30/10/2023 – In tema di classamento, requisito indispensabile per l’attribuzione di una determinata categoria catastale è l’attività che si svolge nell’unità immobiliare

Sentenza del 24/10/2023 n. 273 – Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Friuli Venezia Giulia Sezione/Collegio 3

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Testo:

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza appellata la Commissione tributaria provinciale di Pordenone rigettava il ricorso proposto da aaaaa contro l’avviso di accertamento catastale relativo alla classificazione dell’immobile di sua proprietà sito in Pordenone, via Castelfranco Veneto n. 85.

La CTP osservava in particolare che:

  • l’eccezione di invalidità dell’atto impugnato per vizio motivazionale non era fondata, trattandosi di un provvedimento a “motivazione semplificata”, in quanto rettificativo di una DOCFA;
  • nel merito, pur pacifico che trattavasi dell’edificio nel quale la ricorrente esercitava pubblicamente il proprio culto religioso, tuttavia l’assenza di trasformazioni radicali impediva il passaggio dalla categoria originaria D1 (opificio) alla categoria E7 (luogo di culto).

Avverso tale decisione l’associazione contribuente ha proposto appello affidandolo a cinque motivi.

Anche nel presente grado si è costituita l’Agenzia delle entrate depositando controdeduzioni.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I primi quattro motivi dell’appello sono infondati.

Anzitutto la sentenza appellata risulta corretta in relazione al rigetto dell’eccezione di invalidità dell’atto impugnato per vizio motivazionale.

Come giustamente osservato dai primi giudici si tratta infatti di un ri-classamento in rettifica di una DOCFA ossia di una variazione di classamento catastale effettuata di sua iniziativa dalla precedente proprietaria dell’immobile de quo in occasione della cessione del medesimo all’associazione religiosa appellante.

Quindi risulta del tutto adeguata la motivazione spesa dall’agenzia fiscale in relazione all’assenza di

modificazioni strutturali dell’immobile medesimo, anche sulla base di una sintetica relazione degli uffici interni.

In secondo luogo nessuna omessa pronuncia è rilevabile nella decisione di prime cure, posto che la stessa si è espressa sulle questioni oggetto della lite, in ogni caso convertendosi l’eventuale nullità in un motivo di impugnazione di merito, come appunto è stato fatto dall’appellante.

Ed è proprio l’effetto devolutivo che consente, comunque, a questo giudice tributario di appello di pronunciarsi sul merito delle ulteriori eccezioni formali dell’associazione contribuente, che tuttavia risultano manifestamente infondate.

Infatti la, pretesa, contraddittorietà dei provvedimenti dell’amministrazione comunale (sanzione amministrativa per la modifica non autorizzata della destinazione d’uso dell’immobile) e dell’agenzia fiscale (riclassamento catastale) non può sicuramente costituire causa di invalidità dell’atto tributario impugnato, essendo evidente che tali provvedimenti sono fondati su competenze amministrative del tutto autonome e diversamente finalizzate dalla normativa.

Non si vede poi per quale ragione vi sarebbe stata la violazione dell’art. 12, legge 212/2000 in relazione al principio di “collaborazione e buona fede”, trattandosi di un motivo del tutto generico e perciò stesso inammissibile.

Risulta invece fondato il quinto motivo del gravame.

E’ pacifico in fatto che l’immobile in contesto, di proprietà dell’associazione religiosa contribuente, è adibito all’uso permanente del culto ed è del resto questa la ragione per la quale la società sua dante causa, prima della vendita, ha variato tramite DOCFA la classificazione catastale dell’immobile stesso dalla categoria D1 (opificio industriale) alla categoria E7 (luogo destinato al culto pubblico).

Afferma il primo giudice che la ri-classificazione operata con l’atto impugnato è corretta, in quanto fondata sulla previsione di cui all’art. 8, primo comma, dPR 1142/1949, secondo la quale «La classificazione non si esegue, nei riguardi delle categorie comprendenti unità immobiliari costituite da opifici ed in genere dai fabbricati previsti nell’art. 28, della legge 8 giugno 1936, n.1231, costruiti per le speciali esigenze di una attività industriale o commerciale e non suscettibili una destinazione estranea alle esigenza suddette senza radicali trasformazioni. Parimenti non si classificano le unità immobiliari che, per la singolarità delle loro caratteristiche, non siano raggruppabili in classi, quali stazioni per servizi di trasporto terrestri e di navigazione interna, marittimi ed aerei, fortificazioni, fari, fabbricati destinati all’esercizio pubblico del culto, costruzioni mortuarie, e simili».

In particolare la CTP interpreta il secondo comma della disposizione normativa (regolamentare) in stretta correlazione con il primo comma, ponendo l’ “uso originario” quale presupposto per la “non classificazione” dell’immobile e quindi “secondo l’uso concreto ed attuale”, ma alla condizione che, se mutato appunto l’uso originario, siano state effettuate “radicali trasformazioni”.

Ne deriva il giudice di primo grado che, siccome nel caso di specie tali trasformazioni non vi sono state, il semplice uso per il culto pubblico dell’immobile de quo rende invalida la variazione catastale effettuata con la DOCFA.

Tale interpretazione della disposizione è errata.

Ritiene il Collegio di seguire l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo la quale «In tema di classamento, requisito indispensabile per l’attribuzione di una determinata categoria catastale è l’attività che si svolge nell’unità immobiliare, mentre non ha carattere decisivo il fatto che detta unità faccia parte di un complesso immobiliare, trattandosi di circostanza inidonea a mutare la natura e la destinazione dell’immobile, ove quest’ultimo sia dotato di una propria autonomia. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale aveva ritenuto sufficiente, ai fini dell’inclusione di due edifici nella categoria catastale D, comprendente gli immobili a destinazione industriale, la circostanza che gli stessi, destinati alla compressione del gas, facessero parte di una centrale di raccolta, trattamento e stoccaggio di idrocarburi, senza accertare se l’attività in essi svolta comportasse una trasformazione della materia trattata, ed escludendo pertanto che gl’immobili potessero essere classificati nella categoria E, comprendente elementi accessori non indispensabili per l’attività industriale)» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 23612 del 15/09/2008, Rv. 604834 – 01).

Del resto la stessa norma regolamentare evocata, pur non del tutto pertinentemente, trattandosi di previsione che riguarda la “non classificazione catastale”, mentre la fattispecie in giudizio concerne la classificazione catastale, ben distingue le diverse ipotesi dell’ “opificio industriale” da quella dell’ “edificio di culto”, ponendo la “radicale trasformazione” quale presupposto di applicabilità in relazione alla prima tipologia immobiliare, ma non in relazione alla seconda.

In ogni caso la normativa primaria, che prevede la classificazione dei luoghi di culto in categoria E7, deve essere interpretata secundum Constitutionem e quindi bisogna, necessariamente, attribuire all’uso cultuale concreto – che è indiscusso nel caso di specie – la condizione unica per tale categorizzazione dell’immobile.

Diversa interpretazione, quale quella affermata dalla CTP pordenonese, si pone infatti in chiaro contrasto con il principio di libertà religiosa di cui all’art. 8, primo comma, Cost., e, per il rinvio dell’art. 11, Cost., di cui all’art. 9, CEDU.

Si tratterebbe infatti di affermare (il presupposto di) una situazione tributaria che, non corrispondendo al reale impiego di un immobile quale luogo di culto, sarebbe come tale lesiva del libero culto che in esso si esercita.

D’altro canto non si comprende quali “radicali trasformazioni” sarebbero necessarie per garantire la classificazione di un edificio in luogo per l’esercizio collettivo di pratiche religiose, tenuto conto della varietà delle confessioni e delle relative, altrettanto varie e diverse, esigenze liturgiche, tutte egualmente protette dalle richiamate disposizioni costituzionali e convenzionali (quanto a quest’ultime, cfr. Corte EDU, 30 giugno 2011, Les Temoins de Jeovah c. France).

Nei termini di cui in motivazione l’appello va pertanto accolto e, per l’effetto, va accolto il ricorso introduttivo della lite.

Tenuto conto della complessità e novità dell’oggetto giuridico della lite possono compensarsi le relative spese.

P.Q.M.

in parziale riforma della impugnata decisione, accoglie il ricorso introduttivo della lite; conferma nel resto;

compensa le spese del grado.

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