9/11/2020 Il concorso si conclude in ritardo? Può sorgere il diritto al risarcimento del danno

Secondo il TAR Lazio (sentenza n. 10025/2020) la durata delle selezioni deve essere contenuta entro termini predeterminati e comunque ragionevoli

Tratto da https://www.altalex.com

L’ingiustificato ritardo nella conclusione della procedura concorsuale integra il risarcimento del danno subito dal vincitore a seguito del differimento temporale di immissione nella nuova posizione lavorativa sempre che dallo stesso venga fornita la prova, ai fini dell’accertamento della responsabilità della pubblica amministrazione, dell’elemento soggettivo, del nesso di causalità tra fatto lesivo e danno ingiusto, nonché dell’esistenza di quest’ultimo.

E’ questo, in nuce, il principio affermato dalla sentenza 1° ottobre 2020, n. 10025, resa dalla Sezione II Stralcio del TAR Lazio, Roma.

I giudici amministrativi capitolini sono stati chiamati a conoscere il ricorso inoltrato da alcuni dipendenti ministeriali dichiarati vincitori del concorso interno per soli titoli per funzionario, indetto con decreto ministeriale del 1993 e conclusosi con l’approvazione della graduatoria nel 2001.

In particolare, la doglianza avanzata dai ricorrenti concerne essenzialmente il notevole ritardo con il quale è stata portata a termine la sequenza procedimentale della selezione concorsuale in parola, con conseguente insorgenza di “un ingiusto ed irreversibile pregiudizio” arrecato non solo in termini economici per il ritardo nella corresponsione delle differenze retributive spettanti, ma anche per la preclusione di chance di ottenere ulteriori avanzamenti di carriera.

Il ricorso inoltrato ai giudici amministrativi sorge per effetto della riassunzione del giudizio promosso dinanzi al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, che aveva declinato la propria giurisdizione alla stregua della considerazione che la fattispecie concreta sub iudice concerneva una vicenda afferente a un bando di concorso indetto secondo le disposizioni recate dalla L. n. 312/1980, antecedenti, pertanto, l’entrata in vigore delle norme sulla c.d. privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico ex L. n. 421/1992 e D.Lgs. n. 29/1993.

I giudici amministrativi romani di prime cure hanno ritenuto fondato il ricorso inoltrato, prendendo le mosse dalla disposizione recata dall’art. 11, comma 5, del D.P.R. n. 487/1994 (secondo cui “Le procedure concorsuali devono concludersi entro sei mesi dalla data di effettuazione delle prove scritte o, se trattasi di concorsi per titoli, dalla data della prima convocazione. L’inosservanza di tale termine dovrà essere giustificata collegialmente dalla Commissione esaminatrice con motivata relazione da inoltrare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, o all’amministrazione o ente che ha proceduto all’emanazione del bando di concorso e per conoscenza al Dipartimento della funzione pubblica”) letta in combinato disposto con l’art. 2-bis, comma 1, della L. n. 241/1990 (secondo cui “Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”).

Alla stregua delle suddette coordinate normative la sentenza in disamina ritiene fondata la doglianza dei ricorrenti osservando che “l’art. 11, comma 5, D.P.R. n. 487 del 1994 è espressione di un principio generale per cui la durata delle operazioni concorsuali deve essere contenuta entro termini predeterminati e comunque ragionevoli, la cui violazione è senz’altro valutabile ex art. 2-bis, L. n. 241 del 1990, ai fini del risarcimento del danno subito dal vincitore della procedura selettiva per effetto del ritardo con cui è stato immesso nella nuova posizione lavorativa, con diritto a percepirne la retribuzione”.

Tanto premesso, i giudici capitolini precisano, altresì, che “il risarcimento del danno da ritardo a provvedere non è correlato all’effetto del ritardo, ma al fatto che la condotta inerte o tardiva dell’Amministrazione abbia provocato un danno nella sfera giuridica del privato (Cons. Stato, sez. V, 26 marzo 2020 n. 2126)”, di guisa che “condizione necessaria ma non sufficiente affinché sia configurabile tale responsabilità della pubblica amministrazione è il superamento del termine fissato per la conclusione del procedimento, che costituisce l’elemento oggettivo dell’illecito, ma non integra piena prova del danno (Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 2014 n. 5600; Cons. Stato, sez. VI, 10 giugno 2014 n. 2964)”, richiedendosi per l’integrazione della responsabilità dell’ente pubblico per danno da ritardo “anche la dimostrazione, a cura del ricorrente, dell’elemento soggettivo, del nesso di causalità tra fatto lesivo e danno ingiusto e, infine, dell’esistenza di quest’ultimo, da intendere come lesione alla posizione di interesse legittimo al rispetto dei predetti termini (Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 2014 n. 5600; in termini v. anche: Cons. Stato, sez. IV, 3 maggio 2019 n. 2886; Cons. Stato, sez. IV, 2 gennaio 2019 n. 20)”. Infine – precisa ulteriormente la pronuncia de qua – “proprio in ragione dell’ingiustizia del danno prodottosi per effetto del ritardo, il danno risarcibile presuppone la spettanza sostanziale ab initio del bene della vita, solo tardivamente riconosciuto dall’Amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 2 dicembre 2019 n. 8235)”.

A tanto va aggiunto – alla luce di quanto affermato dal Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. III, 6 maggio 2013 n. 2452; Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2013 n. 798; Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2007 n. 1114) – che, con riferimento all’elemento soggettivo, la mancata osservanza del termine di conclusione del procedimento fa presumere la sussistenza della colpa, “presunzione che può essere superata mediante la dimostrazione di un errore scusabile dell’Amministrazione – da ravvisarsi nell’esistenza di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una disposizione ovvero nella formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, nella rilevante complessità del fatto o anche nel sopravvenire di una dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata“.

Declinando i suddetti principi elaborati dalla giurisprudenza di Palazzo Spada nella fattispecie concreta, la sentenza in disamina osserva come l’amministrazione resistente nulla abbia eccepito in ordine alla ricorrenza delle predette esimenti, con l’effetto di poter ritenere provata anche l’esistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito, atteso che “sul ritardo nella conclusione della procedura hanno influito illegittimità degli atti e delle operazioni concorsuali accertati in giudizio e cioè a dire condotte riconducibili all’esclusiva responsabilità del Ministero resistente e dei suoi organi“.

Con riferimento al nesso di causalità – considerato che la vicenda portata all’attenzione dei giudici amministrativi riguarda la ritardata attribuzione della qualifica superiore e dei correlati emolumenti all’esito di un concorso riservato per soli titoli – “non v’è dubbio che, in conseguenza dell’irragionevole protrarsi della procedura selettiva, i ricorrenti non abbiano potuto godere delle differenze retributive loro spettanti, a causa del sopravvenuto collocamento in congedo per raggiunti limiti di età“; a tale approdo la sentenza perviene applicando la c.d. teoria condizionistica e della causalità adeguata, vale a dire valutando se sia “più probabile che non” che la condotta omissiva e dilatoria della pubblica amministrazione sia stata idonea a cagionare l’evento lesivo (Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 2014 n. 5600).

Tale conclusione, tuttavia – ad avviso del collegio giudicante – va contemperata con il principio generale proprio del c.d. pubblico impiego privatizzato, secondo cui il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori è comunque correlato all’effettività della prestazione, dovendo essere la retribuzione commisurata alla qualità e quantità del lavoro prestato (Cass. civ., sez. lav., 16 gennaio 2020 n. 813)”. Ergo, nella fattispecie concreta che ne occupa, difettando l’effettiva immissione nelle funzioni superiori, ragioni di equità hanno indotto i giudici a stimare il danno sofferto dai ricorrenti nella misura del trenta per cento delle differenze retributive loro spettanti, calcolate dal giorno successivo al decorso dei sei mesi dalla prima riunione della commissione esaminatrice del predetto concorso fino alla data del collocamento a riposo di ciascuno di essi.

Ben diversa è, invece, la conclusione con riferimento alla pretesa invocata a seguito della prospettata perdita di chance di sviluppo professionale e di carriera. Ed invero – in forza del principio giurisprudenziale (Cons. Stato, sez. V, 15 novembre 2019 n. 7845; conf. Cons. Stato, sez. IV, 23 settembre 2019 n. 6319; Cons. Stato, sez. V, 27 febbraio 2019 n. 1386) secondo cui la perdita di chance dà luogo al risarcimento per equivalente solo se abbia effettivamente raggiunto un’apprezzabile consistenza solitamente indicata da una seria e concreta ovvero elevata probabilità di conseguire il bene della vita auspicato, laddove in caso di mera possibilità di tale conseguimento si integra soltanto un ipotetico danno, non meritevole di reintegrazione, in quanto nemmeno distinguibile dalla lesione di una mera aspettativa di fatto- nella vicenda concreta in disamina, ad avviso dei giudici amministrativi romani, a fronte della mera affermazione della ricorrenza del pregiudizio in parola, non è stata fornita la prova dell’elevata probabilità di conseguire ulteriori avanzamenti, limitandosi la doglianza dei ricorrenti ad evidenziare la lesione di un’aspettativa di fatto, che, in quanto tale – come dianzi riferito – non è autonomamente risarcibile.

L’accoglimento della doglianza dei ricorrenti nei termini rappresentati ha indotto il collegio giudicante a trasmettere la sentenza emessa al competente organo requirente della Corte dei Conti per le conseguenti valutazioni in ordine all’eventuale integrazione di un danno erariale, stante il pagamento di un risarcimento del danno a carico delle pubbliche finanze.

ALLEGATO

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