30/07/2017 – Diffamazione: quando i manifesti sulla pubblica via ed i post su Facebook contro dipendenti comunali sono reato

Diffamazione: quando i manifesti sulla pubblica via ed i post su Facebook contro dipendenti comunali sono reato

 

L’esercizio del diritto di critica richiede la verità del fatto. La sentenza della Suprema Corte.

Confermata dalla Corte di Cassazione la natura diffamatoria del contenuto di manifesti affissi nella pubblica via e su facebook con i quali l’imputato accusava senza fondamento un’impiegata comunale di aver favorito il fratello per la fornitura di mobili a favore dell’amministrazione Comunale, affermazione fatta al fine di acquisire consensi elettorali per le successive elezioni. 

Inutile è stato per l’imputato invocare a sua discolpa l’esercizio del diritto di critica sul rilievo di essersi limitato con tali comunicati a segnalare ai propri compaesani che la fornitura di poltrone da parte del fratello della persona offesa fosse avvenuta senza una preventiva gara e con un prezzo più elevato rispetto ad altre, altrettanto valide, offerte dal mercato.

La Corte di Cassazione, Sezione Quinta, con sentenza del 12 luglio  2017 n. 34160 (Presidente: PALLA Relatore: FIDANZIA – Data Udienza: 12/06/2017) ha ritenuto corretta la statuizione dei giudici di merito che hanno osservato come il criticante, quando giunge ad accusare il criticato di veri e propri comportamenti antigiuridici, deve quantomeno indicare il fondamento fattuale delle sue accuse, precisando donde abbia tratto il suo convincimento, e ciò sul rilievo che se la critica è svincolata dal presupposto della verità (non essendo vera o falsa ma soggettivamente condivisibile o non condivisibile), non è svincolato da tale presupposto il fatto che si intende criticare. 

Tale affermazione, precisa la Corte, si inserisce nell’orientamento consolidato secondo cui l’esercizio del diritto di critica richiede la verità del fattoattribuito e assunto a presupposto delle espressioni criticate, in quanto non può essere consentito attribuire ad un soggetto specifici comportamenti mai tenuti o espressioni mai pronunciate. Quindi, limitatamente alla verità del fatto, non sussiste alcuna apprezzabile differenza tra l’esimente del diritto di critica e quella del diritto di cronaca, costituendo per entrambe presupposto di operatività. 

D’altra parte – prosegue il Collegio – pienamente corretta è l’affermazione del giudice di secondo grado secondo cui un soggetto, per invocare la scriminante dell’esercizio del diritto di critica, non può limitarsi alla mera allegazione dell’esistenza del fatto che intende criticare. “Deve, infatti, ritenersi che come l’imputato che invochi il diritto di cronaca ha l’onere di provare la verità della notizia riportata o quantomeno offrire la prova della cura posta negli accertamenti svolti per vincere dubbi ed incertezze prospettabili in ordine alla verità della notizia, altrettanto, con riferimento all’esercizio del diritto di critica, l’agente è onerato di indicare e fornire tutti gli elementi comprovanti la dedotta causa di giustificazione al fine di porre il giudice in condizione di valutare seriamente la fondatezza di tale argomento difensivo“.

Nella vicenda in esame l’imputato si è limitato nei comunicati offensivi a dedurre dei fatti dei quali non ha fornito neppure un principio di prova, con la conseguenza che la Corte ha ritenuto insussistente la scriminante dell’esercizio del diritto di critica ed anche della critica politica, quest’ultima è stata esclusa in ragione della mancata appartenenza dell’impiegata comunale ad un contrapposto orientamento e schieramento politico rispetto a quello del prevenuto.

Enrico Michetti

Per approfondire scarica la sentenza 

Fonte: Massimario G.A.R.I.

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