28/04/2020 – La storia infinita del servizio assistito di somministrazione

La storia infinita del servizio assistito di somministrazione
di Marilisa Bombi – Giornalista. Consulente attività economiche.
 
L’art. 3, comma 1, lett. f-bis, D.L. n. 223 del 2006 – che contiene varie norme intese a liberalizzare diverse attività – pone «limiti e prescrizioni» per le «attività commerciali, come individuate dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 di riforma della disciplina relativa al settore del commercio, e di somministrazione di alimenti e bevande» che muovono dall’intenzione del legislatore di perseguire la strada della liberalizzazione. Non per caso, infatti, in esordio, il comma stesso premette che la nuova normativa è stata emanata ai sensi delle disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettere e) ed m), della Costituzione. Per inciso, i contenuti del D.L. n. 223 del 2006 avevano anticipato parte delle novità di quella che passerà alla storia come direttiva Bolkestein. La quale, se non era stata ancora formalmente approvata, aveva innescato comunque sui suoi contenuti un acceso dibattito. Anche se formalmente approvata dal parlamento europeo e dal consiglio un paio di mesi dopo, ovvero il 12 dicembre con il n. 2006/123/CE.
La questione è stata presa in esame dal Consiglio di Stato, Sezione V, con la sentenza n. 2427 depositata il 15 aprile scorso. A tale proposito, il Collegio ha voluto sottolineare che la disposizione liberalizzatrice non lascia margini di dubbio. Nel senso che sussiste il divieto o l’ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l’esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie. Tutto avrebbe dovuto quindi essere molto chiaro, ma di fatto non è stato così. Anche se il Consiglio di Stato ha ormai fornito la sua interpretazione, nel senso che il discrimine tra una tale attività liberalizzata e quella non liberalizzata si dovrebbe incentrare testualmente sulla configurabilità del “servizio assistito di somministrazione”.
Sta di fatto che a mescolare le carte è intervenuta anche la circolare del Mi.S.E. n. 372321 del 28 novembre 2016, che ha enucleato un criterio di distinzione tra esercizi di somministrazione propriamente detti ed attività di produzione di alimenti con possibilità di consumo immediato con utilizzo dei locali e degli arredi dell’azienda. Le modalità di consumo vi vengono considerate in termini di tipologia di attrezzature : piani di appoggio e panche (e tavolini e sedie) sono consentiti anche per gli esercizi di produzione che non sono autorizzati alla somministrazione, se ed in quanto inidonei, quantitativamente e qualitativamente, ad indentificare l’attività come somministrazione; il che è se non ricorre il caso, ad esempio, di un servizio di caffetteria o comunque di un servizio ai tavoli, o apparecchiature; e – se gli ambienti non sono assimilabili ai ristoranti per presenza di tali arredi – senza avere carattere preponderante rispetto al complesso dell’esercizio. In riferimento alla combinazione di questi elementi e sulla base della verifica in concreto dei corrispondenti dati, occorre verificare caso per caso se ricorra un superamento delle attività liberalizzate ai sensi del D.L. n. 223 del 2006.
Ha osservato il Collegio, pur dando atto di alcune discontinuità giurisprudenziali registratosi nella Sezione nella trattazione di tale genere di contenzioso, che nella fattispecie all’esame la questione dirimente consiste nel significato di sistema da riconoscersi nell’espressione “servizio assistito di somministrazione”. Questo significato, ad un maggiore approfondimento, non può verosimilmente essere circoscritto alla presenza del c.d. servizio da sala, vale a dire alla presenza fisica di camerieri che ricevano le ordinazioni o prestino comunque il servizio al tavolo degli avventori. L’opposto tipo di servizio è, a bene considerare, in progressiva diffusione anche in alcuni ristoranti, dove, per ragioni di contenimento dei costi o di rapidità del servizio, è in uso la pratica del buffet e del self-service, in piedi o con tavoli, senza con ciò dubitarsi che si tratti di attività di ristorazione. In pratica, il “servizio assistito di somministrazione” potrebbe dunque includere anche pratiche senza camerieri.
Il discrimine effettivo consiste dunque nella predisposizione di risorse, non solo umane ma anche materiali, che siano di servizio al cliente assistendolo per consumare confortevolmente sul posto (id est, non in piedi) quanto acquistato in loco. Il che può dunque avvenire anche mediante tavolini e attrezzature di particola evidenza.
Appare dunque coerente con la ratio legis fare riferimento al criterio funzionale cui guarda l’amministrazione e che è proprio di queste attrezzature materiali (tavolini, banche, panche, etc.), la cui presenza è di servizio all’avventore che intenda sùbito consumare sul luogo quanto ha acquistato. Naturalmente, secondo un ulteriore criterio di ragionevolezza, perché questa funzionalità alla somministrazione (anziché al mero consumo sul posto) vi sia, occorre che le attrezzature predisposte dall’esercente, pur senza un servizio al tavolo, siano di caratteri, dimensioni, quantità ed arredi tali da indurre indistintamente gli avventori al consumo sul posto dei prodotti appena acquistati; il che, incidendo sulle caratteristiche commerciali effettive dell’intero esercizio, visto dalla potenziale clientela non più come un luogo di mero approvvigionamento, ma anche come un possibile ed ordinario luogo di ristoro, viene a rilevare sul piano urbanistico della regolamentazione generale del commercio dell’area e sul discrimine reale tra attività liberalizzate e attività non liberalizzate.
In sostanza, si tratta di una valutazione da effettuare di volta in volta. Ad esempio, nel caso sottoposto all’attenzione della V Sezione, le attrezzature predisposte a latere dell’attività di vendita avevano caratteristiche tali da non raggiungere un livello da connotare il locale come (anche) da somministrazione, perché contenute in una dimensione accessoria, eventuale e secondaria rispetto alla vendita da asporto, la quale deve comunque mantenere il carattere prevalente e funzionale.

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto