29/01/2019 – Incarichi legali, il grande equivoco degli elenchi  

Incarichi legali, il grande equivoco degli elenchi  

 

di STEFANO BIGOLARO – Consigliere nazionale Unione avvocati amministrativisti – Italia Oggi Sette – 28 Gennaio 2019

Adesso che sono entrate in vigore le linee guida Anac 12/2018 sull’ affidamento dei servizi legali, non pare che vi siano più certezze di prima su come una p.a. deve scegliere un legale. Ma il tentativo di dare risposta al quesito pone un problema nuovo, a due facce: per le p.a., di fare gli elenchi degli avvocati; e per gli avvocati, di esservi inseriti. In sintesi: il presupposto delle linee guida è che gli incarichi di difesa in un giudizio, o di consulenza legata a un possibile contenzioso, non sono sottratti al codice dei contratti pubblici. Si applicano infatti i principi generali del codice (posti dall’ art. 4), dai quali Anac ricava una serie di istruzioni comportamentali agli enti pubblici. Tra cui, fare un elenco di avvocati.

Le linee guida di Anac, e il suo stesso potere di intervento in materia, sono oggetto di contestazioni giudiziarie. Al centro del contenzioso, temi fondamentali per la natura dell’ avvocatura. Ma, a parte il contenzioso, le p.a. devono ora misurarsi con la vigenza attuale delle linee guida Anac. Però, cosa significa che le linee guida sono vigenti? Sia chiaro: non significa affatto che siano cogenti. Sembra paradossale: non sono vincolanti, ma già a esse si sta dando esecuzione, sul presupposto che lo siano. O meglio, sul presupposto che per una p.a. averlo – un elenco – è più sicuro.

Ma va ribadito che, sotto un profilo formale, sono linee guida non vincolanti; e che, anzi, anche nei contenuti si pongono come una serie di «suggerimenti». Una loro assolutizzazione non solo sarebbe sbagliata, ma sarebbe anche inutile, data la loro inidoneità a tradursi in precise regole di comportamento. Il loro intento è di indicare alle p.a. le «migliori pratiche» per l’ affidamento dei servizi legali (art. 213, comma 2 codice contratti). E, in concreto, le indicazioni si concentrano sulla costituzione da parte di ogni ente di un elenco di avvocati tra cui scegliere. Gli elenchi, tuttavia, scontano una contraddizione di fondo: come possono essere sempre aperti ad ogni richiesta di inserimento, senza limitazioni temporali e quantitative, e al tempo stesso essere ristretti, limitati a coloro che soddisfano al meglio le esigenze dell’ amministrazione? E, soprattutto, gli elenchi non sono di per sé una risposta.

Creano incertezze, perché la p.a. potrebbe ritenersi autovincolata dal proprio elenco. E non risolvono il problema di come scegliere tra gli avvocati inseriti nell’ elenco: così ritornandosi al punto di partenza. Su come scegliere – quali elementi considerare nella scelta – le indicazioni di Anac sono in realtà generiche, accomunate solo dalla precisazione che la comparazione non deve avvenire sulla base di criteri discriminatori. Come è noto, finora la selezione è spesso avvenuta solo sulla base del prezzo. Ma questo non è più possibile. La recente disciplina dell’ equo compenso impedisce le gare al massimo ribasso.

Le p.a. devono garantire il principio dell’ equo compenso, e non possono affidare un incarico a un compenso iniquo, cioè inferiore ai parametri ribassati ai minimi. (A parte poi le complicazioni che – quanto al prezzo – derivano ora dalla possibilità che, con il «regime forfettario», alcuni avvocati applichino l’ Iva al proprio cliente e altri no, sia pure per le stesse prestazioni.) Per le p.a. rimane dunque aperta la domanda: fermo l’ equo compenso, come si va avanti nel dare incarico a un legale? Il sistema degli elenchi non è d’ aiuto, e forse sembra vuoto perché ci si è dimenticati della fiducia, che deve sempre esserci tra cliente e avvocato; fiducia che è presupposto necessario del rapporto con un avvocato (cfr. art. 11 codice deontologico forense). Certo si deve prendere atto che, nella visione dell’ Anac, la fiducia non è di regola il criterio per scegliere il legale.

Ma se manca la fiducia il rapporto non può esistere e dunque neppure costituirsi. E dunque: gli elenchi sono costituiti da avvocati con i quali l’ ente ha un rapporto di fiducia? Pare di no, se si tratta di elenchi aperti a ogni richiesta di inserimento. L’ esistenza della fiducia si verificherà al momento del conferimento dell’ incarico, non all’ inserimento nell’ elenco. Ma se deve contenere chiunque ne faccia richiesta, a che serve l’ elenco? In realtà, gli elenchi ci sono già, e sono gli albi degli Ordini, o gli elenchi degli iscritti alle associazioni specialistiche. In prospettiva, gli elenchi degli avvocati specialisti.

Può ad esempio un’ associazione – come talvolta ci viene chiesto – attivarsi per riempire gli elenchi degli enti pubblici segnalando i nominativi di tutti i propri iscritti? Sorge il dubbio che si tratti di una gran mole di adempimenti – sia per le p.a., sia per gli avvocati – senza un chiaro perché. E se – oltreché non vincolati – siano anche adempimenti inutili e sproporzionati, se ne può prescindere. Insomma: servono gli elenchi? A questa domanda sono chiamate a rispondere le amministrazioni, che devono impegnare risorse nel sistema; ma anche ciascun avvocato, che decide se e come dare avallo al sistema con la sua iscrizione negli elenchi; e gli organismi rappresentativi dell’ avvocatura, chiamati a interrogarsi sul senso degli elenchi, sul loro rapporto con altri elenchi, sui modi del loro riempimento.

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