30/10/2019 – Sopraelevazioni in zone sismiche: il parere della struttura competente serve anche per gli edifici in muratura

Sopraelevazioni in zone sismiche: il parere della struttura competente serve anche per gli edifici in muratura
di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
Un soggetto è stato autorizzato dal Comune a ristrutturare e a sopraelevare un edificio, provocando l’azione di altri che hanno presentato ricorso davanti al Tribunale amministrativo regionale, sentendosi penalizzati dall’iniziativa del privato. Il TAR dichiarava irricevibile e comunque infondato il ricorso principale, respingendo i motivi aggiunti. A fronte della soccombenza, i ricorrenti hanno proposto appello al Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 7151 del 21 ottobre 2019 lo ha accolto.
Sopraelevazione in zone sismiche: la disciplina
L’art. 90D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia), ricalcando il contenuto del precedente art. 14L. 2 febbraio 1974 n. 64, a sua volta, permette di realizzare le opere di sopraelevazione nelle zone sismiche a condizione che il complesso dell’edificio sia conforme alle prescrizioni antisismiche. Aggiunge inoltre, il secondo comma dello stesso art. 90, che l’autorizzazione alla sopraelevazione è consentita previa certificazione rilasciata dal competente Ufficio Tecnico Regionale che specifichi il numero massimo di piani che è possibile realizzare in sopraelevazione e l’idoneità della struttura esistente a sopportare il nuovo carico.
In sintesi, dal combinato disposto di tali norme si evince che, in caso di sopraelevazione occorre indispensabilmente:
1. verificare che nel complesso l’edificio sia conforme alla normativa antisismica;
2. rilasciare ed acquisire la certificazione ad hoc di competenza esclusiva dell’Ufficio Tecnico Regionale;
3. predisporre obbligatoriamente opere di adeguamento antisismico.
La “piena conoscenza” dell’atto lesivo ai fini della sua impugnazione
Il Consiglio di Stato ha in primo luogo confutato le argomentazioni dedotte dal Tribunale quanto all’irricevibilità del ricorso di primo grado. Il primo giudice, al riguardo, ha sostenuto che secondo quanto statuito dal combinato disposto di cui agli artt. 20, comma 7, seconda e terza frase, D.P.R. n. 380/2001 e 21, comma 1, L. n. 1034/1971, quello che conta ai fini del decorso del termine di impugnazione giurisdizionale di un permesso di costruire da parte di un soggetto terzo, diverso dal destinatario, è la conoscibilità di tale permesso di costruire associata all’effettivo inizio dei lavori, resa possibile dalla pubblicazione nell’Albo Pretorio dell’apposito avviso e dall’esposizione nel cantiere degli estremi del permesso di costruire rilasciato, e non l’effettiva conoscenza del permesso di costruire previa istanza di accesso ex art. 22 ss., L. n. 241/1990. Il collegio d’appello ha invece ritenuto, secondo la consolidata giurisprudenza in materia, che né la pubblicazione all’Albo Pretorio del Comune, né l’esposizione del cartello di cantiere integrano, in sé, una forma di conoscenza legale del permesso di costruire.
In generale, nel processo amministrativo la “piena conoscenza” del provvedimento impugnabile non va intesa quale conoscenza piena e integrale del provvedimento stesso, ma come percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo, del suo contenuto dispositivo essenziale e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da configurare l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso, salva comunque la facoltà di proporre motivi aggiunti al momento della conoscenza di ulteriori profili di illegittimità dell’atto impugnato.
In particolare, nel caso d’impugnazione del titolo edilizio ordinario, il termine di decadenza decorre:
– dall’inizio dei lavori, allorché si contesti l’an dell’edificazione;
– là dove se ne contesti il quomodo, da quando – con il completamento o con il grado di sviluppo dei lavori – sia materialmente apprezzabile la reale portata dell’intervento in precedenza assentito e sia dunque giuridicamente configurabile l’inerzia rispetto alla possibilità di ricorrere.
A temperamento di queste regole di massima, è ammesso che chi vi abbia interesse fornisca la prova certa di un momento diverso della conoscenza del provvedimento abilitativo, eventualmente anche per presunzioni, come nel caso dell’esposizione del cartello di cantiere contenente precise indicazioni sull’opera da realizzare.
L’interpretazione della norma sull’adeguamento antisismico
Nell’ambito del giudizio, ha assunto valore decisivo l’interpretazione dell’art. 90D.P.R. n. 380/2001 sul c.d. adeguamento antisismico, previsto dal punto C.9.1 del D.M. 16 gennaio 1996, in base al quale è consentita, nel rispetto degli strumenti urbanistici vigenti:
a) la sopraelevazione di un piano negli edifici in muratura, purché nel complesso la costruzione risponda alle prescrizioni di cui al presente capo;
b) la sopraelevazione di edifici in cemento armato normale e precompresso, in acciaio o a pannelli portanti, purché il complesso della struttura sia conforme alle norme del presente testo unico.
L’autorizzazione è consentita previa certificazione del competente ufficio tecnico regionale che specifichi il numero massimo di piani che è possibile realizzare in sopraelevazione e l’idoneità della struttura esistente a sopportare il nuovo carico. Secondo il TAR, per le costruzioni in zona sismica, il parere preventivo e/o autorizzazione del competente Ufficio Tecnico Regionale sul numero massimo di piani che possono essere costruiti, risulta necessario soltanto per gli edifici in cemento armato normale e precompresso, in acciaio o a pannelli portanti, mentre per gli edifici in muratura la predetta disposizione, al comma 1 “statuisce in modo tassativo e vincolato che tali edifici possono essere sopraelevati soltanto per un altro piano, per cui in tale caso non occorre alcun parere preventivo e/o autorizzazione da parte del competente Ufficio Tecnico”. Ricordiamo che La funzione della certificazione è quella di attestare, prima del rilascio del titolo abilitativo edilizio da parte del Comune, l’idoneità della struttura “a sopportare” il nuovo carico. Secondo la sentenza n. 7151/2019 del Consiglio di Stato, poiché tale verifica potrebbe avere anche carattere negativo e prevedere che nessun ulteriore piano è in concreto realizzabile, è logico ritenere che la stessa debba essere effettuata a maggior ragione anche per le strutture in muratura, in relazione alle quali la sopraelevazione è peraltro potenzialmente ammessa, per ragioni di precauzione, nei soli limiti prescritti dal comma 1 della disposizione in esame. In altri termini, la certificazione che individua il numero massimo di piani realizzabili serve in primis per verificare se vi siano piani realizzabili, e quindi se l’unico piano astrattamente consentito per le strutture in muratura sia in concreto assentibile in base alle effettive condizioni statiche dell’edificio da sopraelevare.
Alcune definizioni: manutenzione straordinaria, ristrutturazione edilizia, locali tecnici
Da ultimo è emersa la questione inerente la possibilità di classificare l’intervento di sopraelevazione alla stregua della manutenzione straordinaria. Il Collegio d’appello ha chiarito che per consolidata giurisprudenza amministrativa, il concetto di manutenzione straordinaria, insieme a quello di risanamento conservativo, presuppone la realizzazione di opere che lascino inalterata l’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile. Fanno invece parte della ristrutturazione edilizia gli interventi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti, la modifica e la redistribuzione dei volumi.
Altri chiarimenti riguardano la definizione di volumi tecnici. Possono essere definiti come volumi tecnici soltanto quelli adibiti alla sistemazione di impianti in rapporto di strumentalità necessaria con l’uso dell’edificio in cui vengono collocati e che non possono essere sistemati all’interno della parte abitativa, come gli impianti termici, gli impianti idrici e l’ascensore, mentre i locali aventi una destinazione complementare a quella residenziale – indipendentemente dall’altezza necessaria per essere dichiarati abitabili – come la mansarda, la soffitta, gli stenditoi chiusi ed i ripostigli, che vanno computati ai fini della volumetria e/o dell’altezza consentita.

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