27/09/2019 – La remissione della querela non giustifica da sola l’obbligo del rimborso delle spese legali per il dipendente che abbia violato gli obblighi di diligenza

La remissione della querela non giustifica da sola l’obbligo del rimborso delle spese legali per il dipendente che abbia violato gli obblighi di diligenza
di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone
L’ente negava il rimborso delle spese legali ad un assistente della Polizia di Stato in relazione al procedimento penale nei suoi confronti per aver, alla presenza di più persone offeso l’onore e il decoro di alcuni finanzieri, con minaccia di danno ingiusto nei confronti di uno di essi. Il processo si concludeva, tuttavia, con pronunzia di non luogo a procedere, stante la estinzione del reato per “intervenuta remissione di querela e sua contestuale accettazione”. La motivazione del diniego da parte dell’ente si fondava sia sulla natura della pronunzia conclusiva del giudizio, inidonea ad escludere la responsabilità penale del ricorrente; sia sulla inesistenza di una “convergenza di interessi” tra il dipendente e la Amministrazione, attesa la irrogazione – per i medesimi fatti oggetto del giudizio – della sanzione disciplinare del “richiamo scritto”.
Al diniego del rimborso delle spese legali il dipendente ha presentato ricorso davanti il giudice amministrativo sostenendo che la remissione della querela equivale ad assoluzione e, l’estinzione del reato implicherebbe, altresì, la irrilevanza dei fatti ascritti anche sul piano amministrativo e disciplinare.
La conferma del diniego del TAR
Per i giudici amministrativi, nel caso di specie, risulta dirimente il principio di conflitto di interessi tra la P.A. datrice di lavoro, ed il dipendente, destinatario per i medesimi fatti della sanzione disciplinare del richiamo scritto, sanzione peraltro non impugnata. Secondo il Collegio amministrativo, ai fini del rimborso delle spese legali, il dipendente non deve essere in conflitto di interessi con il proprio datore di lavoro, in quanto l’obbligazione può gravare in capo al datore di lavoro pubblico esclusivamente quando, il diritto di difesa del dipendente incolpato, con conseguente obbligo di rimborso delle relative spese sostenute per la propria difesa in giudizio, sia funzionale al perseguimento dei diritti ed interessi della pubblica amministrazione e sicuramente non a quelli del dipendente. In altri termini, il diritto al rimborso presuppone che non vi sia un conflitto d’interessi, e quindi che la condotta addebitata non sia stata il frutto di iniziative autonome, contrarie ai doveri funzionali o in contrasto con la volontà del datore di lavoro, secondo una valutazione ex ante che prescinde dall’esito del giudizio penale e dalla formula di eventuale assoluzione (tra le tante Cass., sentenza n. 17874/2018). Seguendo quindi questo principio, se il rimborso da parte della Pubblica Amministrazione delle spese di difesa sostenute dal proprio dipendente sottoposto a processo “non può essere riconosciuto allorquando questa … si sia costituita parte civile nei confronti del dipendente, indipendentemente da ogni valutazione attinente l’esito del procedimento penale” (tra le tante Cass., Sent. 31 gennaio 2019, n. 3026) allora, in modo analogo, tale rimborso non può essere riconosciuto al dipendente che – per i medesimi fatti oggetto del procedimento penale – sia stato oggetto di sanzione disciplinare del richiamo scritto, adottata dall’ente proprio al fine di “punire la condotta poco consona usata … nei confronti di altri operatori appartenenti alla Guardia di Finanza”. In altri termini, ai fini di poter ambire il dipendente al rimborso delle spese legali, la normativa richiede un nesso di strumentalità diretto tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto o condotta, nel senso che il dipendente non avrebbe potuto assolvere ai suoi compiti se non ponendo in essere quel determinato atto o condotta: non può, invece, darsi rilevanza ad una connessione con il fatto di reato, o generatore di responsabilità civile o amministrativa, di tipo soggettivo ed indiretto. Nel caso oggetto di scrutinio da parte del giudice amministrativo di primo grado, questa assonanza di interessi è venuta meno, atteso che il deplorevole contegno tenuto dal ricorrente si è per certo esplicato “in occasione” della attività di ufficio e dell’espletamento del servizio e, tuttavia, da tali compiti di ufficio si è oggettivamente discostato, tradendo e violando i propri obblighi di diligenza e fedeltà che devono contraddistinguere la condotta del dipendente pubblico, integrato, pertanto, un illecito disciplinare, puntualmente e tempestivamente sanzionato dalla Amministrazione, con la misura del “richiamo scritto”, non mai contestata o impugnata dal ricorrente. Costituisce, al fine, idonea causa di rescissione di quel nesso di immedesimazione che solo vale ad integrare il paradigma contemplato dalla legge (art. 18D.L. n. 67/97) e a giustificare, quindi, l’obbligo per la Amministrazione di procedere al rimborso delle spese legali sostenute dal proprio dipendente.
Essendo sufficiente, per il rigetto della domanda da parte del ricorrente, il solo conflitto di interessi esaminato, ossia la sola situazione di conflittualità tra la posizione della Amministrazione e quella del proprio dipendente, il Collegio contabile prescinde dall’esame degli ulteriori elementi pure evidenziati nel provvedimento. Infatti, ai fini della legittimità di un atto amministrativo fondato su di una pluralità di ragioni, fra loro autonome, “è sufficiente che anche una sola fra esse sia riconosciuta idonea a sorreggere l’atto medesimo, mentre le doglianze formulate avverso gli altri motivi devono ritenersi carenti di un sottostante interesse a ricorrere, giacché in nessun caso le stesse potrebbero portare all’invalidazione dell’atto” (tra le tante Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 23 aprile 2019, n. 2574). Pertanto, il Collegio amministrativo non da luogo a scrutinare sull’altra, autonoma, ragione posta a base del diniego, relativa alla natura della pronunzia di non luogo a procedere, stante la remissione della querela.

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