23/07/2019 – Abbandono di rifiuti: qual è la responsabilità del proprietario dell’area?

Abbandono di rifiuti: qual è la responsabilità del proprietario dell’area?

di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics
Il Consiglio di Stato, nella sentenza in esame, si sofferma sulla corretta esegesi della norma di cui all’art. 192, comma 3, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 secondo cui il Sindaco dispone, con ordinanza, le operazioni necessarie alla rimozione dei rifiuti (recupero o smaltimento) e il ripristino dello stato dei luoghi.
Tre sono i principi di diritto sottesi alla disposizione de qua che possono essere così sintetizzati:
1) è tenuto a rimuovere i rifiuti il responsabile dell’abbandono o del deposito degli stessi;
2) in via solidale a tanto è tenuto il proprietario dell’area contaminata, o chi ne abbia a qualunque titolo la disponibilità, ove ad esso sia imputabile il fatto dell’abbandono a titolo di dolo o colpa;
3) non sussiste alcuna ipotesi di responsabilità oggettiva a carico del proprietario, o di coloro che a qualunque titolo abbiano la disponibilità dell’area interessata dall’abbandono dei rifiuti.
La condanna del proprietario del suolo su cui si trovano i rifiuti a tali adempimenti non rappresenta quindi una ipotesi di responsabilità oggettiva necessitando del previo accertamento della sua responsabilità.
Occorre quindi la prova (pur presuntiva) del requisito della colpa postulato in capo al proprietario-gestore dell’area che può ben consistere nell’omissione di cautele ed accorgimenti atti ad evitare il deposito di rifiuti da parte di terzi (Cass. civ., sez. un., 25 febbraio 2009, n. 4472Cons. Stato, sez. V, 25 febbraio 2016, n. 765Cons. Stato, sez. V, 18 dicembre 2015, n. 5757).
Peraltro, mentre l’art. 7L. n. 241 del 1990, con previsione di carattere generale, prescrive la doverosa comunicazione dell’avvio del procedimento agli interessati, l’art. 192, comma 3, in esame, nella specifica materia ambientale, prescrive che i controlli svolti dall’Amministrazione riguardo all’abbandono di rifiuti debbano essere effettuati in contraddittorio con i soggetti interessati, con la conseguente osservanza delle regole che garantiscono la partecipazione dell’interessato all’istruttoria amministrativa (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 3 marzo 2014 n. 1294T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 17 settembre 2013, n. 8302T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 14 gennaio 2013, n. 93 e da ultimo T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 15 gennaio 2019, n. 211).
Negli stessi termini si pone anche la giurisprudenza penale secondo cui «in materia di rifiuti, non è configurabile in forma omissiva il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006art. 256, comma 2, nei confronti del proprietario di un terreno sul quale terzi abbiano abbandonato o depositato rifiuti in modo incontrollato, anche nel caso in cui non si attivi per la rimozione dei rifiuti, poichè tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell’evento lesivo, che il proprietario può assumere solo ove compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti (Cass. pen., sez. III, n. 50997 del 7 ottobre 2015, Cucinella, Rv. 266030; Cass. pen., sez. III, n. 40528 del 10 giugno 2014, Cantoni Rv. 260754)» (Cass. pen., sez. III, 26 settembre 2016, n. 39797).
Si è poi specificato che «il principio comunitario del “chi inquina paga”, oggi desumibile dall’art. 191, par. 2, del TFUE, la cui imprescindibilità è stata recentemente affermata dalla Corte di Giustizia UE, 4 marzo 2015, n. 534, comporta una preclusione alla normativa interna di imporre ai singoli costi per lo smaltimento dei rifiuti che non si fondino su di un ragionevole legame con la produzione dei rifiuti medesimi» (Cons. Stato, sez. V, 7 giugno 2017, n. 2724).
Il soggetto individuato come responsabile, da parte sua, non deve limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi, ma deve provare e documentare con pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altro soggetto, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi la condotta causativa dell’inquinamento.
In particolare, la norma (“esimente”) di cui all’art. 192, comma 3, D.Lgs. n. 152 del 2006 coniuga due principi: quello di responsabilità, sotteso al più generale precetto di derivazione comunitaria secondo il quale (solo) “chi inquina paga” e quello civilistico in punto di accessione (artt. 935937 c.c.) per cui presupposto della detta disciplina giuridica è che le cose mobili al compimento dell’incorporazione non siano prive di proprietario, cioè non siano res nullius o divenute tali per abbandono.
In conclusione non si può affermare che il proprietario del fondo divenga, per accessione, proprietario dei rifiuti che vengano abbandonati sul proprio suolo (e quindi, sia tenuto alla custodia dei medesimi), e, a cascata, destinatario degli effetti inquinanti della omessa rimozione.
Sul tema in esame si veda ancora Cons. Stato, sez. VI, 28 dicembre 2017, n. 6138 secondo cui: «Sul problema del rapporto con i principi comunitari di precauzione, di prevenzione e di correzione prioritaria alla fonte dei danni causati all’ambiente, e sull’ammissibilità dell’imputazione al proprietario di una responsabilità di tipo oggettivo in caso di inquinamento della sua area – per la relazione speciale con la cosa immobile strumentale all’esercizio della sua attività, ed anche in ragione degli oneri di custodia e di particolare diligenza esigibili nei confronti del titolare di beni suscettibili di arrecare danno ad interessi particolarmente sensibili – l’Adunanza plenaria del Cons. Stato, con ordinanza 25 settembre 2013, n. 21, ha rimesso alla Corte di Giustizia UE uno specifico quesito.
Con sentenza del 4 marzo 2015 (resa nella causa C-534/13), la Corte di Lussemburgo ha confermato il proprio orientamento (già espresso nella sentenza 9 marzo 2010, C-378/08), non diverso da quello preponderante emerso nell’ordinamento italiano e richiamato dalla stessa ordinanza di rinvio dell’Adunanza plenaria, secondo cui “la direttiva n. 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale (…) la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi».
Si vedano ancora i seguenti arresti della giurisprudenza:
– «Il curatore fallimentare non può essere destinatario, con riferimento ai beni del soggetto fallito, del provvedimento di cui all’art. 192D.Lgs. n. 152 del 2006 adottato nei confronti del proprietario dell’area interessata dall’accumulo di rifiuti. Per onerare il curatore della rimozione dei rifiuti, è infatti necessario che l’amministrazione riscontri la sussistenza di una responsabilità “univoca, autonoma e chiara” del suddetto organo fallimentare nell’illecito abbandono degli stessi (in tal senso, ex pluribus: T.A.R. Basilicata, Potenza, Sez. I, 4 aprile 2017 n. 293; T.A.R. Liguria, Genova, Sez. II, 27 maggio 2010 n. 3543)» (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 16 aprile 2019, n. 611);
– «Come precisato dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. IV, 25 luglio 2017, n. 3672) “in base al diritto comunitario (art. 14, comma 1, Dir. n. 2008/98/CE), i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti, e questa regola costituisce un’applicazione del principio “chi inquina paga”; in definitiva, la detenzione dei rifiuti fa sorgere automaticamente un’obbligazione “comunitaria” avente un duplice contenuto: (a) il divieto di abbandonare i rifiuti; (b) l’obbligo di smaltire gli stessi”. E’ stato peraltro che “se per effetto di categorie giuridiche interne, questa obbligazione non fosse eseguibile, l’effetto utile delle norme comunitarie sarebbe vanificato; solo chi non è detentore dei rifiuti, come il proprietario incolpevole del terreno su cui gli stessi siano collocati, può invocare l’esimente interna dell’art. 192, comma 3, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152“» (T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 17 gennaio 2019, n. 47).

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