29/11/2017 – Le misure trasversali di prevenzione della corruzione 2/3

Le misure trasversali di prevenzione della corruzione 2/3

 

Il PNA, dalla sua prima approvazione ha subito sostanziali modifiche. Tra queste, di particolare rilievo è la distinzione tra “misure obbligatorie” la cui applicazione discende obbligatoriamente dalla legge o da altre fonti normative e quella delle cosiddette “misure ulteriori” che, non essendo obbligatorie per legge, vengono inserite nei PTPC a discrezione dell’amministrazione e tale inserimento le rende obbligatorie per l’amministrazione che le ha previste.

L’aggiornamento del 2015 al PNA ha superato questa distinzione allo scopo di consentire a ciascuna amministrazione di individuare strumenti specifici, idonei a mitigare i rischi tipici dell’ente stesso, emersi a seguito di specifica analisi e ha, quindi, adottato una classificazione che distingue tra: “ misure generali”, (di governo di sistema) che incidono, cioè, sul sistema complessivo della prevenzione della corruzione intervenendo in materia trasversale sull’intera amministrazione e “misure specifiche” che incidono su problemi specifici individuati tramite l’analisi del rischio.

Può tornare utile intendere questa distinzione come analoga alla nuova impostazione degli obiettivi, dettata dal decreto legislativo 75/2017 che ha apportato modifiche al decreto legislativo 150/2009.

Per effetto di quest’ultima modifica, infatti, l’articolo 5, nel comma introdotto (e improvvidamente denominato 01) si prevede che “01. Gli obiettivi si articolano in: a) obiettivi generali, che identificano le priorità strategiche delle pubbliche amministrazioni in relazione alle attività e ai servizi erogati, anche tenendo conto del comparto di contrattazione di appartenenza, coerentemente con le politiche nazionali e gli eventuali indirizzi adottati dal Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, e in relazione anche al livello e alla qualità dei servizi da garantire ai cittadini; b) obiettivi specifici di ogni pubblica amministrazione, individuati, in coerenza con la direttiva annuale adottata ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, nel Piano della performance di cui all’articolo 10.”.

Peraltro la correlazione tra “obblighi” e “obiettivi” non è un fatto nuovo. Ne fa un cenno esplicito l’articolo 14, comma 1-quater del decreto legislativo 33/2013, modificato dal decreto legislativo 97/2016, laddove prescrive: Negli atti di conferimento di incarichi dirigenziali e nei relativi contratti sono riportati gli obiettivi di trasparenza, finalizzati a rendere i dati pubblicati di immediata comprensione e consultazione per il cittadino, con particolare riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del personale, da indicare sia in modo aggregato che analitico. Il mancato raggiungimento dei suddetti obiettivi determina responsabilità dirigenziale ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Del mancato raggiungimento dei suddetti obiettivi si tiene conto ai fini del conferimento di successivi incarichi.

Certamente si tratta di un utilizzo “improprio” della “programmazione per obiettivi” che riporta alla identificazione di questi ultimi con gli adempimenti. E probabilmente ciò accade proprio (come si legge nell’ultimo periodo del comma 1-quater) allo scopo di assicurare una stretta connessione tra obblighi di trasparenza e conseguenze di natura disciplinare.

Vi sono quindi “misure”, intese come “comportamenti prescritti” che hanno natura trasversale, il cui rispetto deve essere assicurato da tutte le unità organizzative dell’ente. Cioè che tutti sono tenuti a osservare e sui quali sono obbligati a rendere conto in sede di monitoraggio sullo stato di attuazione delle misure.

Vediamo, in sintesi quali sono:

  1. Certamente la prima di queste è la trasparenza amministrativa che può intendersi come misura estesa a tutta l’amministrazione per alcuni aspetti comuni quali:
    • Il rispetto degli obblighi di pubblicazione, in ragione dei ruoli e delle competenze di ciascuno, con riferimento alla regolarità del flusso informativo da assicurare, nel rispetto della cadenza prescritta dalla legge e dalla pianificazione adottata dall’ente
    • L’aggiornamento delle informazioni pubblicate sul sito istituzionale relative all’ufficio di appartenenza, quali il numero di telefono, l’indirizzo di posta elettronica, la titolarità degli uffici, ecc.
    • L’aggiornamento e la completezza delle informazioni “personali”, laddove il ruolo rivestito lo richieda, con riferimento agli emolumenti percepiti, gli incarichi rivestivi, ecc.
  2. La gestione delle “possibili interferenze” e dei conflitti di interesse è sicuramente un’altra misura trasversale che deriva dalle prescrizioni contenute in modo esplicito nel Codice di comportamento. Il DPR 62/2013, negli articoli 5, 6 e 7 (peraltro quest’ultimo è espressamente richiamato nell’art. 42 del dlgs 50/2016) prevede, nei confronti di ciascun dipendente l’obbligo di comunicare al responsabile dell’ufficio sia le situazioni di “possibile interferenza” a seguito dell’appartenenza a organizzazioni o associazioni, sia la “collaborazione con privati”, sia l’eventuale insorgere di conflitto di interessi. In tal senso sorge l’obbligo, per i responsabili degli uffici, di attivare sistemi di acquisizione delle dichiarazioni e di gestione delle situazioni che si verifichino, nonché quello di rendicontare tale attività
  3. Una misura che riveste particolare rilievo è quella relativa all’applicazione dell’articolo 35-bis laddove prevede che “Coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale: a) non possono fare parte, anche con compiti di segreteria, di commissioni per l’accesso o la selezione a pubblici impieghi; b) non possono essere assegnati, anche con funzioni direttive, agli uffici preposti alla gestione delle risorse finanziarie, all’acquisizione di beni, servizi e forniture, nonché alla concessione o all’erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi economici a soggetti pubblici e privati; c) non possono fare parte delle commissioni per la scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, per la concessione o l’erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché per l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere. […]”. Si tratta di una misura trasversale poiché attiene ad attività comuni a diversi settori dell’ente, ma che richiede una omogeneità di trattamento, sia nella fase di “applicazione”, con l’acquisizione delle dichiarazioni sull’assenza di cause di inconferibilità, sia nella fase di monitoraggio, con la comunicazione degli incarichi conferiti e dei controlli effettuati.
  4. E’ da considerarsi una misura trasversale anche la gestione delle autorizzazioni a poter svolgere attività extra- istituzionali. La questione è più diffusa di quanto non sembri e riguarda un ambito che raccoglie due diversi tipi di fattispecie: a) le attività dei dirigenti, in termini di incarichi professionali, docenze, partecipazione a commissioni, ecc; b) le attività sommerse dei dipendenti a favore di amici o parenti allo scopo di integrare la propria retribuzione. Il primo caso non riveste particolari complessità, se non sugli aspetti relativi alla “dedizione” all’amministrazione, sia in termini di tempo che di professionalità. Il secondo può rivelarsi problematico, soprattutto nei contesti in cui risulta un fenomeno consolidato. In tal senso è opportuno richiamare la “complessa e contraddittoria” disciplina dell’art. 53 del decreto legislativo 165/2001 che richiede, comunque, una regolamentazione interna da parte dell’ente, nonché la rendicontazione dei casi di autorizzazione e di monitoraggio.
  5. Rientra tra le misure, la cui rilevazione è fondamentale, il rispetto dei tempi procedimentali. A tal fine è opportuno richiamare l’articolo 2 della legge 241/1990 che recando “conclusione del procedimento” evidenzia il “dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso” E aggiunge “Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo”. Peraltro, il comma 9 dello stesso articolo afferma che “la mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente”. E’ quindi opportuno, pur nella consapevolezza che non sempre il mancato rispetto dei tempi sia addebitabile a colpa, rilevare, almeno i casi di patologia derivanti dal ritardo riportati nello stesso articolo, al comma 9-bis (esercizio del potere sostitutivo) o del successivo articolo 2-bis (danno da ritardo e indennizzo da ritardo) o altri indicatori quali, la nomina di un commissario ad acta a causa dell’inerzia dell’ufficio.

Certamente possono essere diverse le misure di natura “trasversale” che riguardano longitudinalmente tutte le aree dell’amministrazione, ma quelle evidenziate, indubbiamente, esprimono gli aspetti di maggiore rilievo, sui quali è opportuno assicurare sia il presidio, sia il monitoraggio.

Santo Fabiano

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