06/05/2019 – Operazione pesatura delle posizioni organizzative

Operazione pesatura delle posizioni organizzative

Luigi Oliveri

Il Ccnl 21.5.2018 ha tratto in inganno la gran parte dei comuni, che come è noto sono privi di dirigenti, lanciatisi nella nuova pesatura delle posizioni organizzative.

Causa dell’equivoco è l’articolo 15 del Ccnl e, in particolare, il comma 2: “L’importo della retribuzione di posizione varia da un minimo di € 5.000 ad un massimo di € 16.000 annui lordi per tredici mensilità, sulla base della graduazione di ciascuna posizione organizzativa. Ciascun ente stabilisce la suddetta graduazione, sulla base di criteri predeterminati, che tengono conto della complessità nonché della rilevanza delle responsabilità amministrative e gestionali di ciascuna posizione organizzativa. Ai fini della graduazione delle suddette responsabilità, negli enti con dirigenza, acquistano rilievo anche l’ampiezza ed il contenuto delle eventuali funzioni delegate con attribuzione di poteri di firma di provvedimenti finali a rilevanza esterna, sulla base di quanto previsto dalle vigenti disposizioni di legge e di regolamento”.

Ad una lettura attenta della disposizione, non sfugge che essa non prevede proprio da nessuna parte l’obbligo di effettuare una nuova “pesatura”, attività per altro ivi definita “graduazione” delle posizioni organizzative.

Ciò vale in particolare appunto per gli enti senza dirigenza. Quelli nei quali, invece, sia presente la qualifica dirigenziale possono, in teoria, rivedere la graduazione, visto che l’articolo 15, comma 2, consente di modificare la retribuzione di posizione in funzione dell’assegnazione di deleghe dirigenziali.

Apriamo qui una parentesi. Meglio considerando questo specifico aspetto dell’articolo 15, comma 2, esso è da considerare inapplicabile. La norma, in sostanza, indica alle amministrazioni di considerare la delega di funzioni dirigenziali ai fini della determinazione del “peso” della posizione, ai fini del compenso, che può andare da un minimo di 5.000 euro ad un massimo di 16.000 euro. Ma, oggettivamente tale previsione è priva di fondamento. Infatti, le parti contraenti sono incorse in un errore evidente: considerare un elemento solo eventuale attinente alla materiale gestione, cioè la delega di funzioni, come componente della retribuzione di posizione, che è invece un emolumento volto a compensare il carico di responsabilità connesso in misura fissa e stabile all’incarico di posizione organizzativa.

La delega di funzioni dirigenziali, come del resto evidenzia lo stesso Ccnl, è sempre e solo eventuale. Poichè il peso delle posizioni va computato tenendo conto delle caratteristiche statiche e stabili dell’incarico, un elemento eventuale non può e non deve contribuire alla pesatura della retribuzione di posizione.

Semmai, la delega di funzioni potrebbe essere considerata ai fini della retribuzione di risultato. Infatti, se ai fini dello svolgimento delle attività gestionali svolte dalla posizione organizzativa, il dirigente ritenga opportuno attribuire una delega di funzioni, così da garantire il miglior perseguimento del risultato abbinato ad una maggiore responsabilizzazione del funzionario, allora la delega potrebbe con maggior coerenza di sistema essere valutata ai fini del premio della performance.

Del resto, la pesatura della retribuzione di posizione è destinata a durare nel tempo, come anche il connesso incarico, che può avere efficacia fino a tre anni negli enti con dirigenza e per 5 anni negli enti senza. Ma, il dirigente che incarica un funzionario nell’area delle posizioni organizzative non potrebbe mai conferire una delega di durata triennale. Infatti, ai sensi dell’articolo 17, comma 1-bis, del d.lgs 165/2001, la delega può essere conferita solo “per specifiche e comprovate ragioni di servizio” e “per un periodo di tempo determinato”. Considerare la delega come un elemento “strutturale” della pesatura di una posizione organizzativa, significherebbe, dunque, modificare l’istituto da eventuale in duraturo, in aperta violazione della legge.

Per queste ragioni, non possono condividersi le conclusioni tratte dall’Anci, che nel Quaderno dedicato proprio alle posizioni organizzative ritiene che l’articolo 15, comma 2, del Ccnl 21.5.2018 abbia come conseguenza “la possibile individuazione, nei regolamenti interni sull’organizzazione degli uffici e dei servizi, di figure professionali del tutto simili alla vice dirigenza, pur non introducendola formalmente come autonoma categoria di rapporto contrattuale”.

La vice dirigenza, prima istituita dalla riforma Frattini, è stata poi abolita per legge: non può certamente un Ccnl reintrodurla, né tanto meno costituire fonte di legittimazione di regolamenti interni che la disciplinino: anche detti regolamenti violerebbero la legge. Per altro, la disciplina del rapporto di lavoro, in quanto rientrante nel codice civile, appartiene in via esclusiva alla potestà legislativa dello Stato, quindi i regolamenti assolutamente non possono regolamentare la delega di funzioni come fosse una qualifica di vice dirigente; né la legge ha attribuito alla contrattazione collettiva alcun potere di regolamentare qualifiche di vice dirigente.

Allo stesso modo, non può essere condivisa la tesi sempre espressa dall’Anci secondo la quale il Ccnl consentirebbe, ancora col regolamento, di attribuire alle posizioni organizzative la funzione di supplenza o sostituzione del dirigente. Questa considerazione è frutto della confusione tra delega, che consiste nell’attribuzione al delegato di una competenza che diventa propria, e sostituzione, che consiste, invece, nel potere attribuito al sostituto di “insediarsi” temporaneamente come titolare vicario nell’ufficio del sostituito esercitando i poteri di quest’ultimo.

Chiusa questa parentesi, risulta chiaro sul piano meramente logico-matematico che se le retribuzioni di posizione delle PO in un ente fossero già ricomprese nella forcella tra 5.000 e 16.000 euro, detto ente non ha alcun obbligo o dovere di modificare la graduazione già esistente.

L’unica modifica obbligatoria all’assetto delle PO è quella che deriva dal comma 4 dell’articolo 15 del Ccnl, a mente del quale “Gli enti definiscono i criteri per la determinazione e per l’erogazione annuale della retribuzione di risultato delle posizioni organizzative, destinando a tale particolare voce retributiva una quota non inferiore al 15% delle risorse complessivamente finalizzate alla erogazione della retribuzione di posizione e di risultato di tutte le posizioni organizzative previste dal proprio ordinamento”.

E’ solo sulla retribuzione di risultato che occorre intervenire, modificando il sistema di valutazione, poiché occorre stabilire come ripartire le risorse (non inferiori al 15% della somma di quanto stanziato con riferimento al 2016 per posizione e risultato complessivamente) tra le PO in relazione ai punteggi ottenuti con la valutazione, una volta eliminata la previsione che assicurava ai funzionari di vertice una retribuzione di risultato compresa tra il 10% ed il 25% della retribuzione di posizione.

Ma è chiaro che agire sul sistema di valutazione per definire come si determina la retribuzione di risultato non ha nulla a che vedere con la graduazione delle retribuzioni di posizione o “pesatura”.

Dunque, si deve giungere ad una prima conclusione: l’operazione di modifica della graduazione delle retribuzioni di posizione, visto che non è obbligatoria, è solo facoltativa. Gli enti, quindi, non sono tenuti a realizzarla, ma ne hanno la semplice facoltà.

In apparenza, potrebbero porsi le condizioni perché un ente si senta spinto ed obbligato a modificare la graduazione delle posizioni.

Un primo caso potrebbe derivare dalle conseguenze dell’attuazione del comma 4 dell’articolo 15 del Ccnl: se quel dato ente, infatti, ha correttamente stanziato in bilancio le risorse per finanziare complessivamente retribuzioni di posizione e risultato, potrebbe ritrovarsi con maggiori somme a disposizione da destinare alla retribuzione di posizione.

Il corretto stanziamento in bilancio presuppone che quel dato ente, nel precedente sistema contrattuale, abbia calcolato le retribuzioni di posizione nel massimo possibile, cioè il 25% della posizione (trascuriamo i casi di convenzioni o di alte professionalità).

Poniamo il seguente esempio:

PO

 Posizione

risultato (max 25% della posizione)

 Pos. 1

 12.911,42

               3.227,86

 Pos. 2

 12.000,00

               3.000,00

 Pos. 3

 11.500,00

               2.875,00

 Pos. 4

 10.000,00

               2.500,00

 Pos. 5

   9.000,00

               2.250,00

 tot

 55.411,42

             13.852,86

Totale complessivo

             69.264,28

 

Se quell’ente decida di mantenere la spesa complessiva per retribuzione di risultato nella soglia minima contrattuale del 15% del totale, lo stanziamento per la retribuzione di posizione aumenta:

Risultato=15% di 69.264=

 10.389,64

Posizione= totale – Risultato=

 58.874,63

 

Dunque, invece di 55.411,42 euro, ne risulterebbero 58.874,63 euro per le retribuzioni di posizione.

L’ente si ritrova nella condizione di autofinanziare un incremento delle posizioni (ed una simmetrica riduzione del risultato. Ma anche in questo caso potrebbe non dover attivare nessuna nuova graduazione.

Basta, infatti, ricavare l’incidenza percentuale delle retribuzioni di posizione sul totale iniziale della somma che le finanzia:

Posizione 1*100/tot. Posizione

       23,30

 Pos. 2

       21,66

 Pos. 3

       20,75

 Pos. 4

       18,05

 Pos. 5

       16,24

 

A questo punto, applicando queste stesse percentuali alla nuova somma totale che finanzia le retribuzioni di posizione, queste crescono automaticamente:

Pos. 1

       23,30

 13.718,38

 Pos. 2

       21,66

 12.750,00

 Pos. 3

       20,75

 12.218,75

 Pos. 4

       18,05

 10.625,00

 Pos. 5

       16,24

   9.562,50

Totale

 

 58.874,63

 

Come si nota, la maggiore disponibilità di risorse consente di rivedere tutte le retribuzioni di posizione in aumento, senza alcuna nuova loro graduazione, visto che restano intatte le incidenze percentuali di ciascuna di esse con la somma complessiva disponibile.

Quanto qui visto non è detto risulti possibile: se, infatti, l’ente non abbia, nel passato, stanziato in bilancio il massimo potenziale possibile di spesa per la retribuzione di posizione, si potrebbe ritrovare nella situazione inversa: cioè con risorse disponibili per le retribuzioni di posizione inferiori rispetto alla base di partenza (il 2016).

Poniamo, adesso, però, che l’ente decida di “investire” le maggiori risorse disponibili per retribuzioni di posizione, puntando all’incremento, almeno di quella di vertice, fino al nuovo massimo possibile di 16.000 euro.

Nel ricalcolo consentito dal contratto della suddivisione delle risorse destinate alla posizione e quelle riservate al risultato, per l’ente sono disponibili euro 3.463,21.

Banalmente, allora, tale ente potrebbe rivedere le retribuzioni di posizione in questo modo:

Pos. 1

 16.000,00

 Pos. 2

 12.374,63

 Pos. 3

 11.500,00

 Pos. 4

 10.000,00

 Pos. 5

   9.000,00

 tot

 58.874,00

 

Anche in questo caso, senza pesare ex novo nulla, l’ente potrebbe semplicemente investire le maggiori somme disponibili per le posizioni di fascia più elevata, lasciando inalterate le altre.

Altrimenti, invece, l’ente potrebbe decidere di avvalersi di quanto prevede l’articolo 1-bis, comma 2, del d.l. 135/2018, convertito in legge 4/2019, ai sensi del quale “per i comuni privi di posizioni dirigenziali, il limite previsto dall’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, non si applica al trattamento accessorio dei titolari di posizione organizzativa di cui agli articoli 13 e seguenti del contratto collettivo nazionale di lavoro (CCLN) relativo al personale del comparto funzioni locali – Triennio 2016-2018, limitatamente al differenziale tra gli importi delle retribuzioni di posizione e di risultato già attribuiti alla data di entrata in vigore del predetto CCNL e l’eventuale maggiore valore delle medesime retribuzioni successivamente stabilito dagli enti ai sensi dell’articolo 15, commi 2 e 3, del medesimo CCNL, attribuito a valere sui risparmi conseguenti all’utilizzo parziale delle risorse che possono essere destinate alle assunzioni di personale a tempo indeterminato che sono contestualmente ridotte del corrispondente valore finanziario”.

Torniamo alle ipotesi iniziali:

Fondo “storico” (somma posizione e risultato)

 69.264,28

 di cui max risultato 25%

 13.852,86

 di cui posizione

 55.411,42

   

 Nuovo sistema

 

 Risultato=15% di 69.264=

 10.389,64

 Posizione= totale – Risultato=

 58.874,63

 

Immaginiamo che l’ente, applicando l’articolo 11-bis risparmi dalle risorse potenzialmente destinabili alle assunzioni 12.000 euro. Il fondo nel suo complesso aumenterebbe da euro 69.264,28 ad euro 81.264,28, il cui 15%, da destinare al risultato è euro 12.189,64; per le retribuzioni di risultato, quindi restano euro 69.074,64.

A questo punto, l’ente potrebbe rivedere in aumento l’indennità di posizione più elevata, portandola a 16.000 euro ed incrementare tutte le altre, mantenendo tra loro il rapporto proporzionale reciproco preesistente, prima di incrementare il capitolo di bilancio:

rapporto tra posizioni

 

Pos2*100/Pos1

92,94

Pos3*100/Pos1

89,07

Pos4*100/Pos1

77,45

Pos5*100/Pos1

69,71

 

Rapportando queste proporzioni alla nuova posizione di euro 16.000, abbiamo quanto segue:

16000

     

Pos2*100/Pos1

92,94

14.870,56

Pos3*100/Pos1

89,07

14.250,95

Pos4*100/Pos1

77,45

12.392,13

Pos5*100/Pos1

69,71

11.152,92

   

tot

68.666,55

 

La nuova dotazione del capitolo copre, dunque, le nuove retribuzioni di posizione, mantenendo tra loro il “passo” differenziale preesistente. E, anche in questo caso non è necessario modificare la graduazione. Fermo restando che l’ente potrebbe, invece, autonomamente decidere di modificarla, ma con una decisione, si ribadisce, del tutto autonoma e facoltativa.

Così agendo, cioè applicando solo criteri di logica matematica, non si pone nemmeno il problema di individuare quale possa essere l’organo competente a determinare nuovi importi di retribuzione di posizione: basta solo che i soggetti competenti ad aggiornare il sistema di valutazione (che si ricorda non essere un regolamento, ma un atto organizzativo di diritto privato, come tale approvabile non dalla giunta, ma dal vertice organizzativo definito dall’ente: il direttore generale, il segretario comunale o perché un collegio ristretto dei vertici gestionali) stabiliscano di rivedere gli importi utilizzando le maggiori somme disponibili, mantenendo intatti i rapporti proporzionali tra le “fasce”.

Se, invece, l’ente per qualsiasi ragione ritenga di voler realizzare una nuova pesatura, allora invece di partire dalle retribuzioni di posizione esistenti, deve partire da nuovi criteri per crearle da zero. Ad esempio, stabilendo che da un certo numero minimo di dipendenti ad un certo numero massimo, con un certa quantità minima fino ad una certa quantità massima di impegni di spesa e, ancora, con una graduazione minima fino ad una graduazione massima di responsabilità amministrative potenziali, le retribuzioni di posizione siano appunto graduate per fasce distinte, nei limiti dello stanziamento disponibile.

Questo tipo di graduazione fissa criteri generali e astratti. La combinazione di questi criteri per stabilire che una certa PO nell’ente sia da collocare entro una certa fascia e ricevere conseguentemente una determinata retribuzione di posizione graduata sulla base dei criteri fissati, è, in ogni caso, attività di natura manifestamente tecnica e gestionale.

Non spetta, quindi, certamente alla giunta stabilire nel concreto che ad una certa PO spetti una certa retribuzione in funzione del sistema di graduazione. Occorre ricordare che la giunta, quale organo di governo, pone in essere solo ed esclusivamente gli atti concernenti l’indirizzo politico-amministrativo, nel quale la determinazione della retribuzione delle PO manifestamente non rientra. Semmai, questa funzione – si ribadisce, strettamente tecnica – è visibilmente riconducibile alle “determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro” che ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del d.lgs 165/2001 sono rimesse alla competenza esclusiva dei dirigenti nella qualità di privati datori di lavoro.

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