29/11/2017 – In caso di peculato il danno erariale per il dipendente pubblico per avere distinte figure di responsabilità

In caso di peculato il danno erariale per il dipendente pubblico per avere distinte figure di responsabilità

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale dei conti e giornalista pubblicista

 

La Corte dei Conti, sezione per la Lombardia, con la sentenza n. 143 del 6 ottobre 2017, ha affermato che il dipendente pubblico che si appropria in modo illecito di risorse finanziarie pubbliche è responsabile di danno erariale che può anche comportare distinte figure quali il danno patrimoniale diretto, il danno da disservizio, il danno da interruzione del nesso sinallagmatico e danno all’immagine dell’amministrazione.

Il contenzioso

Nel caso in esame la Procura contabile ha chiamato in giudizio una dipendente comunale per sentirla condannare al pagamento, in favore del Comune , l’importo complessivo pari ad euro 1.146.152,31 di cui:

– euro 365.835,77, a titolo di danno patrimoniale diretto “… per le condotte appropriative (…) in favore proprio e di terzi…”;

– euro 43.645,00, per il danno da disservizio, in considerazione del fatto che “… il Comune (….) ha dovuto sostenere specifici oneri connessi all’esecuzione di verifiche straordinarie alla contabilità dell’ente in relazione alle condotte illecite perpetrate dalla convenuta…”;

– euro 5.000,00, relativamente al danno da interruzione del nesso sinallagmatico in ragione “… del tempo impiegato per la commissione degli illeciti commessi in attività di servizio”;

– euro 731.671,54, in conseguenza del danno all’immagine patito dal Comune.

Dall’atto di citazione emerge che a seguito di notizia di stampa reputata “specifica e concreta”, veniva aperta dalla Procura regionale “… apposita vertenza avente ad oggetto l’acquisto di gioielli, con bonifici del Comune da parte della dipendente pubblica, responsabile dei servizi amministrativi e contabili della Civica Amministrazione”.

Successivamente, il Segretario Comunale informava la Procura che era in corso un procedimento penale a carico della dipendente pubblica , con l’accusa di aver sottratto risorse finanziarie all’Amministrazione comunale per finalità personali; riferiva, altresì, che la dipendente aveva rassegnato le dimissioni…” e che “… era altresì pendente un procedimento penale nei confronti dell’ex responsabile della Polizia Locale…”.

In esito a stralcio del procedimento penale, la dipendente comunale , con sentenza c.d. di patteggiamento, divenuta irrevocabile il 6 novembre 2014, veniva condannata a due anni e mesi quattro di reclusione.

Vengono poi riportate nel contenzioso le conclusioni fornite dal Nucleo di Polizia Tributaria secondo cui la dipendente comunale si è “… indebitamente appropriata, a titolo doloso, di fondi comunali destinati a spese voluttuarie e personali e quantificati in un ammontare complessivo di euro 365.835,77”.

L’analisi della Corte dei Conti

I giudici contabili evidenziano come nella fattispecie in esame risultano contestate alla dipendente comunale specifiche condotte illecite che hanno arrecato un danno patrimoniale diretto, un danno da disservizio, un danno da interruzione del nesso sinallagmatico ed un danno all’immagine al Comune , di cui la predetta convenuta, all’epoca dei fatti contestati, era dipendente con la qualifica di responsabile del settore contabilità e tributi.

Tanto considerato, con particolare riferimento al solo danno patrimoniale diretto deve rilevarsi, come peraltro chiaramente emerso nel dibattimento, che gli addebiti contestati alla convenuta nel giudizio a istanza del Comune coincidono solo in parte con quelli di cui al giudizio scaturito dall’atto di citazione della Procura erariale.

Infatti, mentre nel ricorso ad istanza di parte sono contestati dal Comune un insieme più ampio di condotte distrattive di denaro pubblico da parte della dipendente comunale per un importo complessivo pari ad euro 1.056.729,21, diversamente la Procura ha ritenuto mature per la contestazione nel giudizio in esame le sole condotte appropriative direttamente riconducibili alla vicenda penale .

Il patteggiamento nel penale ha valenza anche per la causa di responsabilità amministrativa

I giudici contabili evidenziano diversamente da quanto eccepito dalla difesa della (ex) dipendente comunale , che le condotte illecite poste in essere dalla convenuta risultano effettivamente provate in base a quanto acquisito agli atti dei giudizi in discussione, e, in particolare, da tutto quanto emerso nel processo penale; con tale sentenza sono state prese in considerazione diverse condotte illecite attribuite alla convenuta, con la conseguente applicazione della pena patteggiata di due anni e mesi quattro di reclusione.

In particolare, relativamente alla sussistenza dei fatti contestati, questo Collegio condivide la ormai consolidata giurisprudenza della Corte dei Conti sul valore probatorio della sentenza penale cosiddetta di patteggiamento, ex art. 444 c.p.p. che , pur non contenendo un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile, costituisce, unitamente a tutti gli altri atti risultanti dal procedimento penale, elemento di prova per il giudice della responsabilità amministrativa.

Pertanto, le prove formatesi nel giudizio penale, possono essere acquisite per essere autonomamente valutate nel giudizio di responsabilità amministrativa, nel quale possono essere oggetto di contestazione e di dialettica processuale.

Le prove a carico della dipendente

Il Collegio dopo un attento esame degli atti sopra riportati, ritiene che la sussistenza dei fatti illeciti attribuiti alla convenuta, e la loro giuridica qualificazione intervenuta in sede penale, appaiono inconfutabili, nella loro storicità e definitività, anche in questa sede, senza necessità di alcuna particolare rivalutazione, data la loro evidenza, non utilmente avversata in atti.

Sul punto deve anche rilevarsi, fra l’altro, che la stessa difesa dipendente comunale ha anche confermato in dibattimento il fatto che l’an della pretesa erariale sul danno patrimoniale diretto non è oggetto di contestazione.

Il collegio ha accolto tutte le richieste della Procura

Con riferimento al danno patrimoniale diretto, sulla base di tutte le predette argomentazioni, deve essere quantificato, confermando la prospettazione della Procura, in complessivi euro 365.835,77, oltre rivalutazione monetaria ed interessi calcolati a decorrere dalla data di deposito della sentenza e sino al saldo effettivo.

Per quanto riguarda il danno da disservizio in contestazione il Collegio rileva che, nel caso di specie, risulta effettivamente una sproporzione fra l’entità del danno c.d. da disservizio e la diretta riconducibilità dello stesso ai fatti contestati dalla Procura.

Infatti, deve ricordarsi che l’entità del danno da disservizio sopra richiamato è collegato alle spese sostenute dal Comune per una attività di revisione contabile generata dal complesso di anomalie contabili riscontrate di cui solo una parte è stata già oggetto di completa valutazione in sede penale (la sentenza di patteggiamento più volte richiamata) , mentre la gran parte è ancora oggetto di valutazione e di approfondimenti istruttori sia in sede penale che contabile.

Pertanto, è evidente che solo una quota parte del danno come sopra quantificato può concretamente addebitarsi alla dipendente comunale.

Passando ora alla terza ipotesi di danno deve evidenziarsi che secondo la Procura agente la convenuta con il proprio illecito comportamento avrebbe arrecato anche un danno da interruzione del nesso sinallagmatico.

Sul punto, il Collegio rileva che la dipendente comunale ha effettivamente posto in essere le descritte attività illecite in modo sistematico e continuativo durante l’orario di servizio. Pertanto, il dedotto danno da indebita retribuzione sussiste concretamente. Infatti, il danno da interruzione del nesso sinallagmatico tra le prestazioni è qualificato come pregiudizio al buon andamento della P.A. derivante dalla “disutilità della spesa” in tal modo sostenuta (Sez. Lombardia n. 1 del 2 gennaio 2012 e n. 47 del 20 gennaio 2011). L’odierna convenuta non ha eseguito correttamente le proprie prestazioni lavorative, perché le energie per le mansioni di sua specifica spettanza sono state parzialmente distratte nelle condotte illecite sopra descritte. Di conseguenza, la retribuzione corrisposta dall’Amministrazione di appartenenza non ha compensato solo lo svolgimento di lecite e doverose attività istituzionali ma, quanto meno in parte, ha indebitamente arricchito la convenuta per l’attività svolta in violazione degli obblighi di servizio e diretta alla consumazione di delitti, da cui ha tratto non trascurabili vantaggi patrimoniali illeciti.

Infine, passando ora all’ultima ipotesi di danno, deve evidenziarsi che, secondo la Procura agente, la convenuta, con il proprio illecito comportamento, avrebbe arrecato una grave lesione all’immagine dell’Amministrazione pubblica di appartenenza.

Sul punto, il Collegio precisa che, come è noto, il danno all’immagine consiste nell’alterazione del prestigio e della personalità dello Stato-Amministrazione oppure di altra Pubblica Amministrazione, a seguito di un comportamento tenuto in violazione dell’art. 97 Cost., ossia in dispregio delle funzioni e delle responsabilità dei funzionari pubblici. Si verifica pertanto una lesione del bene giuridico consistente nel buon andamento della Pubblica Amministrazione che, a causa della condotta illecita dei suoi dipendenti, perde credibilità ed affidabilità all’esterno, ingenerandosi la convinzione che tale comportamento patologico sia una caratteristica usuale dell’attività dell’Ente pubblico.

Il Collegio tenendo conto di tutti i necessari elementi di valutazione sopra indicati, stabilisce la misura del danno all’immagine cagionato al Comune in complessivi euro 400.000,00, importo da considerarsi comprensivo di interessi e rivalutazione monetaria.

Corte dei conti-Lombardia, sentenza 6 ottobre 2017, n. 143

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto