30/10/2020 – Tutela dei diritti e organizzazione della giustizia nell’emergenza

Tutela dei diritti e organizzazione della giustizia nell’emergenza
(Intervento al Webinar organizzato dalla Corte di cassazione 28 ottobre 2020)
 
 
Filippo Patroni Griffi – Presidente del Consiglio di Stato – Pubblicato il 29 ottobre 2020
 
1. Legge e Amministrazione durante la pandemia
Il periodo di emergenza da Covid-19, pur nei pochi mesi del suo svolgimento, ha sottoposto a inedita tensione, non solo il tessuto politico ed istituzionale del nostro Paese, ma anche il nostro ordinamento giuridico.
Si pongono al giurista innanzi tutto alcuni interrogativi sugli esiti di una produzione giuridica fondata sulla situazione emergenziale, con specifico riferimento allo scostamento dai parametri ordinari di legalità costituzionale, all’esercizio dei poteri pubblici dell’emergenza e al grado di efficacia e al livello di efficienza delle misure messe in campo per soddisfare le più disparate esigenze di intervento settoriale (in ambito medico, epidemiologico, economico-produttivo, finanziario), in particolare per quanto riguarda il settore della giustizia amministrativa.
Senza alcuna pretesa di coerente razionalizzazione sistematica, vanno in primo luogo richiamate le diverse “fonti” (qui intese in senso lato) di produzione emergenziale del diritto, e segnatamente:
i) la dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria (con Delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, in attuazione del d.lgs. 2 gennaio 2018, n. 1, «Codice della protezione civile»), che ha attribuito al Capo del Dipartimento della protezione civile un potere do ordinanza, «in deroga a ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico»;
ii) i decreti-legge che hanno dato fondamento ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (gli oramai celeberrimi “DPCM”) adottati durante tutto il periodo di pandemia (l’assetto delineato dal decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, è stato rimodulato con il decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, al fine di fornire una più sicura base legale a interventi incidenti su diritti anche fondamentali);
iii) il potere di ordinanza dei Presidenti delle Regioni e dei Sindaci (in forza del richiamo all’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, all’art. 50, comma 5, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, e all’art. 117, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, compiuto dall’art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 6 del 2020, cui era demandato di intervenire «nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri […] nei casi di estrema necessità»);
iv) il potere di ordinanza del Ministro della salute, ai sensi dell’art. 32 della legge n. 833 del 1978[1].
Nell’arco di alcuni mesi, si è assistito ad una moltiplicazione di atti regolativi, sia al livello statale sia in ambito locale, che hanno sprigionato una massa critica di prescrizioni dai contenuti frammentati e commisti, determinando notevoli difficoltà conoscitive prima ancora che interpretative e applicative.
Le criticità registratesi nel presente periodo sono di segno diverso rispetto a quelle comunemente ricollegate al fenomeno dell’amministrazione “straordinaria” e alle c.d. ordinanze libere. Come è noto, per fare fronte a situazioni non fronteggiabili attraverso procedimenti tipizzati, la legge conferisce a determinate autorità poteri a contenuto indeterminato, non prestabilito dalla legge ma rimesso alla valutazione discrezionale e contestualizzata dell’organo amministrativo investito della gestione emergenziale. Nell’esercizio di tali poteri straordinari, le ordinanze possono derogare alla disciplina di fonte primaria. Sono note e risalenti le discussioni relative alla compatibilità di queste fattispecie con il principio di legalità (in ragion di una così marcata de-tipizzazione) e con l’assetto delle fonti (in quanto si assiste alla sospensione della norma primaria ad opera di una fonte non pariordinata né superiore)[2]. È pure noto il dibattito ‒ relativo all’organizzazione di «grandi eventi» e alle emergenze “stabilizzate”, protrattesi per decenni ‒ nell’ambito del quale se ne è denunciato l’«abuso», poiché degli strumenti dell’emergenza è stato fatto un uso “ordinario” per fronteggiare l’inadeguatezza delle amministrazioni pubbliche a fronteggiare vicende complesse, avallandosi l’elusione di controlli e garanzie anche al di fuori dei parametri di ragionevolezza e proporzionalità.
Sennonché, nel periodo in esame, il presupposto dell’emergenza senza dubbio ricorre. E quindi i rilievi hanno altro tenore e provo di seguito a sintetizzare quelli principali emersi nel dibattito pubblico e accademico.
Le criticità concernono il ruolo del governo e del parlamento con particolare riguardo ai diritti delle persone e l’assetto dei poteri sotto il profilo dei diversi livelli di governo competenti. Esamineremo poi la gestione della funzione di giustizia.
a) Ruolo del governo e del parlamento con particolare riguardo ai diritti delle persone
I rilievi investono i limiti del potere di normazione secondaria spettanti al Governo rispetto alla sfera assegnata dalla Costituzione a favore del potere legislativo del Parlamento. Talvolta siamo a fronte di poteri difficilmente qualificabili di normazione in senso tecnico, in quanto ci si trova in un limbo che oscilla tra l’atto di normazione e l’atto amministrativo generale.
La marginalità del Parlamento rispetto al ruolo assunto dal Governo, in parte comprensibile in una situazione emergenziale, si è manifestata, sul piano istituzionale, fin dalla sua fase iniziale per il fatto che lo stato di emergenza è stato dichiarato dal Consiglio dei ministri prescindendo da una qualsivoglia partecipazione diretta del Parlamento, vuoi attraverso l’utilizzo di una fonte primaria, vuoi con altri meccanismi di coinvolgimento del Parlamento medesimo. Stesso discorso vale per le misure contenute ripetutamente adottate nel corso dell’emergenza. D’altra parte, va riconosciuto che il procedimento parlamentare si è rivelato lento e farraginoso anche nel convertire i decreti-legge, senza essere in grado di intervenire significativamente sul loro contenuto.
Uno dei problemi costituzionali più discussi in questa fase emergenziale è stato quindi quello del rispetto dei principi di legalità formale e sostanziale da parte delle fonti utilizzate dal Governo per far fronte alla pandemia, destinate a incidere in modo pervasivo sull’esercizio di alcuni diritti fondamentali.
È stata attivata, come sopra accennato, una catena normativa particolarmente complessa (decreti-legge, d.p.c.m., ordinanze ministeriali, ordinanze della Protezione civile e di altre autorità amministrative, ordinanze regionali e comunali) che ha dato luogo ad un uso reiterato e massiccio di atti di natura normativa secondaria.
Sul piano formale, le criticità hanno riguardato il rispetto del principio di legalità, anche in relazione alla riserva di legge per alcuni diritti. Soprattutto il decreto-legge n. 6 del 2020 non era allineato, da questo punto di vista, ai parametri costituzionali, essendo meramente attributivo di potere all’Esecutivo, con il solo limite (anche temporale) della coerenza con la generica funzione «di proteggere la sicurezza nazionale». Si ricorda che, dopo la previsione di ben diciannove misure restrittive dei diritti di libertà, nell’art. 2, si concedeva all’autorità amministrativa il potere di adottare “ulteriori misure” di contenimento e gestione dell’emergenza non meglio identificate (il successivo decreto n. 19 del 2020, sotto questo profilo, ha apprestato rimedi a tali criticità).
Il quadro normativo è andato migliorando con l’emanazione dei decreti legge successivi al D.L. n.6 del 2020, i quali hanno fornito ai decreti emergenziali del Presidente del Consiglio una più solida base normativa di rango primario.
Sul piano sostanziale, la produzione normativa, ad ogni livello, si è trovata, anche quando si trattava di incidere su libertà e diritti costituzionalmente garantiti, a effettuare un bilanciamento tra diritti spesso di pari rango costituzionale, nell’ambito dei quali il diritto alla salute assumeva valenza tendenzialmente primaria.
Inoltre, non va trascurato che, specialmente in situazioni emergenziali, il potere si colloca presso l’organo in grado di esercitarlo effettivamente il quel momento. Il fatto emergenza non tollera vuoti o incertezze nell’esercizio del potere.
b) Disfunzioni derivanti dall’assetto dei livelli di governo
Non vi è dubbio, però, che le criticità maggiori abbiano riguardato l’allocazione dei poteri pubblici in relazione ai diversi livelli di governo. La pandemia ha coinvolto la responsabilità collettiva di tutti i livelli di governo (internazionale, europeo, statale, regionale e locale), ma le criticità maggiori si sono rivelate nei rapporti tra Stato e Autonomie regionali, anche per le incertezze sull’allocazione dei poteri contenute nei decreti legge e negli stessi D.P.C.M.. L’impressione è stata quella di una tendenza a condividere ad assumersi i meriti e declinare le responsabilità.
L’assenza di una tempestiva ed effettiva cooperazione tra Stato e Regioni nella determinazione degli interventi da porre in essere e l’avvio di iniziative “monocratiche” da parte di alcune Regioni hanno evidenziato certamente tutte le criticità della riforma costituzionale del 2001 nella gestione di situazioni di rilevanza nazionale. Ma è emerso anche il mancato esercizio da parte dello Stato di funzioni di sua sicura competenza esclusiva, la profilassi internazionale, da esercitare quindi, sul piano delle funzioni amministrative, a livello centrale, magari assumendo la responsabilità politica, consentita dall’ordinamento, di differenziare la disciplina per aree territoriali in relazione alla situazione epidemiologica concretamente in atto. Per non parlare della completa obliterazione dei poteri sostitutivi previsti in Costituzione.
c)  L’efficienza dell’Amministrazione di emergenza
Resta poi tuttora aperto il nodo, più difficile da analizzare, dell’efficienza del sistema amministrativo, della sua capacità cioè di conseguire gli obiettivi con una strumentazione adeguata, nell’acquisizione di beni, nell’erogazione di servizi, nella distribuzione di risorse. Noi ci limiteremo al settore dell’Amministrazione della giustizia.
 
2. La disciplina emergenziale del processo amministrativo.
Nell’ambito delle disposizioni generalmente dettate per governare lo svolgimento dell’attività giudiziaria nel periodo dell’emergenza, i diversi decreti legge finora emanati hanno riservato al processo amministrativo un trattamento senza dubbio differenziato rispetto a quello di altre giurisdizioni. Ciò risponde all’esigenza pratica di adattare il processo al tipo di tutela, ma una considerazione maggiormente unitaria, per quanto possibile, della funzione giurisdizionale sarebbe auspicabile.
Le peculiarità che hanno caratterizzato la disciplina normativa del processo amministrativo riposa (almeno) su due fattori:
a) L’esigenza di non creare un accumulo di arretrato e comunque di evitare il rinvio di cause pronte per la decisione che sarebbero state trattate, se rinviate, presumibilmente nel 2021.
b) L’esigenza pressante, soprattutto nella sopra evidenziata cornice di frammentazione normativa, di assicurare il sindacato giurisdizionale sugli atti dei pubblici poteri, quasi esclusivamente di natura amministrativa, emanati per far fronte all’emergenza dalle varie autorità. Ed è sintomatico che una buona parte delle pronunce dei Tribunali amministrativi e dello stesso Consiglio di Stato, soprattutto di natura cautelare, abbia riguardato la correttezza del potere esercitato con riguardo alla tutela dei diritti (e il correlato bilanciamento tra il diritto alla salute e gli altri diritti) e l’allocazione delle competenze tra Stato e Regione o anche tra Stato e poteri di ordinanza del sindaco[3].
Entrambe le esigenze, riconducibili all’effettività della tutela e alla ragionevole durata dei processi, si sono dovute peraltro confrontare con la salvaguardia del diritto di difesa e la tutela del contraddittorio.
Vorrei ora richiamare alcuni “riti dell’emergenza”, succedutisi temporalmente nelle varie fasi di essa, che denotano la capacità del processo amministrativo di adattarsi, se sostenuto ovviamente dall’intervento normativo, al bisogno di tutela in un periodo emergenziale.
Ciò ha riguardato in primo luogo il profilo strettamente processuale.
In sintesi, le principali peculiarità del processo amministrativo possono essere così sintetizzate:
1) sospensione di tutti i termini processuali, ad esclusione del procedimento cautelare, dall’ 8 marzo 2020 al 15 aprile 2020) e rinvio d’ufficio di tutte le udienze pubbliche e camerali dei procedimenti pendenti fissate dall’8 marzo 2020 al 5 aprile 2020 a data successiva al 15 aprile 2020;
2) in questa fase la tutela cautelare collegiale, fino al 15 aprile, è stata sostituita da una tutela cautelare monocratica, da confermarsi dal collegio dopo il 15 aprile: una tutela cautelare, dunque, bifasica[4].
3) dal 16 aprile 2020 al 30 giugno 2020, “in deroga alle previsioni del codice del processo amministrativo, tutte le controversie fissate per la trattazione, sia in udienza camerale sia in udienza pubblica, passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati” attribuendo alle parti la facoltà di presentare brevi “note di udienza”, altrimenti non ammesse nel processo amministrativo.  Nello stesso periodo, “Il giudice delibera in camera di consiglio, se necessario avvalendosi di collegamenti da remoto.”[5];
4) con l’art.4 D.L. n. 28, si è sistemato un rito alternativo, valevole fino al 31 luglio: dal primo giugno è stata introdotta la possibilità per i difensori di partecipare all’udienza da remoto e quella per il presidente di disporre tale partecipazione di ufficio; permane, in assenza di richiesta delle parti, il passaggio in decisione delle cause sulla base degli scritti difensivi nei termini dianzi delineati.
5) Dal 31 luglio 2020, è stato ripristinato il rito ordinario, sia pure con l’adozione di protocolli organizzativi volti ad evitare assembramenti ed il rispetto della distanza fisica di sicurezza. In particolare è stato stilato un protocollo di intesa tra la Giustizia amministrativa, nella persona del Presidente del Consiglio di Stato, l’Avvocatura dello Stato, il Consiglio Nazionale Forense, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma e le Associazioni specialistiche degli avvocati amministrativisti (il quale fa seguito ai precedenti Protocolli sottoscritti il 25/26 maggio 2020 e il 24 luglio 2020 e, nello stesso spirito di collaborazione tra tutte le componenti della Giustizia amministrativa), teso a a ricercare soluzioni organizzative di buon senso, in uno sforzo comune che consenta di affrontare al meglio lo svolgimento delle udienze, presso le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e presso il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana (CGARS), dal 16 settembre ad oggi (ma forse non anche a domani).
Questi i principali punti dell’intesa e del conseguente decreto organizzativo del presidente del Consiglio di Stato: 1) Sono soppresse le chiamate preliminari. 2) Al fine di limitare le presenze dei difensori nelle sale di attesa e nelle aule di udienza, con richiesta sottoscritta da tutte le parti costituite, anche con atti distinti, è possibile richiedere il passaggio in decisione della causa, senza la preventiva discussione, ma con la facoltà di depositare note di udienza altrimenti non ammesse nel rito ordinario. 3) In mancanza della richiesta di passaggio della causa in decisione, le discussioni si svolgono secondo quanto previsto dal codice del processo amministrativo e non può essere limitato il diritto dei difensori alla discussione. 4) Durante le discussioni in udienza pubblica gli avvocati sono esonerati dall’obbligo di indossare la toga e non utilizzano i microfoni. 5) Le cause, per le quali non sia pervenuta alcuna richiesta di passaggio in decisione senza discussione, sono chiamate in fasce orarie differenziate. L’elenco delle cause da trattare, distinte per fasce orarie, è pubblicato sul sito istituzionale della Giustizia amministrativa nella Sezione del relativo Ufficio giudiziario entro le ore 14:00 del giorno prima dell’udienza; e il presidente del collegio, quando ricorrano particolari esigenze oppure in previsione di un significativo afflusso di persone, può disporre il rinvio in prosecuzione, al giorno successivo, della trattazione di parte degli affari già fissati. 6) Le cause per le quali vi sia stata richiesta di passaggio in decisione senza discussione sono comunque chiamate in coda alle altre, ossia dopo l’ultima discussione, ed è dato atto a verbale dell’intervenuta presentazione della richiesta di passaggio in decisione. 7) Nelle sale d’attesa e nelle aule di udienza i magistrati, gli avvocati e il pubblico, se presente, rispettano scrupolosamente le regole sul distanziamento e indossano la mascherina. 8) Il pubblico potrà assistere alle discussioni in udienza pubblica compatibilmente con la possibilità di rispettare le regole sul distanziamento e indossando la mascherina. 9) Il Segretario generale della Giustizia amministrativa adotta le misure necessarie per il tracciamento delle presenze alle udienze pubbliche di persone diverse dai magistrati e dai difensori. 10) In attesa della chiamata della causa o delle cause e non oltre la durata delle relative fasce orarie, gli avvocati possono accedere ai cortili interni e ad altri spazi comuni, nei limiti della capienza di tali spazi e aree.
 
Sul versante processuale, in definitiva, mi sembra che il sistema abbia retto più di quanto osassi sperare, grazie allo sforzo dei suoi attori (magistrati, avvocati e personale tecnico e amministrativo) e con l’ausilio degli strumenti tecnologici predisposti nell’ambito del processo telematico della giustizia amministrativa: abbiamo sostanzialmente evitato il rinvio dei processi e il conseguente accumulo di arretrato, assicurando tutela, cautelare in primo luogo e poi anche per gli affari ordinari di merito.
È indubbio peraltro che l’assetto processuale imposto dall’emergenza epidemiologica ha evidenziato talune criticità, imponendo al legislatore prima e ai giudici poi la ricerca – volta per volta – di punti di equilibrio tra le esigenze di continuità del servizio giustizia e le garanzie di pubblicità delle udienze, di tutela del contraddittorio e di oralità.
Il principale fattore di discussione ha riguardato la compressione delle facoltà di discussione da parte dell’avvocato: alcuni esponenti del foro hanno apertamente manifestato il timore che il diritto dell’emergenza avesse nuovamente degradato (dopo un secolo di evoluzione) il processo amministrativo ad una mera procedura di ricorso, anche se le limitazioni all’oralità esistono in altri processi (si pensi al giudizio in Cassazione).
Le critiche hanno riguardato il rito introdotto dall’art. 84 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 il quale, sostanzialmente introduceva una sorta di “contraddittorio cartolare coatto”, come è stato definito, solo attenuato dalla possibilità di presentare note di udienza, altrimenti non prevista nel processo amministrativo.
Il Consiglio di Stato ‒ a partire dalle ordinanze n. 2539 e n. 2540 del 2020- ha ritenuto che il contraddittorio cartolare «coatto» non fosse una soluzione ermeneutica compatibile, se radicalmente intesa, con i canoni della interpretazione conforme a Costituzione, evocando, come parametri costituzionali di riferimento, il secondo comma dell’art. 111 e l’art. 24.
Le ordinanze, quindi, suggeriscono una interpretazione conforme dell’art. 84, comma 5, del decreto legge n. 18 del 2020, nel senso che ciascuna delle parti ha facoltà di chiedere il differimento dell’udienza a data successiva al termine della fase emergenziale allo scopo di potere discutere oralmente la controversia, quando il Collegio ritenga che dal differimento richiesto da una parte non sia compromesso il diritto della controparte ad una ragionevole durata del processo e quando la causa non sia di tale semplicità da non richiedere alcuna discussione.
L’indirizzo giurisprudenziale non è stato univoco, essendo il Consiglio di Stato apparso orientato, più che a farne una questione di principio, a configurare nella disposizione un’occasione per la prudente concessione del rinvio richiesto per poter discutere oralmente la causa, rinvio peraltro richiesto in poche occasioni.
L’allarme della dottrina e della giurisprudenza sul processo cartolare coatto introdotto dall’art. 84 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, è stato recepito subito dal legislatore dell’emergenza con l’introduzione dell’udienza da remoto “ad oralità mediata” (art. 4 del D.L. 30 aprile 2020, n. 28)., come si è detto sopra. Questa soluzione, a fronte dell’aggravarsi dell’emergenza sanitaria, è destinata a protrarsi fino al 31 gennaio 2021, grazie a una nuova disposizione nel decreto legge che sarà emanato nelle prossime ore.
 
3. Il sindacato del giudice sui poteri emergenziali
Non meno importante si è rivelata la tenuta del sistema sul versante sostanziale del sindacato giurisdizionale sui poteri pubblici dell’emergenza. Sono molte le decisioni (cautelari) del giudice amministrativo chiamate a valutarne la legittimità (soprattutto in termini di ragionevolezza e proporzionalità) A titolo esemplificativo, vale la pena ricordare:
– Cons. St., sez. V, decr., 10 settembre 2020, n. 5175 (che ha sospeso in via monocratica il provvedimento di Roma Capitale che negava all’esercente un locale di somministrazione di alimenti e bevande, l’”occupazione suolo pubblico emergenza Covid/19”);
– Cons. St., sez. III, decr. 31 luglio 2020, n. 4574, che, pur sospendendo l’accesso civico generalizzato ai verbali del comitato tecnico scientifico sull’emergenza epidemiologica per non pregiudicare definitivamente l’interesse dell’amministrazione contraria all’ostensione degli atti in attesa della decisione del collegio, ha evidenziato evidenti criticità del diniego di accesso che hanno poi indotto l’amministrazione a consentire l’accesso;;
– Cons. St., sez. III, ord., 17 luglio 2020, n. 4323 (secondo cui non è irragionevole la decisione della Regione Lazio di affidare, a quel tempo, in esclusiva al servizio diagnostico pubblico tramite la rete d’eccellenza Coronet Lazio, e non ai centri diagnostici privati, i tamponi per la verifica del contagio Covid-19);
– Tar Palermo, sez. III, dec., 27 agosto 2020, n. 842 (che ha sospeso l’ordinanza contingibile e urgente del Presidente della Regione Sicilia n. 33 del 22 agosto 2020 che ordina l’immediato sgombero degli hotspot e dei Centri di accoglienza dei migranti, con trasferimento in altre strutture fuori dal territorio della Regione Siciliana, nonché – al fine di tutelare e garantire la salute e la incolumità pubblica, in mancanza di strutture idonee di accoglienza – il divieto di ingresso, transito e sosta nel territorio della Regione siciliana da parte di ogni migrante che raggiunga le coste siciliane con imbarcazioni di grandi e piccole dimensioni, comprese quelle delle O.N.G.).
Provvedimenti, questi ultimi due, che denotano come libertà e diritti fondamentali possano richiedere tutela anche dinanzi al giudice amministrativo, tutte le volte che queste situazioni soggettive si trovino di fronte all’esercizio di un potere pubblico, a una certa tipologia di manifestazioni di autorità, senza dover ricorrere, per giustificare tale giurisdizione, a categorie oramai desuete quali la degradazione del diritto oppure l’esistenza o inesistenza ovvero il carattere discrezionale o vincolato del potere o, ancora, inesistenti fattispecie di giurisdizione esclusiva.
 
5. Un primo bilancio necessariamente provvisorio
Tre le riflessioni a “consuntivo” temo provvisorio di questo difficile periodo:
– la prima legata al giusto contemperamento tra buon andamento del servizio giustizia e diritto di difesa, nella generale cornice del diritto alla salute in periodo di emergenza sanitaria;
-la seconda relativa alla sperimentazione tecnologica;
– la terza incentrata sui rischi di iniziative legislative ispirate dalla fretta di intervenire ma non sufficientemente meditate.
Come è noto, i principi di proporzionalità e precauzione implicano che ogni restrizione deve essere limitata allo stretto necessario sotto il profilo spazio-temporale ed essere proporzionata e adeguata all’obiettivo. Il bilanciamento è particolarmente complesso laddove esso si giochi tutto all’interno dell’unico valore primario della vita e della salute umana.
Il legislatore ‒ con i correttivi introdotti dal giudice ‒ ha ricercato una ragionevole mediazione tra tutela del diritto di difesa di parti e difensori che abbiano impedimenti a causa dell’emergenza sanitaria, da una parte, e la tutela dell’interesse generale a che la giustizia amministrativa, quale funzione pubblica essenziale, potesse continuare a svolgersi in modo efficiente anche in tempi di emergenza sanitaria; e ciò al duplice scopo di assicurare il controllo sul corretto uso dei poteri pubblici connessi all’emergenza e di evitare l’accumulo di un arretrato che pesasse sui tempi ragionevoli dei giudizi amministrativi e quindi ledere il diritto della controparte alla ragionevole durata del giudizio.
Il sistema introdotto ha certamente sacrificato in una prima fase la discussione orale dei difensori, un momento dialettico sicuramente irrinunciabile – in tempi ordinari e solo parzialmente rinunciabile in tempi straordinari ‒ non solo per le parti, ma per gli stessi giudici.
Si è trattato tuttavia di un sacrificio:
(i) contenuto nel tempo,
(ii) temperato dalla possibilità di ottenere un differimento della trattazione in caso di complessità della causa;
iii) ulteriormente temperato dalla possibilità, introdotta negli ultimi due mesi, di partecipazione dei difensori alle udienze da remoto.
iv) va pure ricordato che ‒ già a regime ‒ la regola dell’udienza pubblica non è assoluta, ma subisce dei temperamenti: esistono, infatti, alcuni casi nell’ordinamento, pochi ma significativi, in cui la regola dell’udienza pubblica è stata trasformata in eccezione[6]; e la stessa udienza “da remoto” non rappresenta una novità, anche per l’ordinamento italiano[7].
La stessa differenziazione normativa del processo amministrativo ‒ indice, secondo alcuni, di una «smania di efficienza e di produttività del processo amministrativo», ammesso che produttività ed efficienza siano disvalori ‒ è apparsa giustificata sotto almeno tre aspetti:
– è un processo che giudica sul corretto uso dei poteri pubblici, che non può subire interruzioni in situazione emergenziale, in cui si fa largo uso dei poteri pubblici e che, proprio per questo, mal tollera un ulteriore allungarsi dei tempi;
– è stato il primo processo ad essere stato totalmente digitalizzato;
– è un processo basato in buona parte su prove scritte e precostituite.
Va poi dato atto alla giurisprudenza amministrativa – pur nell’ambito di un dibattito concitato e poco sedimentato, quanto concitata e poco sedimentata è stata la produzione del diritto in questa difficile fase – di non avere disconosciuto la necessità di pervenire ad un punto di caduta in grado di contemperare la tutela della salute pubblica con il rispetto di altri principi costituzionali, tra cui il diritto di difesa, il principio di effettività della tutela, il diritto ad un giusto processo e alla sua ragionevole durata (artt. 24, 103, 111 e 113 Cost.).
Però, a fronte delle legittime obiezioni di studiosi e avvocati ‒ ispirate alla logica cristallina della sistematica giuridica ‒ resta, a mio avviso, necessaria una premessa di fondo: non occorre inserirsi nella disputa tra neopositivisti e storicisti per richiamare l’esigenza che il diritto serva a fini pratici, cioè per regolare una società nel momento in cui la regola viene applicata. Esistono regole e princìpi fondamentali che delineano l’assetto costituzionale dello Stato. Il diritto positivo va contestualizzato, in tale cornice ineludibile, a certe situazioni di fatto. E tra queste esiste lo stato di emergenza. Non sempre è tipizzato (come avviene per lo stato di guerra) ma da sempre è immanente al sistema. Questa premessa serve per affermare un concetto di cui sono convinto: il diritto, se vuole servire a regolare una comunità, va contestualizzato alle esigenze che il fatto richiede e talvolta impone. Se ragioniamo nella situazione emergenziale, con gli stessi parametri di riferimento, con la stessa “raffinatezza giuridica” che tutti ci riconosciamo, se applichiamo a una situazione emergenziale gli stessi parametri delle situazioni ordinarie, non ne usciamo più[8]. In continuità con questa mia considerazione, è stato rilevato che “all’affacciarsi della pandemia, si è talvolta continuato, per amor di tesi o forse per un’eccessiva concessione all’esprit de finesse, a ragionare con schemi che mal si adattavano a quel fatto costituzionale”, la pandemia, che esigeva “una nuova e specifica contestualizzazione giuridica”[9]. I giuristi, del resto, hanno sempre intuito la difficoltà di comprendere il diritto fondato sullo stato di eccezione come fonte normativa extra ordinem ossia insieme dentro e fuori dell’ordinamento stesso [come affermato da Carl Schmitt, «lo stato di eccezione ha per la giurisprudenza un significato analogo al miracolo per la teologia»]. Ma noi oggi non siamo nello stato di eccezione.
Non ho piena contezza di quali saranno le scelte del legislatore nelle prossime a fronte della nuova preoccupante ondata di contagi. L’esperienza degli ultimi mesi, tuttavia, ci consente di rimarcare alcuni punti fermi. Nella situazione emergenziale, pienezza del contraddittorio e pubblicità dell’udienza (che sono spesso trattate congiuntamente ma, pur avendo un nesso di collegamento, sono due cose ben distinte) possono subire delle attenuazioni ‒ se la scelta politica è di far funzionare, e non di sospendere, il processo nella situazione emergenziale ‒, purché tali adattamenti del processo ordinario siano compatibili con il rispetto delle garanzie fondamentali.
L’udienza telematica potrebbe continuare a rappresentare una soluzione temporanea che garantisce il giusto contemperamento degli interessi in gioco, non so se possibile con un ulteriore “salto” tecnologico: prevedendo, ad esempio, l’accesso del pubblico con un link per l’accesso da remoto.
Veniamo ora al secondo ordine di considerazioni.
Dell’emergenza e delle riflessioni che l’accompagnano, possiamo trarre da questa esperienza uno slancio per ripensare l’organizzazione del sistema giudiziario a regime, cioè in tempi ordinari. Penso alla possibilità di organizzare meglio le udienze, chiedendo alle parti di anticipare congiuntamente fuori udienza la volontà di mandare in decisione le cause sugli scritti, in modo da poter meglio pianificare la discussione delle cause rimanenti, sia per il merito sia, con termini diversi, per le cautelari.
Va pure ricordato che l’emergenza epidemiologica da COVID-19 ha dato un fortissimo impulso all’utilizzo degli strumenti tecnologici funzionali nella gestione del lavoro giudiziario. A differenza di processi che si svolgono dinanzi ad altre Corti, specie ad Alte Corti nazionali e sovranazionali, il nostro è un processo interamente digitalizzato, dal ricorso alla pubblicazione della sentenza. Anzi, il legislatore ha ritenuto di attribuire, a regime, al Presidente del Consiglio di Stato, di dettare, con proprio decreto, le regole tecniche per la gestione ordinaria e per gli aggiornamenti occorrenti per il funzionamento del processo telematico[10].
La terza e ultima riflessione riguarda i rischi di iniziative governative che ‒ genericamente motivate da istanze di rilancio economico ‒ possono incidere “a regime” sul terreno delle tutele. Mi riferisco, in particolare, al decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, intervenuto anche sul sistema di giustizia amministrativa.
Prima delle modifiche apportate in sede di conversione, l’art. 120 c.p.a. risultava modificato nel senso che la decisione di merito veniva “innestata” sulla struttura processuale prevista per la cognizione sommaria, con tempi assai stringenti per le parti e per il giudice; cioè, nella camera di consiglio fissata per la trattazione dell’incidente cautelare andava di norma decisa la causa nel merito (immagino, trasponendo la causa all’udienza pubblica).
In sede di audizione parlamentare, avevo ricordato come, secondo la Corte costituzionale: “[…] l’esigenza di garantire la maggior celerità possibile dei processi deve tendere ad una durata degli stessi che sia, appunto, “ragionevole” in considerazione anche delle altre tutele costituzionali in materia, in relazione al diritto delle parti di agire e difendersi in giudizio garantito dall’art. 24 Cost.” (Corte cost.; ord. 9 febbraio 2001, n. 32: a proposito della riforma dell’art. 181 Cod. proc. civ.).
In ogni caso, si trattava di modifica che non rispondeva ad alcuna necessità reale, in quanto da uno studio promosso dal Consiglio di Stato (condotto sulla scorta di 4 indici di rilevazione: tasso di impugnazione; percentuale di “blocco”; rapporto tra decisione cautelare e decisione definitiva del contenzioso; durata dei giudizi) si desumeva che il contenzioso in materia di gara è solo una piccola parte del problema, e ancor meno lo sono i relativi tempi di decisione, che oggi si sono ridotti, per una decisione definitiva in doppio grado nel merito, a meno di un anno.
Per fortuna la legge di conversione 11 settembre 2020, n. 120 ha riformulato la norma in maniera da sterilizzare le principali criticità sopra accennate.
È rimasta invece ‒quale disposizione temporanea ‒ la generalizzazione dell’art. 125 c.p.a. Sul punto, ho già osservato in altra sede che la “monetizzazione” delle illegittimità comporterà costi maggiori di quelli preventivati nella realizzazione delle opere pubbliche e potrebbe consentire, sul piano patologico, accordi tra imprese. Oltre a rivelarsi assolutamente inidonea sul piano dell’effettività delle tutele e del corretto uso del potere pubblico.
 
6. Conclusioni
Che dire sul piano del processo?
La nuova ondata di contagi porterà probabilmente a riprendere l’esperienza del processo da remoto, nella forma partecipata. Ciò indurrà a un rallentamento, l’esperienza ci dice contenuto, dei tempi dei processi, accettabile nel contemperamento con il valore della salute. E sarebbe auspicabile che il legislatore adottasse un’impostazione unitaria, considerando l’unitarietà della funzione giurisdizionale anche nei sistemi a giurisdizione duale come il nostro e pur nella considerazione delle peculiarità proprie dei vari processi nel panorama delle tutele.
Però, per tutti noi e spero non solo per la nostra generazione, la mancanza di un’udienza in presenza è vissuta come una frattura rispetto al mondo e al processo che abbiamo vissuto, a prescindere da quante cause vengano poi effettivamente discusse. Nel processo da remoto manca quella che Chiovenda definiva la relazione di prossimità, sarebbe un non-processo[11]. Il luogo dove si amministra giustizia sono le aule dei tribunali, dove le udienze sono generalmente aperte al pubblico e la pubblicità non può essere garantita che con le udienze in presenza. Perché fare giurisdizione non è sbrigare una pratica burocratica o offrire servizi online. I Tribunali sono anche luoghi di aggregazione e tali devono rimanere, anche per evitare quello che la Presidente emerita della Corte costituzionale, Marta Cartabia, ha definito “il confronto rigido attraverso lo schermo”.
L’udienza in presenza consente di rendere vivi il processo e le aule di giustizia. E rende il processo “comune” a giudici e avvocati. C’è la condivisione. Questo è il motivo per cui, almeno secondo me, il ritorno alla “normalità” sarà (e dovrà essere) il ritorno alla udienza in presenza.
Filippo Patroni Griffi
Presidente del Consiglio di Stato
 
Pubblicato il 29 ottobre 2020
 
 
 
 

[1] Si aggiunga il potere di ordinanza esercitato dal Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il coordinamento e il contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19, nominato dal Presidente del Consiglio dei ministri in forza dell’art. 122 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18.
[2] La Corte costituzionale – con le sentenze: 2 luglio 1956, n. 8; 27 maggio 1961, n. 26; 14 aprile 1995, n. 127 – ha fissato le seguenti condizioni di “tolleranza”: efficacia limitata nel tempo; adeguata motivazione; rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico; divieto di intervenire in materie coperte da riserva di legge assoluta (nelle materie soggette a riserva relativa occorre che la legge delimiti la discrezionalità dell’organo a cui il potere è stato attribuito).
[3] Ci si riferisce alle controversie, per esempio, tra Governo e Regione Calabria o al parere rilasciato dal Consiglio di Stato, favorevole all’annullamento straordinario del Governo su un’ordinanza del Sindaco di Messina. E ancora alla decisione del Tar Piemonte che ha ritenuto legittimo il potere della regione di disporre il controllo delle temperature all’ingresso delle scuole anzi che a casa, come disposto dal Governo. Varie controversie hanno poi riguardato le ordinanze regionali (es. Regione Campania) restrittive di diritti delle persone. Una rassegna di questa giurisprudenza è rinvenibile sul sito della giustizia amministrativa, nell’apposita sezione dedicata all’emergenza Covid. Sullo stesso sito è possibile avere un riferimento anche alle pronunce di altre Corti europee.
[4] In altra sede sono stati forniti i dati numerici dell’attività cautelare monocratica, che si è svolta in tempo di emergenza con numeri comparabili a quelli dei tempi ordinari, per un totale tra Tar e Consiglio di Stato, di circa 2565 provvedimenti cautelari dall’8 al 31 marzo, cui devono aggiungersi circa 50 provvedimenti presso il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana nel medesimo arco temporale (v. note dell’Ufficio stampa della giustizia amministrativa del 6 e del 9 aprile 2020, sul sito www.giustizia-amministrativa.it).
[5] Art. 84, comma 6, del d.l. n. 18/2020.
[6] Ad esempio in Corte di Cassazione vige un giudizio di legittimità a doppio binario: da un lato le controversie con valenza nomofilattica, destinate alla trattazione in pubblica udienza ed alla definizione con sentenza; dall’altro quelle che dovranno essere trattate in camera di consiglio e motivate con ordinanza, secondo tecniche redazionali più snelle. L’art. 26, comma 2, della legge n. 87 del 1953 e l’art. 9 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale, per le questioni in via incidentale, ammette che il giudizio possa essere definito in Camera di consiglio con decisione del Presidente qualora non si costituisca alcuna parte o in caso di manifesta infondatezza. Anche nel processo amministrativo vi sono riti camerali trattati fuori dalla pubblica udienza, indicati dall’art. 87, comma 2, c.p.a (silenzio, accesso, opposizione a decreto di liquidazione del giudice, opposizione ai decreti di improcedibilità o di estinzione, ottemperanza, giudizi cautelari e quelli relativi all’esecuzione delle misure cautelari collegiali).
[7] Uno dei primi riferimenti ai «procedimenti audiovisivi» (annoverati «tra i mezzi di protezione» dei testimoni) è contenuto nella risoluzione del Consiglio dell’Unione europea, datata 23 novembre 1995, relativa alla protezione dei testimoni nella lotta contro la criminalità organizzata internazionale.
Successivamente, la Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea, resa conforme con atto del Consiglio dell’Unione europea datato 29 maggio 2000, ha sdoganato, agli artt. 10 e 11, rispettivamente, la possibilità di «audizione mediante videoconferenza» e di «audizione dei testimoni e dei periti mediante conferenza telefonica».
Tale Convenzione è stata ratificata in Italia soltanto nel 2016 attraverso la l. 21 luglio 2016 n. 149 e poi il legislatore delegato vi ha dato attuazione dapprima con il dlgs. 5 aprile 2017 n. 52, che ha disciplinato (artt. 13, 14 e 15) rispettivamente l’«audizione mediante videoconferenza richiesta da uno Stato Parte», la «richiesta di audizione mediante videoconferenza in uno Stato Parte» e l’«audizione dei testimoni e dei periti mediante conferenza telefonica richiesta da uno Stato Parte».
Poi, il d.l.vo 3 ottobre 2017 n. 149, recante le «disposizioni di modifica del Libro XI del Codice di procedura penale in materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere», ha inciso direttamente il corpus processuale penale, inserendo gli artt. 726 quinquies, intitolato «audizione mediante videoconferenza o altra trasmissione audiovisiva» e 729 quater, che consente l’audizione e la partecipazione all’udienza in videoconferenza della persona sottoposta ad indagini, dell’imputato, del testimone o del perito che si trovi all’estero e che non possa essere trasferito in Italia.
Al di fuori della materia penale, va ricordato il regolamento n. 1206/2001 del Consiglio dell’Unione europea, datato 28 maggio 2001, relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale.
Anche la Corte europea dei Diritti dell’Uomo (sent. 5 ottobre 2006, ricorso n. 45106/04) ha ritenuto che la partecipazione di un soggetto, imputato in procedimento di natura penale, alle udienze mediante videoconferenza persegue «scopi legittimi rispetto alla Convenzione, ossia la difesa dell’ordine pubblico, la prevenzione del crimine, la tutela dei diritti alla vita, alla libertà ed alla sicurezza dei testimoni e delle vittime, nonché il rispetto dell’esigenza del “tempo ragionevole” di durata dei processi giudiziari».
[8] Ho sviluppato questo pensiero in Il processo, luogo della tutela dei diritti anche e soprattutto nell’emergenza, in Federalismi.it, n.14/2020.
[9] Così E.Grosso, Legalità ed effettività negli spazi e nei tempi del diritto costituzionale dell’emergenza, in Federalismi.it, n. 16/2020.
[10] In particolare, l’articolo 4, comma 2, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 che, sostituendo l’articolo 13, comma 1, dell’allegato 2 del decreto legislativo n. 104 del 2010, ha stabilito che «Con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, sentiti il Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri competente in materia di trasformazione digitale e gli altri soggetti indicati dalla legge, che si esprimono nel termine perentorio di trenta giorni dalla trasmissione dello schema di decreto, sono stabilite, nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, le regole tecnico-operative per la sperimentazione e la graduale applicazione degli aggiornamenti del processo amministrativo telematico, anche relativamente ai procedimenti connessi attualmente non informatizzati, ivi incluso il procedimento per ricorso straordinario. Il decreto si applica a partire dalla data nello stesso indicata, comunque non anteriore al quinto giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana».
In attuazione della norma, col decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 134 del 22 maggio 2020 sono state nuove regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico, nonché per la sperimentazione e la graduale applicazione dei relativi aggiornamenti (pubblicato il 22 maggio 2020).
[11] P.Spaziani, Chiovenda e il computer. Il processo “da remoto” e la teoria dell’azione, in www.giustiziainsieme.it
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