30/10/2018 – Collocamento in aspettativa in base all’art. 110, comma 5, del D.Lgs. 267/2000. Diritto soggettivo o interesse legittimo. Le ragioni per cui è necessario non fermarsi ad una interpretazione letterale.

Collocamento in aspettativa in base all’art. 110, comma 5, del D.Lgs. 267/2000. Diritto soggettivo o interesse legittimo. Le ragioni per cui è necessario non fermarsi ad una interpretazione letterale.

di Claudio Demartis
Premessa.
L’art. 110, comma 5, del D.Lgs. 267/2000 dispone: “5. Per il periodo di durata degli incarichi di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo nonché dell’incarico di cui all’articolo 108, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell’anzianità di servizio.
L’art. 110, comma 5, del D.Lgs. 267/2000 nella versione attuale è stato introdotto dall’art. 11 del D.L. 90/2014. Il testo previgente era il seguente: “5. Il rapporto di impiego del dipendente di una pubblica amministrazione è risolto di diritto con effetto dalla data di decorrenza del contratto stipulato con l’ente locale ai sensi del comma 2. L’amministrazione di provenienza dispone, subordinatamente alla vacanza del posto in organico o dalla data in cui la vacanza si verifica, la riassunzione del dipendente qualora lo stesso ne faccia richiesta entro i 30 giorni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro a tempo determinato o alla data di disponibilità del posto in organico.”
I criteri di interpretazione della legge
Per l’interpretazione delle leggi, intendendo con tale espressione tutti gli atti aventi forza di legge, nella legislazione italiana occorre rifarsi all’art. 12 (intitolato appunto “interpretazione della legge”) delle disposizioni sulla legge in generale, altrimenti dette preleggi o disposizioni sulla legge in generale, emanate con regio decreto 16 marzo 1942, n. 262, con cui fu approvato il codice civile, che dispone quanto segue:
“Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.
Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.”
Nel primo periodo si definiscono i due criteri principali: letterale e sistematico; nel secondo periodo il criterio analogico e il ricorso ai principi generali dell’ordinamento.
Di seguito cercherò di spiegare i pro e i contro legati alle due principali interpretazioni della norma: quella letterale e quella sistematica.
 
Le ragioni a sostegno della interpretazione letterale.
L’interpretazione letterale della norma porta a concludere che l’aspettativa spetti di diritto al dipendente che sia risultato vincitore di una selezione ex art. 110 D.Lgs. 267/2000.
All’indomani dell’emanazione del D.L. 90/2014, Gianluca Bertagna (sulla rivista Personale News n. 14 del 08.07.2014) scriveva:
Sulla base della letterale formulazione delle norme, riteniamo che il collocamento in aspettativa avvenga “di diritto”, in quanto non è stabilita una possibilità per l’ente di provenienza di collocare il dipendente in aspettativa. A questo proposito, possiamo ricordare che la giurisprudenza formatasi sull’articolo 19, comma 6, del d.lgs. 165/2001, non mette in dubbio l’automatismo del collocamento in aspettativa.
Tale interpretazione è basata sul fatto che il tempo verbale utilizzato dalla norma è l’indicativo presente (nella sua forma passiva) e quando il legislatore lo utilizza stabilisce, inequivocabilmente, un obbligo. L’istituto dell’aspettativa che, sulla base dell’articolo 19, comma 6, del d.lgs. 165/2001, spettava solamente agli incarichi di livello dirigenziale, sulla base del nuovo testo dell’articolo 110, comma 5, spetta per il conferimento di qualsiasi incarico di cui ai commi 1 e 2, anche per personale che verrà inquadrato in categoria D (responsabili degli uffici e dei servizi e alte specializzazioni).
È chiaro che questa estensione del “diritto” al collocamento in aspettativa, visto dalla parte degli enti i cui dipendenti vengono chiamati a coprire questo tipo di incarichi, può creare problemi  organizzativi, collegati alla improvvisa assenza di un dipendente che avrà anche diritto alla conservazione del posto.
A questo punto, dobbiamo ritenere che il legislatore abbia effettuato una scelta ben precisa: privilegiare l’interesse pubblico degli enti che affidano gli incarichi e sacrificare l’interesse degli enti presso i quali lavorano gli incaricati.”
L’articolo 19, comma 6, del d.lgs. 165/2001 nell’ipotesi di assunzione di un incarico dirigenziale dispone:Per il periodo di durata dell’incarico, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell’anzianità di servizio.”
L’autore, nel ritenere applicabile la tesi dell’interpretazione letterale, non si nasconde che una simile deduzione possa creare per la PA problemi organizzativi notevoli.
Ma, come dicevano i giuristi latini, “dura lex sed lex”; che tradotto suona: “la legge è dura, ma è la legge”.
Il risultato di una tale interpretazione, tradotto in termini pratici, è che la PA, nel nostro caso il Comune ed in particolare il Comune di piccola dimensione, si ritroverebbe a perdere un dipendente apicale, che nella quasi totalità dei casi è posizione organizzativa e quindi gli è affidato dal Sindaco un incarico di responsabile di servizio, con il compito di seguire e dirigere l’intera attività gestionale degli uffici che fanno capo a quella posizione organizzativa, essere responsabile (salvo attribuzione ad altro dipendente) di tutti i procedimenti agli stessi assegnati e di tutti gli atti aventi effetti giuridici verso l’esterno.
Tale dipendente, da un giorno all’altro (non é previsto neppure un preavviso minimo), comunica al Sindaco che andrà in aspettativa per assumere un incarico ex art. 110 presso un altro Comune.
Il Sindaco, che pure, in base all’art. 50 del D.Lgs. 267/2000, è “organo responsabile dell’amministrazione del comune”, “legale rappresentante dell’Ente”, “sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti”, “nomina i responsabili degli uffici e dei servizi”, al momento in cui apprende la notizia dell’aspettativa del proprio responsabile, ha alcuni rimedi teorici previsti dall’ordinamento per sostituirlo nel periodo di assenza. Vediamo i principali.
Se il dipendente apicale è stato assunto mediante selezione pubblica e la graduatoria della selezione è ancora valida, può disporre lo scorrimento della stessa stipulando un contratto a tempo determinato con il candidato collocato in posizione utile e disponibile, per il tempo di durata dell’aspettativa.
Non può ricorrere al contratto di somministrazione mediante agenzia di lavoro interinale, perché tale tipologia di contratto è preclusa per dipendenti cui debbano essere attribuite funzioni direttive.
Se non ha una graduatoria in corso di validità per la categoria ed il profilo identici a quelli del dipendente apicale in aspettativa, può disporre l’effettuazione di una selezione pubblica per assunzione a tempo determinato. Oppure disporre la pubblicazione di un bando esplorativo chiedendo ai Comuni di un certo ambito territoriale se abbiano graduatorie in corso di validità per identica categoria e profilo, da cui attingere previo accordo per la stipula di un contratto di lavoro a tempo determinato.
In alternativa ai tre rimedi predetti, il Sindaco potrà disporre l’effettuazione di una selezione pubblica per l’affidamento di un incarico di responsabile di servizio in base all’art. 110 del D.Lgs. 267/2000, a tempo determinato con il limite massimo della durata del proprio mandato politico.
Circa i tempi necessari a mettere in atto le soluzioni predette, per quanto la stima sia sempre molto variabile in relazione alle condizioni organizzative del Comune: la prima opzione (scorrimento di graduatoria interna) richiede circa 15 giorni; la seconda (selezione pubblica per assunzione a tempo determinato) richiede dai 3 ai 6 mesi, in relazione ai carichi di lavoro dei soggetti che la effettuano; la terza opzione (scorrimento di graduatoria esterna) richiede dai 15 ai 30 giorni; la quarta dai 2 ai 3 mesi.
I primi tre rimedi offerti dall’ordinamento presentano un grave problema di fondo: nella quasi totalità dei casi, il candidato prescelto non avrà alcuna esperienza di lavoro e quindi ben poca cognizione delle modalità teorico-pratiche di approccio-soluzione dei problemi connessi ai procedimenti in atto negli uffici che gli saranno affidati da dirigere. Il suo apporto lavorativo non potrà essere, nella maggior parte dei casi, di quantità e qualità paragonabili a quelli del suo predecessore, provocando negli uffici rallentamenti e sospensioni dei procedimenti assegnati.
Il quarto rimedio (selezione ex art. 110) è mirato ad intercettare figure professionali già formate per l’incarico. Il che non significa che, automaticamente, il vincitore della selezione sia in grado di prendere in carico gli uffici e raggiungere gli obiettivi assegnati nei tempi stabiliti. Spesso infatti il grado di competenza professionale e di esperienza nella gestione dei procedimenti è sensibilmente inferiore a quello del dipendente sostituito. Nella realtà si riscontra che per alcuni profili professionali mancano del tutto o sono rare le figure disponibili per tali incarichi.   
Poiché il Sindaco ha, nella maggior parte dei casi, per esperienza diretta o indiretta, conoscenza delle problematiche che comporta il collocamento in aspettativa di un dipendente apicale, interrogherà la struttura per capire se, a fronte della comunicazione di aspettativa, l’Amministrazione Comunale che rappresenta possa difendersi e con quali modalità.
Riteniamo che la struttura (cioè il Segretario Comunale e i dipendenti apicali) debbano interrogarsi per dare risposte a casi simili, tenendo conto che le problematiche del Sindaco sono poi quelle della intera struttura, che per lunghi periodi corre il rischio di restare praticamente acefala in una posizione organizzativa. Senza parlare dei disagi e delle mancate risposte ai cittadini-utenti che ne derivano.
Le ragioni a sostegno della interpretazione sistematica.
Rossana Salimbeni (su Quotidiano Enti Locali & PA de Il Sole 24 ore del 12.02.2016) scrive in proposito:
Le regole precedenti
L’innovazione è dirompente laddove si ponga mente al fatto che nella precedente formulazione quello stesso comma 5 prevedeva una incompatibilità ex lege tra l’incarico ex articolo 110 e il rapporto di lavoro a tempo indeterminato in capo allo stesso soggetto, tant’è che a presidio del principio veniva scritta una sanzione dura, ovvero, quella della risoluzione di diritto del rapporto d’impiego con l’ente di appartenenza. Una tale apertura, infatti, si sarebbe posta in contrasto evidente con la vigente disciplina in materia di incompatibilità contenuta nell’articolo 53 del Dlgs 165/2001, posto che durante l’aspettativa, il rapporto di lavoro principale è ancora vivo, anche se in una fase di quiescenza, con la sospensione delle reciproche obbligazioni delle parti.

Il regime delle aspettative cosiddetto di diritto è infatti costruito su presupposti assolutamente differenti, coincidenti con esigenze preminenti della persona a tutela di diritti costituzionalmente garantiti. Un passo indietro grande e deciso sul percorso di omogeneizzazione lavoro pubblico/lavoro privato è stato operato da questa norma che ha riscritto in chiave garantista un percorso decisionale che doveva essere, invece, guidato unicamente da valutazioni di ragionevolezza organizzativa e di impatto della scelta sul contesto generale.

Gli interessi pubblici in ballo
Come può la nuova versione dell’articolo 110 trovare un suo spazio armonioso nell’articolo 2 del Dlgs 165/2001? Un’interpretazione di sistema, certamente più coerente con la tanto propagandata privatizzazione del lavoro pubblico, impone una lettura diametralmente opposta di quella norma. Il diritto del dipendente all’aspettativa deve poter esistere solo a seguito della valutazione datoriale sulla non compromissione degli interessi pubblici interessati dall’aspettativa. I «poteri del privato datore di lavoro» esistono solo nella misura in cui chi decide è messo nella condizione di ponderare a fronte delle esigenze del singolo, anche e anzitutto quelle della collettività alla cui cura esso è preposto per disposizione di legge, di contratto e perché questo è scritto nella Costituzione. Queste aspettative privano l’organizzazione di professionalità importanti per il coordinamento della struttura e sulle quali spesso si è investito sia in termini di formazione che di crescita professionale. Quel «sono collocati in aspettativa» scritto nel comma 5 dell’articolo 110, andrebbe mitigato da una lettura più coerente, potendo al più costituire opzione possibile per il datore di lavoro, a seguito di una valutazione generale sulla opportunità della scelta, non un diritto soggettivo del dipendente.
La tesi derivante dall’interpretazione letterale della norma, pure sostenibile e rispettabile, secondo cui il dipendente di una PA possa partecipare ad un bando di selezione per incarico ex art. 110 Dlgs. 267/2000 presso altra PA e, dopo averlo vinto, comunicare alla propria PA la volontà di essere collocato in aspettativa per la durata dell’incarico, mantenendo il posto di lavoro, collide frontalmente con il potere di auto-organizzazione della PA che (come per il datore di lavoro privato) si esplica nelle regole e negli atti di programmazione delle risorse umane che, in combinazione adeguata con le risorse finanziarie e strumentali, consentono alla stessa di perseguire e raggiungere i propri obiettivi istituzionali; quelli che, disegnati nelle dichiarazioni programmatiche di mandato ad inizio della consiliatura ed esplicitati nel documento unico di programmazione e nella programmazione del fabbisogno di personale all’inizio di ogni anno finanziario, costituiscono il presupposto necessario per l’esplicazione dell’azione amministrativa del Comune.
E’ chiaro che, quantomeno per i Comuni di piccola dimensione (con meno di 5000 abitanti), che sono la gran parte del totale, il venir meno di un dipendente di categoria D, nella quale sono inquadrati quelli in posizione apicale che possono partecipare alle selezione pubbliche per il conferimento di incarichi ex art. 110 del D.Lgs. 267/2000, equivale alla paralisi o nella migliore delle ipotesi ad un consistente rallentamento dell’attività gestionale degli uffici dallo stesso diretti. Il collocamento in aspettativa d’ufficio del dipendente, d’altronde, non è un fatto facilmente rimediabile, dato che il mercato del lavoro non consente nella maggior parte dei casi il reperimento di figure professionali con preparazione specifica per la PA e data la poca incisività e la notevole lentezza degli strumenti di reclutamento di personale disponibili per la PA e gli enti locali territoriali.
Sostenere che la comunicazione del dipendente sia da sola sufficiente, una volta portata a conoscenza della PA di appartenenza in modo formale, a modificare la sua posizione giuridica nell’ambito del rapporto di lavoro, originariamente aperto con la stipula del contratto individuale, equivale a ritenere che un rapporto di lavoro costituito a tempo indeterminato possa essere oggetto di una novazione soggettiva (cioè della sostituzione dell’Ente datore di lavoro, sia pure per un tempo limitato) per effetto di un atto unilaterale recettizio di una delle parti, cioè della semplice manifestazione di volontà del dipendente, che esplica efficacia in quanto portata a conoscenza dell’altra parte.
Tutto ciò è radicalmente contrario ai principi fondamentali dell’organizzazione del lavoro pubblico (ed anche privato), per la semplice considerazione che l’investimento di tempo, denaro ed attività necessario a qualsiasi datore di lavoro per assumere (e mantenere in servizio) un dipendente non può essere annullato per semplice volontà unilaterale dello stesso, che pretenda di andare a prestare il proprio lavoro presso altro datore, sia pure per un tempo limitato, se non dopo aver chiesto ed ottenuto il fondamentale e preventivo consenso dell’altra parte del rapporto di lavoro, cioè del datore.
Un’eccezione a tale principio è rappresentata dal caso estremo delle dimissioni, che è uno dei pochi istituti in base ai quali il rapporto di lavoro costituito fra le parti può essere interrotto, definitivamente, per effetto di un atto unilaterale recettizio del dipendente, di cui il datore non può che prendere atto.
E’ altrettanto chiaro che quando un dipendente vuole partecipare ad un bando ex art. 110 D.Lgs. 267/2000 si delineano interessi contrapposti: da una parte il desiderio del dipendente di lavorare presso altro Ente, in una condizione ritenuta migliore dal punto di vista ambientale e/o più stimolante professionalmente ed economicamente; dall’altra il diritto/dovere della PA di mantenere il controllo degli strumenti di organizzazione dell’attività ed in primis dei dipendenti in posizione apicale, che tale organizzazione gestiscono e della stessa rispondono.
Al fine di pervenire ad un corretto contemperamento degli opposti interessi, ritengo che l’interpretazione della norma in oggetto non possa essere fatta sulla base del solo criterio letterale, in quanto la sua applicazione produrrebbe (semplicisticamente) il venir meno di qualsiasi residuo potere di auto-organizzazione della PA, senza che, a fronte di tale evenienza, sia stato stabilito dal legislatore alcun rimedio correttivo, quantomeno per i Comuni di piccola dimensione che sarebbero quelli più gravemente colpiti dal collocamento d’ufficio in aspettativa.
E’ necessario pertanto, superate le secche dell’interpretazione letterale, utilizzare il criterio sistematico, anch’esso previsto, in linea generale, dall’art. 12 alle preleggi del codice civile.
Al fine di capire se e con quali accorgimenti procedimentali la norma in esame si possa inserire armonicamente nel sistema normativo che regola il rapporto di lavoro pubblico privatizzato e della stessa possa essere fatta un’interpretazione con lo stesso compatibile.
L’esame del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” ci porta a verificare che l’art. 53, ai commi 7 ed 8, dispone quanto segue:
“7. I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell’autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.
8. Le pubbliche amministrazioni non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Salve le più gravi sanzioni, il conferimento dei predetti incarichi, senza la previa autorizzazione, costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento; il relativo provvedimento é nullo di diritto. In tal caso l’importo previsto come corrispettivo dell’incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell’amministrazione conferente, é trasferito all’amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.”
In sintesi la norma prevede che:
– il dipendente della PA deve essere preventivamente autorizzato a svolgere qualsiasi incarico retribuito presso una PA diversa;
– una PA che intenda far svolgere incarico retribuito ad un dipendente di altra PA deve chiedere alla PA di appartenenza del dipendente una preventiva autorizzazione al conferimento dello stesso.
Appare evidente come i due dettati normativi (da una parte l’art. 110, comma 5, del D.Lgs. 267/2000 nel significato che deriva dall’interpretazione letterale precedentemente illustrata, dall’altra l’art. 53, commi 7-8, del D.Lgs. 165/2001) siano fra di loro in aperto contrasto.
Ne deriva la necessità di capire quali dei due debba prevalere.
A tale fine, occorre considerare che il D.Lgs. 165/2001 contiene norme di principio, che devono ritenersi in quanto tali inderogabili da norme successive, anche speciali, cioè regolanti aspetti di dettaglio del rapporto di lavoro.
L’art. 110, comma 5, del D.Lgs. 267/2000 non può essere considerata norma speciale derogatoria rispetto alle regole generali del rapporto di lavoro pubblico privatizzato stabilite dal D.Lgs. 165/2001.
Circa il rapporto tra i due decreti legislativi, se è vero che l’art. 1, comma 4, del D.Lgs. 267/2000 dispone “Ai sensi dell’articolo 128 della Costituzione le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al presente testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni”, è vero che la regola dell’inderogabilità del testo unico enti locali se non con espressa modifica dello stesso non comporta, in alcun modo, che lo stesso possa derogare (o possa ritenersi derogatorio rispetto) alle regole del pubblico impiego privatizzato disposte dal D.Lgs. 165/2001, che all’art. 1, comma 3, dispone: “Le disposizioni del presente decreto costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione. Le Regioni a statuto ordinario si attengono ad esse tenendo conto delle peculiarità dei rispettivi ordinamenti. I principi desumibili dall’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e successive modificazioni, e dall’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni, costituiscono altresì, per le Regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano, norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica.
In sintesi, non è sostenibile che l’art. 110, comma 5, del D.Lgs. 267/2000 possa essere letto secondo un’interpretazione letterale, che di fatto é derogatoria rispetto alle regole disposte dal D.Lgs. 165/2001.
Ne consegue che il procedimento amministrativo che porta al collocamento in aspettativa del dipendente vincitore di selezione pubblica per incarico a tempo determinato deve obbligatoriamente sottostare alle regole generali del D.Lgs. 165/2001.
Applicando le predette regole generali, contenute nell’art. 53 del D.Lgs. 165/2001, è chiaro che il dipendente comunale non ha un diritto soggettivo al collocamento in aspettativa, ma unicamente un interesse legittimo alla corretta applicazione della normativa vigente, che condiziona l’accoglimento della richiesta all’espressione di volontà favorevole da parte della PA di appartenenza.
Gli artt. 39-42 del CCNL del comparto Funzioni locali stipulato il 21.05.2018 confermano che l’istituto dell’aspettativa, nelle fattispecie regolate, non si applica per effetto della mera volontà del dipendente, ma dell’incontro della stessa con quella del datore, il quale può motivatamente decidere di non concederla.
I soggetti competenti.
Relativamente al soggetto giuridico che deve pronunciarsi sulla richiesta di collocamento in aspettativa, ritengo che nel merito della richiesta deve essere l’organo esecutivo del Comune a pronunciarsi, acquisito il parere del dirigente/responsabile di servizio. Nel caso in cui sia, come nella maggior parte dei casi, il dipendente apicale incaricato della responsabilità del servizio a richiedere l’aspettativa, ad esprimere il parere dev’essere il Segretario Comunale, nella sua qualità di coordinatore dei dirigenti/responsabili di servizio.
Le conseguenze dell’interpretazione sistematica.
Sulla base di un’interpretazione sistematica dell’art. 110, comma 5, del D.Lgs. 267/2000, nel caso in cui il dipendente del Comune A, non preventivamente autorizzato dall’Amministrazione a prestare servizio a tempo determinato presso il Comune B, si rechi di sua spontanea volontà presso il Comune B ritenendo di avere diritto ad essere collocato in aspettativa per l’intera durata dell’incarico formalmente conferitogli, lo stesso deve ritenersi assente ingiustificato dal posto di lavoro.
In tale circostanza, il Comune A, preso atto dell’assenza, deve procedere alla trasmissione al dipendente di un atto di richiamo in servizio entro un congruo termine e, in caso di esito negativo del richiamo, deve aprire un procedimento disciplinare disponendo, al termine dello stesso, il licenziamento del dipendente, in base a quanto previsto dall’art. 55-quater del D.Lgs. 165/2001 (Licenziamento disciplinare), che dispone quanto segue:
1. Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi: …
b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione;
Conclusioni.
La concatenazione di pochi e semplici ragionamenti sul rapporto fra leggi porta ad affermare che nel caso di specie non ci si può fermare alla prima interpretazione possibile, quella letterale, che soddisfa le aspettative del dipendente e lascia senza difese il Comune, improvvisamente messo nelle condizioni di non operare in una parte dei suoi uffici.
Occorre avere la serietà, la pazienza e la determinazione per ricercare un’interpretazione più meditata, quella sistematica, che tiene conto delle regole di sistema che devono governare sempre la gestione del rapporto di lavoro nell’ambito della PA, affinché sia adeguatamente salvaguardato il principio cardine della capacità di funzionamento della stessa, in termini non teorici ma di effettività.
 
 

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