29/09/2020 – Urbanistica. Permesso di costruire e conformità alla vigente normativa

Urbanistica. Permesso di costruire e conformità alla vigente normativa
Pubblicato: 28 Settembre 2020
Cass. Sez. III n. 25929 del 11 settembre 2020 (CC 3 lug 2020)

Il permesso di costruire richiede la conformità dell’intervento da realizzare (ovvero uno di quelli di cui all’art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001) alla vigente disciplina urbanistico-edilizia (leggi, regolamenti e strumenti urbanistici), dovendosi riferirsi la vigenza non solo alla fase di presentazione della domanda, ma anche a quella di emanazione del titolo abilitativo, non potendosi immaginare un permesso di costruire emesso in base a una normativa non più applicabile. L’attività amministrativa che si conclude con il rilascio del titolo abilitativo deve pertanto proporsi di assicurare la piena coerenza delle opere da realizzare con l’assetto normativo vigente al momento dell’emanazione del permesso di costruire, dovendosi altresì considerare che, ai sensi dell’art. 11 comma 2 terzo periodo del d.P.R. n. 380 del 2001, il permesso, una volta rilasciato, viene poi qualificato come “irrevocabile”, il che presuppone che, almeno al momento del suo rilascio, il titolo deve essere conforme alle leggi, ai regolamenti e agli strumenti urbanistici vigenti sino a quel momento, dovendosi cioè tener conto, nell’ottica della piena tutela dell’assetto del territorio, anche dello ius superveniens rispetto all’epoca della presentazione della domanda

 
RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 12 novembre 2019, il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria confermava il provvedimento emesso in data 31 ottobre 2019 dal G.I.P. presso il Tribunale di Palmi, con il quale era stato disposto nei confronti di Carmela Guerra, indagata in ordine ai reati di cui agli art. 110 – 323 cod. pen. (capo A) e 44 lett. B) del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo B), il sequestro preventivo dei manufatti edilizi realizzati in esecuzione del permesso di costruire 97/14 del 4 dicembre 2017 del Comune di Palmi, permesso ritenuto illegittimo.

In particolare, secondo le imputazioni provvisorie, il capo area urbanistica del Comune di Palmi, Francesco Carmelo Arduca, avrebbe assentito, su istigazione della Guerra, proprietaria e committente dei lavori e in contrasto con l’art. 9 del R.E.U. del Comune di Palmi e con la legge regionale n. 21 del 2010, oltre che con l’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, il progetto di demolizione di un fabbricato di 1 piano e di ricostruzione con un altro di 3 piani, oltre piano interrato, con annesso fabbricato a un piano destinato a garage pertinenziale ex lege n. 119 del 1989, fatti accertati il 4 dicembre 2017 (capo A) e il 26 settembre 2019 (capo B).

2. Avverso l’ordinanza del Tribunale reggino, la Guerra, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui la difesa deduce la violazione degli art. 321 e ss. cod. proc. pen., 323 cod. pen. e 44 lett. B) del d.P.R. n. 380 del 2001, evidenziando come non possa ritenersi corretta l’affermazione del Tribunale secondo cui ciò che rileva è la normativa vigente al momento del rilascio del permesso di costruire.

Si osserva al riguardo che il procedimento amministrativo conclusosi con il rilascio del permesso di costruire ha avuto la sua origine il 28 ottobre 2014, mediante la presentazione dell’istanza da parte dell’indagata presso il Comune di Palmi, che ha espresso il parere favorevole al progetto con provvedimento del 4 febbraio 2015, per cui era con riferimento a questo momento che doveva essere individuata la normativa applicabile, costituita dalla legge regionale n. 21 del 2010 (cd. piano casa), che ha subito varie modifiche nel corso del tempo.

In definitiva, secondo la difesa, il tempo trascorso tra la presentazione della domanda e il rilascio del permesso di costruire certamente non può essere addebitato alla ricorrente, la quale sarebbe altrimenti danneggiata dalla P.A. e non una concorrente nel reato, applicandosi in ogni caso il principio “tempus regit actum” alla normativa di tipo procedurale e non a quella sostanziale.

Quanto al delitto di abuso di ufficio, la difesa rileva che la presunta condotta di istigatrice della ricorrente si scontra con una serie di dati fattuali: innanzitutto, l’intera procedura è stata seguita non da Arduca, pubblico ufficiale indicato quale soggetto attivo del reato, ma dal suo predecessore, arch. Giuseppe Gerocarni.

Inoltre, il Tribunale non aveva tenuto conto della nota dell’8 aprile 2019, con cui l’arch. Collura del Comune di Palmi, nel riscontrare l’esposto del denunciante Giuseppe Barone, illustrava le ragioni per cui l’ufficio riteneva legittimo il permesso di costruire n. 97 del 2014, indicando la possibilità di ricorrere al Tar.

In ogni caso, conclude la difesa, mancherebbe nel caso di specie la prova dell’accordo illecito, non potendo certo l’istigazione risolversi nella mera presentazione del progetto, peraltro conforme alla normativa vigente all’epoca.

CONSIDERATO IN DIRITTO

       Sono fondate le censure sollevate con riferimento alla valutazione sulla configurabilità del reato di abuso di ufficio, mentre non sono meritevoli di accoglimento le doglianze relative al reato ex art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001.

       1. Preliminarmente, si ritiene utile una breve ricostruzione della vicenda, che invero, almeno nella sua scansione fenomenica, non risulta controversa.

Dunque, in data 20 maggio 2019, i signori Giuseppe Barone, Rosa Scarcella e Carmela Scarcella, proprietari degli immobili confinanti con quelli di proprietà di Carmela Guerra, presentavano una denuncia-querela, con la quale segnalavano una serie di anomalie rispetto al permesso di costruire rilasciato il 4 dicembre 2017 in favore dell’odierna ricorrente, avente ad oggetto le opere di demolizione di un fabbricato di un piano e di ricostruzione con un altro di 3 piani, oltre piano interrato, con annesso fabbricato a un piano destinato a garage pertinenziale ex lege n. 119 del 1989, oltre piano interrato lungo via Trento e Trieste di Palmi.

Nello sviluppo delle indagini veniva acquisita la relazione tecnica dell’arch. Giuseppe Cardona, da cui emergeva la difformità del titolo abilitativo innanzitutto rispetto agli art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 e 873 cod. civ., essendo stato rilevato che uno dei corpi di fabbrica delimitato da pareti presentava una distanza con il fabbricato esistente inferiore a quella minima di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, e a quella di 3 metri dal confine.

Il principale profilo di illegittimità del titolo abilitativo veniva tuttavia individuato nel fatto che, al momento del suo rilascio, il progetto non era conforme all’art. 9 del R.E.U. del Comune di Palmi e alla legge regionale n. 21 del 2010: ed invero, all’epoca della presentazione della domanda del permesso di costruire, alla volumetria esistente, calcolata in 372.22 mc., era stata aggiunta una premialità di cubatura pari al 35%, con un valore di cubatura assentibile pari a 502.50 mc.

La legge regionale veniva tuttavia modificata nel 2016, nel senso che la premialità di cubatura veniva ridotta dal 35% al 30%, con la conseguenza che, alla data del rilascio del permesso di costruire, la volumetria assentibile era pari a 483.89 mc (372.22 + 30%) e non più a 502.50 mc., come indicato in progetto.

Peraltro, il Comune di Palmi aveva rilasciato il permesso di costruire considerando solo i piani primo e secondo suscettibili di volumetria computabile, quindi escludendo dai calcoli non solo il piano terra adibito a parcheggio secondo le previsioni della legge n. 122 del 1989, ma anche il piano seminterrato destinato a deposito, ponendosi ciò in contrasto con i parametri dettati dall’art. 9 della R.U.E. del Comune di Palmi, che imponeva di considerare nella volumetria complessiva anche il piano seminterrato, avente una superficie lorda di 76 mq.

Deve precisarsi, infine, che l’istruttoria della pratica era stata curata dall’allora capo dell’area urbanistica del Comune di Palmi, arch. Giuseppe Gerocarni, deceduto il 23 marzo 2017, il quale esprimeva parere favorevole con nota del 4 febbraio 2015, mentre il titolo veniva formalmente rilasciato il 4 dicembre 2017 dal nuovo responsabile dell’ufficio tecnico, geom. Francesco Carmelo Arduca.

        2. Orbene, tanto premesso in punto di fatto, deve ritenersi immune da censure il giudizio sull’astratta configurabilità del reato di cui all’art. 44 lett. B del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo B), risultando corretta l’affermazione dei giudici cautelari secondo cui, quanto alla normativa edilizia applicabile al caso di specie, deve farsi riferimento non a quella vigente all’epoca della domanda, ma a quella in vigore al momento del rilascio del permesso di costruire.

Ed invero l’art. 12 comma 1 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che “il permesso di costruire è rilasciato in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente”, mentre l’art. 13 comma 1 del medesimo decreto, sulla stessa falsariga, dispone che il permesso di costruire è rilasciato dal dirigente o responsabile dello sportello unico nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e degli strumenti urbanistici.

Dunque, il permesso di costruire richiede la conformità dell’intervento da realizzare (ovvero uno di quelli di cui all’art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001) alla vigente disciplina urbanistico-edilizia (leggi, regolamenti e strumenti urbanistici), dovendosi riferirsi la vigenza non solo alla fase di presentazione della domanda, ma anche a quella di emanazione del titolo abilitativo, non potendosi immaginare un permesso di costruire emesso in base a una normativa non più applicabile.

L’attività amministrativa che si conclude con il rilascio del titolo abilitativo deve pertanto proporsi di assicurare la piena coerenza delle opere da realizzare con l’assetto normativo vigente al momento dell’emanazione del permesso di costruire, dovendosi altresì considerare che, ai sensi dell’art. 11 comma 2 terzo periodo del d.P.R. n. 380 del 2001, il permesso, una volta rilasciato, viene poi qualificato come “irrevocabile”, il che presuppone che, almeno al momento del suo rilascio, il titolo deve essere conforme alle leggi, ai regolamenti e agli strumenti urbanistici vigenti sino a quel momento, dovendosi cioè tener conto, nell’ottica della piena tutela dell’assetto del territorio, anche dello ius superveniens rispetto all’epoca della presentazione della domanda.

Ciò posto, ribadito che nel caso di specie il premio di cubatura è passato dal 35% (epoca della domanda) al 30% (epoca del rilascio del permesso), deve convenirsi che, nel momento in cui è stato emesso il titolo, cioè nel dicembre 2017, l’opera non era più assentibile nei termini dell’originario progetto della Guerra, il che si ripercuote inevitabilmente sulla legittimità del permesso di costruire rilasciato.

La modifica intervenuta nel 2016 della legge regionale n. 21 del 2010 ha infatti inciso su uno dei parametri volumetrici essenziali dell’opera da realizzare, per cui del minore valore di cubatura consentito doveva necessariamente tenersi conto.

Di qui la correttezza della valutazione di illegittimità del permesso di costruire e del conseguente giudizio sull’astratta configurabilità del reato contestato, fatti salvi gli eventuali sviluppi probatori nel prosieguo del procedimento in corso.  

        3. A conclusioni diverse deve invece pervenirsi in relazione al reato di abuso d’ufficio, rispetto al quale l’ordinanza impugnata non chiarisce quali siano nel caso di specie gli elementi costitutivi, evocando in termini assertivi e generici le “evidenti e macroscopiche violazioni della normativa di riferimento” e il “chiaro intento del pubblico funzionario di favorire la parte privata, la quale a sua volta ha potuto beneficiare della determinazione autorizzatoria amministrativa, che le assentiva un volume maggiore”, essendosi il coindagato Arduca limitatosi esclusivamente a far leva sul superato parere favorevole del suo predecessore.

Orbene, tale apparato argomentativo non tiene conto di due elementi fattuali di indubbia pregnanza, il primo dei quali è costituito dal fatto che, al momento della presentazione del progetto, l’intervento era assentibile, essendo divenuto non più tale sono in base a una successiva modifica della legge regionale n. 21/2010.

In secondo luogo, è stata trascurata la circostanza che l’istruttoria della pratica è stata curata da altro funzionario nelle more deceduto, per cui occorre specificare se il mancato aggiornamento della pratica da parte del funzionario subentrato sia dipeso da mera negligenza, o piuttosto dall’intenzione di favorire il privato, nel qual caso è necessario indicare gli elementi da cui potesse desumersi che la condotta del pubblico ufficiale fosse stata illecitamente concordata con la Guerra.

Circa i rapporti tra privato e funzionario pubblico nel reato ex art. 323 cod. pen., deve richiamarsi infatti la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 33760 del 23/06/2015, Rv. 264460 e Sez. 6, n. 15837 del 20/12/2018, dep. 2019, Rv. 275540), secondo cui, ai fini della configurabilità del concorso del privato nel delitto di abuso d’ufficio, l’esistenza di una collusione tra il privato ed il pubblico ufficiale non può essere dedotta dalla mera coincidenza tra la richiesta dell’uno e il provvedimento adottato dall’altro, essendo invece necessario che il contesto fattuale, i rapporti personali tra i predetti soggetti, ovvero altri dati di contorno, dimostrino che la domanda del privato sia stata preceduta, accompagnata o seguita dall’accordo con il pubblico ufficiale, se non da pressioni dirette a sollecitarlo o persuaderlo al compimento dell’atto illegittimo.

        4. Tale verifica è del tutto mancata sia nell’ordinanza del Tribunale del Riesame, sia nel decreto di sequestro del G.I.P., per cui, in conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, si impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata, limitatamente al reato di cui all’art. 323 cod. pen., con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Reggio Calabria competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen, mentre nel resto il ricorso va disatteso.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 323 cod. pen. e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Reggio Calabria competente ai sensi dell’art. 324, co. 5, cod. proc. pen. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso il 03/07/2020

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