08/08/2019 – Diritti di rogito dei Segretari comunali: la Corte dei conti Liguria ha rimesso una nuova questione alla Sezione Autonomie

Diritti di rogito dei Segretari comunali: la Corte dei conti Liguria ha rimesso una nuova questione alla Sezione Autonomie

 
La Sezione in riscontro all’istanza di parere, articolata in quattro distinti dubbi interpretativi, formulata dal Comune di Propata (GE), ritiene, in relazione, rispettivamente, al terzo ed al quarto quesito, che la locuzione “salario in godimento”, che, ai sensi dell’art. 10, comma 2-bis, del d.l. n. 90 del 2014, convertito dalla legge n. 114 s.a., costituisce il riferimento della percentuale del quinto, integrante il tetto massimo annuale all’erogazione di diritti di rogito ai segretari comunali, vada rapportata allo “stipendio effettivamente percepito” (e non invece alla “retribuzione annua teoricamente spettante”); ai fini del computo del “quinto dello stipendio in godimento” si cumulino gli emolumenti percepiti nei comuni (o altri enti locali) ove il segretario presta servizio, da titolare, come reggente o a scavalco.Delibera, sospendendo il pronunciamento sul primo e secondo quesito, di sottoporre al Presidente della Corte dei conti, la seguente questione di massima, finalizzata all’adozione di una pronuncia di orientamento generale: se le somme destinate al pagamento dei diritti di rogito dei segretari comunali devono intendersi al lordo di tutti gli oneri accessori connessi all’erogazione, ivi compresi quelli a carico degli enti (in particolare, IRAP e contributi fiscali e previdenziali) ovvero se gli oneri fiscali e contributivi connessi al pagamento dell’emolumento in parola vadano ripartiti, tra ente locale e segretario comunale, secondo le regole ordinarie previste dalla vigente normativa fiscale e previdenziale.

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SEGUE Corte dei conti Liguria, deliberazione n. 74/2019/QMIG
 
DELIBERAZIONE
Vista la lettera n. 37 del 11 aprile 2019, assunta al protocollo della Sezione di controllo della Corte dei conti per la Liguria in pari data, con la quale il Sindaco del Comune di Propata (GE) ha rivolto alla Sezione una richiesta di parere ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131;
Vista l’ordinanza con la quale il Presidente ha convocato la Sezione per la camera di consiglio del 9 maggio 2019 per deliberare sulla predetta richiesta;
Udito in camera di consiglio il magistrato relatore, dott. Donato Centrone
PREMESSO IN FATTO
Il Sindaco del Comune di Propata ha chiesto alla Sezione un parere in merito alla corretta imputazione degli oneri contributivi e fiscali sui diritti di rogito erogabili ai segretari comunali, nonché sulla determinazione dei limiti massimi annui.
In particolare, il Sindaco istante, anche in ragione di un, prospettato, contrasto interpretativo rilevato in alcune deliberazioni di Sezioni regionali di controllo (SRC Veneto, deliberazione n. 400/2018/PAR; SRC Lombardia, deliberazione n. 366/2018/PAR, SRC Emilia-Romagna, deliberazione n. 133/2018/PAR), ha posto i seguenti quattro quesiti, inerenti alla corretta interpretazione dell’art. 10 del d.l. n. 90 del 2014, convertito dalla legge n. 114 s.a.:
1) se le somme destinate al pagamento, a favore del segretario comunale, del predetto emolumento devono intendersi al lordo di tutti gli oneri accessori, ivi compresi quelli che la legge pone a carico dell’ente locale;
2) se sia corretto ripartire, tra comune e segretario, gli oneri riflessi sulle somme da erogare a titolo di diritti di rogito, secondo le regole ordinarie, non sussistendo alcuna previsione normativa espressa che consenta di derogarvi;
3) se il concetto di salario in godimento implica che il calcolo vada rapportato allo stipendio effettivamente percepito o, invece, alla retribuzione annua spettante, senza raffrontarlo all’effettivo periodo di servizio;
4) se, ai fini del computo del quinto dello stipendio, si cumulano gli emolumenti percepiti, a titolo di diritto di rogito, in comuni diversi, ove il segretario, in alcuni, è titolare e, in altri, reggente a scavalco.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La richiesta di parere risulta ammissibile sotto il profilo soggettivo e procedurale, in quanto sottoscritta dall’organo legittimato a rappresentare l’Ente e trasmessa tramite il Consiglio delle Autonomie locali, nel rispetto delle formalità previste dall’art. 7, comma 8, della legge n. 131 del 2003.
Sotto il profilo oggettivo, la Sezione osserva che la questione posta, nei suoi caratteri generali, attiene alla materia della contabilità pubblica, in quanto relativa all’interpretazione di una norma di finanza pubblica. La Corte dei conti, con diverse deliberazioni, sia della Sezione delle Autonomie (n. 5/AUT/2006; n. 3/SEZAUT/2014/QMIG) sia delle Sezioni riunite in sede di controllo (n. 54/CONTR/2010), ha indicato il perimetro della funzione consultiva sulla materia della “contabilità pubblica”, precisando che la stessa coincide con il sistema di norme e principi che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici, senza che possa assurgere a funzione consultiva di carattere generale.
Merito
Appare, preliminarmente, opportuno, riportare, per comodità espositiva, l’art. 10 del d.l. n. 90 del 2014, convertito dalla legge n. 114 s.a., oggetto dei dubbi interpretativi posti dal Comune istante:
1. L’articolo 41, quarto comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312, è abrogato.
2. L’articolo 30, secondo comma, della legge 15 novembre 1973, n. 734, è sostituito con il seguente: “Il provento annuale dei diritti di segreteria è attribuito integralmente al comune o alla provincia”.
2-bis. Negli enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i segretari comunali che non hanno qualifica dirigenziale, una quota del provento annuale spettante al comune ai sensi dell’articolo 30, secondo comma, della legge 15 novembre 1973, n. 734, come sostituito dal comma 2 del presente articolo, per gli atti di cui ai numeri 1, 2, 3, 4 e 5 della tabella D allegata alla legge 8 giugno 1962, n. 604, e successive modificazioni, è attribuita al segretario comunale rogantein misura non superiore a un quinto dello stipendio in godimento.
2-ter. Le norme di cui al presente articolo non si applicano per le quote già maturate alla data di entrata in vigore del presente decreto.
2-quater. All’articolo 97, comma 4, lettera c), del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, le parole: “può rogare tutti i contratti nei quali l’ente è parte ed autenticare” sono sostituite dalle seguenti: “roga, su richiesta dell’ente, i contratti nei quali l’ente è parte e autentica”.
Quesiti 1 e 2
Con il primo quesito, il Comune istante chiede se le somme destinate al pagamento della quota dei diritti di rogito, spettanti, sulla base della norma di legge sopra esposta, al segretario comunale, debbano intendersi al lordo di tutti gli oneri accessori (fiscali e contributivi) connessi all’erogazione, ivi compresi quelli a carico dell’ente locale.
Con il secondo, strettamente connesso al primo, chiede se sia corretto ripartire, tra comune erogante e segretario percipiente, gli oneri riflessi sulle somme da corrispondere a titolo di diritti di rogito secondo le regole ordinarie, non sussistendo alcuna previsione normativa espressa che consenta di derogarvi.
La Sezione delle Autonomie, nella deliberazione n. 21/2015/QMIG, scrutinando la questione della corretta determinazione del predetto emolumento, alla luce della novella recata dal comma 2-bis del citato art. 10 del d.l. n. 90 del 2014 (a mente del quale “negli enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i segretari comunali che non hanno la qualifica dirigenzialeuna quota del provento annuale spettante al comune ai sensi dell’art. 30, secondo comma, della legge 15 novembre 1973, n. 734 (….) è attribuita al segretario comunale rogante, in misura non superiore a un quinto dello stipendio in godimento), ha avuto modo di pronunciarsi, incidentalmente, anche sul soggetto debitore dell’IRAP e degli oneri contributivi e previdenziali.
La Sezione regionale di controllo per la Regione siciliana, con deliberazione n. 194/2014, in relazione allo specifico caso in cui gli importi riscossi da un comune, nel corso dell’esercizio, “non eccedano i limiti della quota del quinto della retribuzione in godimento” del segretario, aveva ritenuto corretto attribuire integralmente i proventi in esame. Invece, la Sezione regionale di controllo per la Lombardia, con deliberazione n. 34/2015/QMIG, aveva rimesso al Presidente della Corte dei conti (ex art. 17, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito dalla legge n. 102 s.a., e art. 6, comma 4, del decreto-legge n. 174 del 2012, convertito dalla legge n. 213 s.a.) la questione della possibilità, per un comune, di deliberare in autonomia la percentuale dei diritti introitati da corrispondere al segretario, anche al fine di poter scorporare, dagli emolumenti in parola, i c.d. oneri riflessi e quelli fiscali (oneri previdenziali ed IRAP, che, come noto, vanno versati in percentuale sul compenso corrisposto). In tal modo, era stato argomentato, non si producono effetti pregiudizievoli a carico del bilancio dell’ente locale, atteso che la somma incassata varrebbe a coprire, oltre che al compenso del segretario rogante, anche gli oneri accessori (analogamente, peraltro, a quanto avviene per altri compensi spettanti, in base a specifiche norme di legge, a dipendenti pubblici, come, a titolo esemplificativo, i c.d. incentivi tecnici, ex art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016, o i compensi all’avvocatura interna, ex art. 9 del citato d.l. n. 90 del 2014).
La Sezione delle Autonomie, nella deliberazione n. 21/2015/QMIG, ha affermato che “in difetto di specifica regolamentazione nell’ambito del CCNL di categoria successivo alla novella normativa i predetti proventi sono attribuiti integralmente ai segretari comunali, laddove gli importi riscossi dal comune, nel corso dell’esercizio, non eccedano i limiti della quota del quinto della retribuzione in godimento del segretario”.
In motivazione, inoltre, per quanto maggiormente interessa in questa sede, era stato evidenziato come, a fondare la diversa opzione interpretativa, non può valere la considerazione che, in difetto del predetto potere regolamentare e, conseguentemente, della possibilità di determinare autonomamente la quota di proventi da attribuire al segretario, l’ente locale dovrebbe sostenere gli oneri previdenziali e fiscali prescritti dalla legge, posto che “le somme destinate al pagamento dell’emolumento in questione devono intendersi al lordo di tutti gli oneri accessori connessi all’erogazione, ivi compresi quelli a carico degli enti”. Tale conclusione, ad avviso della Sezione delle Autonomie, oltre ad essere in linea con il regime giuridico che caratterizza altri compensi incentivanti, sarebbe coerente con la ratio sottesa al complesso delle disposizioni che hanno modificato la disciplina dei diritti di rogito. Queste ultime, infatti, da un lato, hanno attribuito l’integralità del gettito all’ente locale, mentre, dall’altro, hanno introdotto specifica ipotesi derogatoria, dalla cui applicazione non possono derivare maggiori spese.
Dopo l’affermazione degli esposti principi di diritto, di recente, le Sezioni regionali di controllo si sono occupate più volte della problematica in parola, anche sulla scorta di divergenti pronunce assunte dalla magistratura ordinaria (che hanno avuto l’effetto di indurre gli enti locali interessati a chiedere nuovi pareri in merito).
In particolare, prima la Sezione regionale di controllo per l’Emilia-Romagna, con la deliberazione n. 133/2018/PAR e, poco dopo, la Sezione regionale per la Lombardia, con la deliberazione n. 366/2018/PAR, nonché, da ultimo, la Sezione regionale di controllo per la Campania, con la deliberazione n. 95/2019/PAR, hanno ribadito l’orientamento assunto dalla Sezione delle Autonomie nella pronuncia nomofilattica sopra indicata (mentre analoghe richieste di parere, per come in concreto formulate, sono state dichiarate inammissibile dalla scrivente Sezione regionale di controllo, con la deliberazione n. 28/2019/PAR, nonché dalla Sezione regionale di controllo per la Puglia, con la deliberazione n. 158/2018/PAR).
In particolare, la Sezione Lombardia ha sottolineato come il comma 2-bis dell’art. 10 del decreto-legge n. 90 del 2014 vada letto, in chiave sistematica, con il precedente comma 2, che, sostituendo l’articolo 30, comma 2, della legge 15 novembre 1973, n. 734, ha statuito che “il provento annuale dei diritti di segreteria è attribuito integralmente al comune o alla provincia”. Il ridetto comma 2-bis fa espresso riferimento al termine “quota” del provento annuale spettante al comune, locuzione da cui la ridetta Sezione deduce che le somme relative al pagamento del diritto di rogito vadano intese al lordo degli oneri accessori. La divergente giurisprudenza dei giudici del lavoro, ad oggi esclusivamente di merito, non è stata ritenuta sufficiente a mutare l’orientamento interpretativo adottato, salvo imporre all’ente locale, nell’ipotesi di potenziali soccombenze in giudizio, un adeguato accantonamento al fondo rischi (in termini, la deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Toscana n. 6/2018).
Un differente orientamento, invece, è stato adottato, sulla base di ampi e pertinenti richiami normativi e giurisprudenziali, dalla Sezione regionale di controllo per il Veneto (deliberazione n. 400/2018/PAR). Quest’ultima ha ricordato come l’IRAP sia stata istituita dalla legge n. 446 del 1997, che, all’art. 2, comma 1, prevede espressamente che “presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. L’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta”. Il successivo articolo 3 precisa che sono “soggetti passivi dell’imposta coloro che esercitano una o più delle attività di cui all’articolo 2” e, pertanto, società, soggetti esercenti arti e professioni, nonché le amministrazioni pubbliche, non certo i dipendenti pubblici (e, fra questi, i segretari comunali). L’art. 4 della predetta legge, inoltre, statuisce che “l’imposta si applica sul valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata nel territorio della regione”. Presupposto dell’imposizione è, pertanto, lo svolgimento di un’attività autonoma organizzata, diretta alla produzione e allo scambio di beni e servizi, e che soggetto passivo sia, fra gli altri, un ente locale (o altra amministrazione pubblica).
Tali conclusioni sono state rafforzate anche da alcune pronunce della Corte costituzionale, che, per esempio, con la sentenza n. 156/2001, scrutinando i presupposti per l’applicazione di detta imposta, ha sottolineato come indice della capacità contributiva non sia il reddito delle persone fisiche, ma il valore aggiunto prodotto da attività organizzate (la deliberazione della Sezione Veneto richiama, in proposito, anche l’Agenzia delle entrate, risoluzione n. 327/E del 14 novembre 2007, la Corte di cassazione, sentenze n. 3674, 3676 e 3677/2007, anche in Sezioni Unite, sentenza n. 12111/2009).
La Corte costituzionale ha sottolineato, inoltre, l’irrilevanza, ai fini della valutazione della conformità dell’imposta al principio di capacità contributiva, della “mancata previsione del diritto di rivalsa, da parte del soggetto passivo dell’imposta stessa nei confronti di coloro cui il valore aggiunto prodotto è, pro quota, riferibile (e cioè i lavoratori ed i finanziatori)”. L’ente debitore potrà solo trasferire l’onere economico sul prezzo dei beni o servizi prodotti ovvero recuperarlo attraverso opportune scelte organizzative.
In altri termini, il presupposto impositivo dell’IRAP si realizza, fra gli altri, in capo all’ente/amministrazione che eroga remunerazioni a titolo di lavoro dipendente. Il predetto onere fiscale non può gravare, invece, sul medesimo lavoratore.
Tale argomentazione è stata applicata dalla giurisprudenza ordinaria anche per i diritti di rogito. Il Tribunale di Parma, Sezione lavoro, con sentenza n. 250/2017, ha espressamente previsto che l’IRAP non può “essere per legge trasferita come onere tributario a carico del dipendente, sottraendola dal quantum dovuto per i diritti di segreteria spettanti all’odierna ricorrente”.
La Sezione Veneto ha, inoltre, evidenziato come l’IRAP non possa rientrare nella categoria degli “oneri riflessi” a carico dell’ente locale, ma tra quelli “diretti”. Sul punto, anche la Sezione regionale per il Piemonte, con delibera n. 48/2010, senza pretesa di definire in astratto il contenuto di una espressione non tecnica, qual è quella di “oneri riflessi”, ha affermato che “il concetto evocato dall’aggettivo “riflessi” qualificativo degli “oneri” posti a carico dell’amministrazione sembrerebbe contrapporsi agli oneri “diretti” a carico dell’amministrazione stessa, tra i quali va certamente ricompresa l’IRAP”(in termini, Corte conti, SRC Emilia Romagna, parere n. 34/2007; SRC Veneto, parere n. 49/2008; nonché Agenzia delle Entrate, risoluzione n. 123/E del 2 aprile 2008).
Anche i giudici amministrativi hanno avuto modo di esprimersi in tal senso. La sentenza del TAR Sardegna n. 493/2016 statuisce che “l’onere fiscale inerente l’IRAP non può gravare sul lavoratore dipendente ma unicamente sull’ente datore di lavoro. […] il carico d’imposta non può essere trasferito unilateralmente da un soggetto all’altro e meno che meno con una norma regolamentare che determinerebbe una impropria traslazione dell’imposta comportante, tra l’altro, la trasformazione della stessa in imposta sul reddito”.
In conclusione, la Sezione regionale di controllo per il Veneto ha ritenuto che, al fine di calcolarne il netto da erogare in caso di corresponsione di emolumenti a titolo di diritti di rogito ad un segretario comunale, è necessario applicare le norme che disciplinano, in via generale, gli oneri contributivi e fiscali.
Per quanto concerne la ritenuta, e relativo versamento, dei contributi previdenziali (cassa dipendenti enti locali, CPDEL), la Sezione Veneto, nella citata deliberazione n. 400/2018/PAR, ha ricordato come l’art. 2, comma 2, della legge n. 335 del 1995 disciplini, in conformità all’art. 2115 cod. civ., le trattenute contributive a carico dei dipendenti pubblici, attribuendone una quota a carico del datore di lavoro e una a carico del lavoratore. Detta disposizione, peraltro, costituisce una norma c.d. “rinforzata”. L’art. 1, comma 2, prevede, infatti, che “Le disposizioni della presente legge costituiscono principi fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica. Le successive leggi della Repubblica non possono introdurre eccezioni o deroghe alla presente legge se non mediante espresse modificazioni delle sue disposizioni”.
Nella disciplina dei diritti di rogito, non si rinviene, invece, alcuna disposizione di legge, né contrattuale, di modifica della sopra esposta disposizione.
L’onere contributivo CPDEL (cassa confluita nell’INPDAP, oggi accorpato all’INPS), come quello affluente ad altre casse previdenziali, è, infatti, posto dalla legge parzialmente a carico del dipendente e, in altra parte, a carico dell’ente datore di lavoro.
La sentenza della Corte costituzionale n. 33/2009, nel ricondurre i contributi previdenziali a carico delle amministrazioni fra gli “oneri riflessi”, contiene alcune affermazioni utili ai fini dell’odierno dubbi interpretativo. Nello specifico, la Consulta era stata chiamata a vagliare la legittimità di deroghe all’art. 2115 cod. civ. ed alla legge n. 335 del 1995, giungendo alla conclusione della loro costituzionalità in considerazione, da un lato, della mancanza di contrari precetti nella Carta fondamentale e, dall’altro, dalla presenza di una disciplina derogatoria avente rango legislativo. In altri termini, il Giudice delle leggi ha ritenuto che la previsione di porre a carico esclusivo di dipendenti alcuni oneri contributivi, in deroga al principio generale dell’art. 2115 cod. civ., non contrasti con gli artt. 2, 3 e 39 della Carta, stante l’assenza di alcun principio costituzionale in base al quale l’onere contributivo deve essere necessariamente suddiviso tra datore di lavoro e lavoratore.
Dalle argomentazioni sopra riportate ne consegue l’impossibilità, nel caso dei diritti di rogito, di addebitare integralmente gli oneri contributivi al segretario comunale, in quanto non esistono norme di legge derogatorie (con conseguente applicazione di quelle generali, in punto di ripartizione fra datore di lavoro e lavoratore).
La Sezione Veneto richiama, in proposito, la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio n. 446 del 13 novembre 2017, che ha statuito, proprio nel caso dei diritti di rogito, che gli oneri contributivi devono essere ripartiti tra ente e segretario comunale, ciascuno assumendo a proprio carico la quota di pertinenza, non rinvenendosi nell’ordinamento, una norma che deroghi al sistema ordinario di riparto.
In precedenza, anche la Sezione regionale di controllo per la Sardegna, con la deliberazione n. 27/2012, aveva evidenziato che, per le retribuzioni dei dipendenti pubblici (e, allo stesso modo, per i diritti di rogito dei segretari comunali), in forza del citato art. 2, comma 2, della legge n. 335 del 1995, va applicata la ripartizione degli oneri contributivi secondo le percentuali ivi indicate. Anche quest’ultima ha sottolineato come tale disposizione non sia derogabile dal legislatore se non in forma espressa, trattandosi di norma ad efficacia rinforzata (si rinvia al già esposto art. 1, comma 2, della legge n. 335 del 1995).
Pertanto, la Sezione regionale di controllo per il Veneto, alla luce delle argomentazioni ora esposte, conclude nel senso che sia l’IRAP che i contributi previdenziali, anche in caso di corresponsione di diritti di rogito ai segretari comunali, vadano corrisposti da parte del soggetto su cui grava, secondo le regole legislative ordinarie, l’onere fiscale (l’ente locale) e contributivo (datore di lavoro o dipendente, secondo le percentuali prestabilite).
La scrivente Sezione regionale di controllo, pur condividendo l’orientamento palesato dalla Sezione regionale di controllo per il Veneto, ritiene opportuno, in ragione della presenza di divergenti opinioni interpretative (si rimanda, per esempio, alle citate deliberazioni delle Sezioni Lombardia n. 366/2018/PAR ed Emilia Romagna n. 133/2018/PAR), peraltro aderenti ad affermazioni contenute nella motivazione della deliberazione della Sezione delle Autonomie n. 21/2015/QMIG, richiedere un pronunciamento di orientamento generale ai sensi ai sensi dell’art. 17, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito dalla legge n. 102 s.a., e dell’art. 6, comma 4, del decreto-legge n. 174 del 2012, convertito dalla legge n. 213 s.a..
Quesito n. 3
Con il terzo quesito, il Comune chiede se la locuzione “salario in godimento” (che, ai sensi dell’art. 10, comma 2-bis, del d.l. n. 90 del 2014, rappresenta il riferimento della percentuale del quinto, costituente il tetto massimo annuale all’erogazione di diritti di rogito ai segretari) sia integrato dallo “stipendio effettivamente percepito” o, invece, dalla “retribuzione annua spettante” (senza raffronto con l’effettivo periodo di servizio).
Sul punto, sempre la Sezione regionale di controllo per il Veneto, nella citata deliberazione n. 400/2018/PAR ha evidenziato come, per l’interpretazione della locuzione in esame, si sia registrato un contrasto interpretativo, vertente sulla seguente alternativa: se si debba fare riferimento allo “stipendio annuo tabellare teorico” (a prescindere dall’effettivo servizio espletato) ovvero se, al contrario, il tabellare annuo debba essere rapportato al periodo di effettivo servizio (“stipendio percepito”). Le due tesi sono sostenute, da un lato, dalla giurisprudenza contabile, che ha ritenuto applicabile il criterio del c.d. “stipendio percepito” e, dall’altro, da quella civile, favorevole al criterio del c.d. “stipendio teorico”, che prescinde dalla circostanza che il segretario interessato abbia svolto l’attività lavorativa presso l’ente locale per l’intero anno (in questo senso, Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 441/1996, Tribunale di Busto Arsizio, sentenza n. 446/2017).
La deliberazione Veneto n. 400/2018/PAR ha condiviso il primo orientamento, sostenuto anche dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti (sebbene in vigenza dell’art. 41 della legge n. 312 del 1980). Quest’ultima, con deliberazione 15/2008, aveva, infatti, sottolineato che “è proprio la necessità di tenere conto dei principi generali dell’ordinamento che esclude di poter accedere ad una interpretazione della norma di cui trattasi nel senso di darne una lettura secondo cui i diritti di rogito possano essere commisurati allo stipendio teorico annuo anche in assenza di effettivo servizio svolto”.
I diritti di rogito, avendo la funzione di remunerare una particolare attività, alla quale è correlata una speciale responsabilità, sono erogabili solo ove vi sia l’effettivo espletamento della funzione di ufficiale rogante, la quale, ancorché di carattere ormai obbligatorio (cfr. art. 10, comma 2-quater, del d.l. n. 90 del 2014), eccede l’ambito delle attribuzioni di lavoro esigibili. A fronte di tale funzione, il legislatore ha previsto un compenso ulteriore, parametrandolo ad un quinto dello “stipendio in godimento” (nel rispetto non solo del principio del buon andamento di cui all’art. 97 Cost., ma anche di quello di proporzionalità della retribuzione, di cui all’art. 36 della Costituzione). Tale interpretazione risulterebbe maggiormente aderente anche all’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, secondo cui le amministrazioni pubbliche non possono erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano a prestazioni effettive.
A conclusioni analoghe giungono le deliberazioni della Sezione regionale di controllo per la Lombardia n. 171/2015/PAR (meglio esposta nel paragrafo successivo) e della Sezione Emilia Romagna n. 133/2018. In particolare, quest’ultima ha ribadito che il trattamento economico complessivo “in godimento” (stipendio tabellare, indennità di posizione e di risultato) del segretario comunale, da assumere come parametro per determinare il tetto massimo dei diritti di rogito erogabili annualmente (limite da riferire ai diritti maturati nell’esercizio, cfr. Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Lazio, deliberazione n. 21/2015/PAR) deve essere conteggiato in termini di competenza, salvo che per l’indennità di risultato (erogata solitamente in anno successivo a quello di riferimento), per la quale ha ritenuto preferibile l’adozione del criterio di cassa. Sul piano operativo, pertanto, gli importi dei diritti di rogito vanno acquisti integralmente al bilancio degli enti, per essere erogati, nei limiti previsti (un quinto della retribuzione in godimento effettivamente spettante), al termine dell’esercizio (cfr. Corte dei conti, SRC Sicilia, deliberazione 194/2014/PAR).
Si tratta di conclusioni interpretative dalle quali la scrivente Sezione regionale di controllo non ha motivo di discostarsi.
Quesito n. 4
Con il quarto quesito, infine, il Comune istante chiede se, ai fini del computo del quinto dello stipendio in godimento, si cumulino gli emolumenti percepiti in comuni diversi (o altri enti locali), ove il segretario in alcuni è titolare, in altri reggente o a scavalco.
Su un problema analogo (segreteria in convenzione fra più enti) si è pronunciata la deliberazione n. 171/2015/PAR della Sezione regionale di controllo per la Lombardia, che, dopo aver evidenziato come la norma non specifichi se il parametro di riferimento per la delimitazione degli emolumenti attribuibili sia lo stipendio erogato dal singolo ente locale ovvero quello globalmente fruito da parte del segretario comunale, ha ritenuto maggiormente conforme al dato letterale della norma, che si riferisce allo “stipendio in godimento” quale misura massima (senza altre specificazioni), ipotizzare che i diritti di rogito siano attribuibili, da parte del singolo comune convenzionato, con l’unico limite del quinto dello stipendio globalmente percepito da parte del segretario, senza distinguere tra gli importi erogati da parte dei vari comuni convenzionati.
Utili indicazioni si traggono, in relazione al presente quesito, anche dalla citata deliberazione della Sezione Emilia Romagna n. 113/2018/PAR, che ha sottolineato come, in caso di convenzione di segreteria, i comuni devono regolare, con apposito accordo, anche le modalità di erogazione dei diritti di rogito, nonché della verifica del rispetto del limite del quinto dello stipendio complessivo in godimento.
Per quanto concerne, nello specifico, l’ipotesi della reggenza a scavalco, da parte di segretario titolare, va ricordato che, nel caso in cui un comune, non possa ricorrere, per una reggenza, a segretari in disponibilità, può conferire, temporaneamente, l’incarico al segretario di altro comune, previa autorizzazione da parte di quest’ultimo. Tale reggenza non può avere una durata superiore ai 120 giorni e comporta la corresponsione del trattamento economico previsto dalle pertinenti norme del contratto collettivo nazionale.
Pertanto, poiché anche l’indennità da corrispondere al segretario a cui è conferito un incarico “a scavalco” costituisce componente del trattamento retributivo complessivo “in godimento”, concorre, elevandolo in parte qua, alla determinazione del limite del quinto posto dall’art. 10, comma 2-bis, del d.l. n. 90 del 2014. Quest’ultimo tetto, va precisato, rimane unico e, pertanto, al segretario spettano i diritti per gli atti rogati in entrambi gli enti locali (fino a concorrenza, complessiva, del quinto del trattamento annuo in godimento).
Anche in questo caso si tratta di conclusioni interpretative dalle quali la scrivente Sezione regionale di controllo non ha motivo di discostarsi.
P.Q.M.
la Sezione regionale di controllo, in riscontro all’istanza di parere, articolata in quattro distinti dubbi interpretativi, formulata dal Comune di Propata (GE),
a) ritiene, in relazione, rispettivamente, al terzo ed al quarto quesito, che
– la locuzione “salario in godimento”, che, ai sensi dell’art. 10, comma 2-bis, del d.l. n. 90 del 2014, convertito dalla legge n. 114 s.a., costituisce il riferimento della percentuale del quinto, integrante il tetto massimo annuale all’erogazione di diritti di rogito ai segretari comunali, vada rapportata allo “stipendio effettivamente percepito” (e non invece alla “retribuzione annua teoricamente spettante”);
– ai fini del computo del “quinto dello stipendio in godimento” si cumulino gli emolumenti percepiti nei comuni (o altri enti locali) ove il segretario presta servizio, da titolare, come reggente o a scavalco;
b) delibera, sospendendo il pronunciamento sul primo e secondo quesito, di sottoporre al Presidente della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 17, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito dalla legge n. 102 s.a., e dell’art. 6, comma 4, del decreto-legge n. 174 del 2012, convertito dalla legge n. 213 s.a., la seguente questione di massima, finalizzata all’adozione di una pronuncia di orientamento generale:
– se le somme destinate al pagamento dei diritti di rogito dei segretari comunali devono intendersi al lordo di tutti gli oneri accessori connessi all’erogazione, ivi compresi quelli a carico degli enti (in particolare, IRAP e contributi fiscali e previdenziali) ovvero se gli oneri fiscali e contributivi connessi al pagamento dell’emolumento in parola vadano ripartiti, tra ente locale e segretario comunale, secondo le regole ordinarie previste dalla vigente normativa fiscale e previdenziale.
 
Il magistrato relatore
(Donato Centrone)
 
Il Presidente
(Fabio Viola)
 
Depositato in segreteria il 5 agosto 2019
Il funzionario preposto
(Antonella Sfettina)
 
 

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