benché invitati ad ottemperare all’obbligo di legge, non abbiano reso le prescritte dichiarazioni.

L’art. 5 della L. 1228/1954 dispone, infatti, che l’ufficiale d’anagrafe che sia venuto a conoscenza di fatti implicanti l’istituzione o la mutazione di posizioni anagrafiche, per i quali non siano state effettuate le dovute dichiarazioni, «deve invitare gli interessati a renderle» (primo comma) e, in caso di inerzia da parte del soggetto tenuto, «provvede di ufficio, notificando all’interessato il provvedimento stesso» (secondo comma).

Trattando, in particolare, delle persone “senza fissa dimora”, si segnala che l’Istituto nazionale di statistica – ISTAT[17] ha chiarito che «Ai fini anagrafici non deve essere considerato senza fissa dimora colui che, per ragioni professionali o per mancanza di alloggio stabile, si sposti frequentemente nell’ambito dello stesso Comune. […] Persona senza fissa dimora è, invece, ai fini anagrafici, chi non abbia in alcun Comune quella dimora abituale che è elemento necessario per l’accertamento della residenza.».

Più recentemente l’ISTAT[18] osserva che, in virtù dell’attuale formulazione dell’art. 2, terzo comma[19], della L. 1228/1954, che ha introdotto l’obbligo per le persone senza fissa dimora di fornire all’ufficio di anagrafe gli elementi necessari all’accertamento dell’effettiva sussistenza del domicilio[20], le modalità di iscrizione anagrafica sono cambiate: «L’iscrizione, pertanto, dovrà essere effettuata all’indirizzo in cui si trova ubicata la sede del domicilio dichiarato e accertato.».

Poiché – prosegue l’ISTAT – l’accertamento del domicilio è cosa ben diversa dall’accertamento della residenza e non presuppone la presenza fisica della persona, con carattere di prevalenza, all’indirizzo indicato, «l’accertamento del vigile dovrà riguardare la sussistenza o meno della sede principale degli affari e interessi del richiedente e non la sua presenza fisica, che è e resta, in questi casi, un elemento accidentale».

Qualora la persona senza fissa dimora non sia in grado di fornire alcun elemento utile ad accertare il domicilio, il comune competente all’iscrizione anagrafica sarà quello di nascita[21].

Va, al riguardo, precisato che l’ISTAT[22] ha evidenziato che «La legge ha previsto anche il caso in cui non sia possibile ottenere dall’interessato l’elezione di domicilio; questa ipotesi dovrebbe costituire una eccezione e quindi il criterio suppletivo dell’iscrizione nel Comune di nascita si deve considerare una “extrema ratio” alla quale far ricorso in casi eccezionali.».

L’ISTAT[23] ha, inoltre, chiarito che «Nella categoria dei senza fissa dimora vengono spesso inclusi anche i “senza tetto”. In realtà i senzatetto sono soggetti che hanno la dimora abituale nel comune pur non avendo la disponibilità di un’abitazione o che conducono una vita non riconducibile ai normali canoni sociali, scegliendo giorno per giorno il proprio punto di riferimento ma sempre all’interno del territorio comunale.».

Nel caso di persone “senza tetto” – prosegue l’ISTAT – il luogo del domicilio potrebbe coincidere con luoghi che coinvolgono la sfera giuridica di altri soggetti[24] e, se si tratta di persone assistite da enti assistenziali pubblici o privati (servizi sociali del comune[25], comunità religiose, ecc.), con la sede della struttura assistenziale di riferimento.

Secondo l’ISTAT[26] – che sembra esprimersi con riferimento tanto alle persone senza fissa dimora, quanto a quelle “senza tetto” – nulla impedisce che, una volta individuati i luoghi che sintetizzano il concreto vivere del richiedente sul territorio del comune, la sua iscrizione avvenga presso una via fittizia[27], giacché l’art. 2 della L. 1228/1954 si limita a richiedere elementi circa l’effettività del domicilio nel comune e non pretende che l’indirizzo di domicilio sia anche indirizzo di residenza.

Va, in conclusione, affermato che la competenza a provvedere ai bisogni assistenziali[28] delle persone cui il quesito fa riferimento spetta al comune dove esse possano risultare attualmente residenti o domiciliate sulla base dei principi sopra illustrati[29] o, in via residuale, al comune di nascita, fermo restando che si dovrà comunque indagare sulla possibilità di coinvolgere economicamente i familiari degli assistiti[30].

——————————————————————————–

[1] Il nucleo era seguito anche da un servizio specialistico di quel territorio, con il quale la coppia ha mantenuto i contatti anche nei mesi successivi alla cancellazione anagrafica.

[2] La cancellazione anagrafica implica l’impossibilità, per la persona, di esercitare una serie di diritti. Osserva, infatti, P. Morozzo Della Rocca («Il diritto alla residenza: un confronto tra principi generali, categorie civilistiche e procedure anagrafiche», in Il diritto di famiglia e delle persone, Giuffrè Ed., 2003/4) che «l’esercizio dei diritti politici è reso possibile sulla base della residenza anagrafica, che permette la registrazione della persona nelle liste degli aventi diritto al voto politico e amministrativo, o referendario» e che «Un’ampia schiera di diritti sociali ed economici dipende dalla residenza anagrafica, la cui mancanza può precludere la concessione di sussidi, pensioni e altre misure di assistenza e sicurezza sociale, la partecipazione a bandi per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, il diritto alle prestazioni di assistenza sanitaria non urgenti, e altro».

[3] Fatta eccezione per il ricovero stabile presso strutture di tale natura, diversamente regolamentato.

[4] Sancito dagli artt. 3, comma 2 («Il comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo.») e 13, comma 1 («Spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione […] comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona […], salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.»), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 ed affermato anche dal legislatore di questa regione negli artt. 8, comma 1 («Il Comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo.») e 16, comma 1 («Il Comune è titolare di tutte le funzioni amministrative che riguardano i servizi alla persona […], salvo quelle attribuite espressamente dalla legge ad altri soggetti istituzionali.») della legge regionale 9 gennaio 2006, n. 1.

[5] «I comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale […]. Tali funzioni sono esercitate dai comuni adottando sul piano territoriale gli assetti più funzionali alla gestione, alla spesa ed al rapporto con i cittadini […]».

[6] «I Comuni sono titolari della funzione di programmazione locale del sistema integrato, delle funzioni amministrative concernenti la realizzazione del sistema locale di interventi e servizi sociali, nonché delle altre funzioni e compiti loro attribuiti dalla vigente normativa statale e regionale e in particolare:

a) garantiscono l’erogazione dei servizi e delle prestazioni facenti parte del sistema integrato;

[…]

c) definiscono le condizioni per l’accesso alle prestazioni erogate dal sistema integrato;

[…]».

[7] Il quale stabilisce, in particolare, che hanno diritto ad accedere agli interventi e ai servizi del sistema integrato le persone residenti in regione ivi indicate ed altre particolari categorie di individui (profughi, stranieri e apolidi – ai quali sono peraltro garantite solo determinate prestazioni – nonché, anche se sprovvisti del requisito della residenza, minori stranieri, donne straniere in stato di gravidanza e donne nei sei mesi successivi alla nascita del figlio al quale provvedono).

[8] V., ex multis, Cassazione civile – Sez. I, 6 luglio 1983, n. 4525; Cassazione civile – Sez. II, 14 marzo 1986, n. 1738; Consiglio di Stato – Sez. IV, 2 novembre 2010, n. 7730; T.A.R. Basilicata – Sez. I, 20 aprile 2011, n. 220; T.A.R. Abruzzo – L’Aquila, Sez. I, 28 aprile 2011, n. 215.

[9] T.A.R. Piemonte – Sez. I, 24 giugno 1991, n. 320.

[10] Istituto nazionale di statistica – ISTAT, «Guida alla vigilanza anagrafica», Collana Metodi e Norme, n. 48/2010.

[11] Circolare 29 maggio 1995, n. 8.

[12] Cfr., ex multis, Cassazione civile – SS.UU., 19 giugno 2000, n. 449.

[13] V., più recentemente, Consiglio di Stato – Sez. V, 23 gennaio 2015, n. 310.

[14] L’art. 2, quarto comma, della L. 1228/1954, come inserito dall’art. 3, comma 39, della legge 15 luglio 2009, n. 94, ha comunque istituito, presso il Ministero dell’interno, un apposito registro nazionale delle persone che non hanno fissa dimora.

[15] Inoltre, per disposizione del medesimo art. 4, egli:

– «ordina gli accertamenti necessari ad appurare la verità dei fatti denunciati dagli interessati, relativi alle loro posizioni anagrafiche, e dispone indagini per accertare le contravvenzioni alle disposizioni della presente legge e del regolamento per la sua esecuzione» (secondo comma);

– «invita le persone aventi obblighi anagrafici a presentarsi all’ufficio per fornire le notizie ed i chiarimenti necessari alla regolare tenuta dell’anagrafe. Può interpellare, allo stesso fine, gli enti, amministrazioni ed uffici pubblici e privati» (terzo comma).

[16] ISTAT, «Guida alla vigilanza anagrafica», cit.

[17] «Anagrafe della popolazione – Legge e regolamento anagrafico», Collana Metodi e Norme, Serie B, n. 29/1992.

[18] «Guida alla vigilanza anagrafica», cit., ove viene ribadito che «Per il legislatore anagrafico il “senza fissa dimora” è colui che, non fermandosi mai a lungo in uno stesso luogo, non possiede i requisiti per essere considerato residente in alcun luogo e necessita dunque di un trattamento giuridico differenziato, che consiste nel far coincidere la residenza anagrafica con il domicilio.».

[19] Come sostituito dall’art. 3, comma 38, della L. 94/2009.

[20] Con circolare 7 agosto 2009, n. 19, il Ministero dell’interno ha chiarito che «La norma, che si applica alle nuove iscrizioni, intende evitare che all’iscrizione anagrafica presso un domicilio corrisponda una situazione d’irreperibilità dell’interessato.».

[21] Se non è nato in Italia, il senza fissa dimora sarà iscritto nel comune di nascita del padre o, se questi non è nato in Italia, in quello della madre, altrimenti nel registro istituito presso il Ministero dell’interno.

[22] «Anagrafe della popolazione – Legge e regolamento anagrafico», cit.

[23] «Guida alla vigilanza anagrafica», cit.

[24] A condizione che ci sia il consenso alla domiciliazione da parte di tutti i soggetti interessati.

[25] P. Morozzo Della Rocca («Le nuove regole sull’iscrizione anagrafica dei senza fissa dimora», in Lo Stato Civile Italiano, novembre 2009) osserva che consentire l’indicazione del domicilio presso il servizio sociale potrebbe snaturare e/o alterare la sua funzione, consentendo a tale servizio di divenire – suo malgrado – “soggetto che di fatto decide o meno della iscrizione anagrafica di una persona”.

[26] «Guida alla vigilanza anagrafica», cit.

[27] In «Anagrafe della popolazione – Legge e regolamento anagrafico», cit., l’ISTAT ha rappresentato la necessità dell’istituzione, in ogni comune, di una sezione speciale “non territoriale”, nella quale elencare e censire come residenti tutti i senza fissa dimora e i senza tetto che avessero eletto domicilio al fine di ottenere la residenza anagrafica, individuando allo scopo una via territorialmente non esistente ma conosciuta con un nome convenzionale dato dall’ufficiale di anagrafe.

[28] Si segnala, al riguardo, l’interessante documento elaborato in occasione del convegno organizzato da Regione Veneto – ULSS 4 Alto Vicentino e Associazione Nazionale Ufficiali di Stato Civile e Anagrafe (ANUSCA) sul tema «Dall’anagrafe al welfare – La complessa gestione della residenza anagrafica e i riflessi sui servizi sociali e sanitari», Santorso (VI), 9 ottobre 2015.

[29] Resta escluso, a tal fine, il comune di provenienza, considerato che il già richiamato art. 7, comma 2, del D.P.R. 223/1989 presuppone il definitivo allontanamento dal comune delle persone già cancellate per irreperibilità, disponendo che nell’ipotesi di loro ricomparsa si debba procedere a nuova iscrizione anagrafica.

[30] Difatti, ancorché la parte pubblica sia tenuta ad intervenire (in virtù del principio di solidarietà sociale sancito dall’art. 38, primo comma, della Costituzione) in favore dei soggetti privi di mezzi adeguati di sussistenza, tale adempimento non preclude la possibilità che venga esperita un’eventuale azione alimentare. Va, peraltro, rammentato che l’art. 438, primo comma, del codice civile, disponendo che solo la persona in stato di bisogno ha facoltà di richiedere gli alimenti ai suoi familiari (i quali sono chiamati a prestarli secondo l’ordine di cui all’art. 433 del codice civile) delinea la natura strettamente personale di tale diritto, implicando l’inammissibilità di un’azione pubblica surrogatoria.

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto