26/11/2016 – Pubblica amministrazione, Consulta boccia il cuore della riforma Madia

Pubblica amministrazione, Consulta boccia il cuore della riforma Madia

La Corte costituzionale giudica illegittimo il meccanismo per cui l’attuazione passa dal semplice parere della Conferenza Stato-Regioni. Nel mirino le norme sulla dirigenza, le partecipate, i servizi pubblici locali e il pubblico impiego. Incontro Madia-sindacati sul contratto il 30 novembre. Renzi: “Circondati da burocrazia opprimente”

di VALENTINA CONTE – 25 novembre 2016

 

LA riforma Madia è incostituzionale. Perché lede l’autonomia delle Regioni. E lo fa in quattro punti cruciali, il cuore stesso della riforma: dirigenti, società partecipate, servizi pubblici locali, organizzazione del lavoro. La Corte Costituzionale, con la sentenza numero 251 appena emessa, non lascia adito a dubbi. La legge delega Madia (la 124 del 2015) – in pratica la legge “mamma” di riforma della pubblica amministrazione che poi si traduce in una serie di leggi “figlie” di attuazione – viola la Costituzione laddove prevede di riformare l’assetto pubblico solo “previo parere” e non “previa intesa” con le Regioni. In materie da cui queste non possono essere solo consultate: dai dirigenti della sanità alle partecipate e ai servizi locali come trasporti, rifiuti, illuminazione.

Un bocciatura sonora, dunque. E una doccia fredda per il governo. Ad un giorno apppena dall’approvazione definitiva di ben cinque decreti attuativi della riforma Madia, tra cui quello importantissimo sulla dirigenza e l’altro sui servizi pubblici locali, oggi di fatto bollati come incostituzionali dalla Corte. Tutto da rifare quindi? Senz’altro la legge delega deve cambiare. E a ricasco anche tre su quattro dei decreti delegati incriminati. Si salva solo il testo unico del pubblico impiego, ma solo perché non ancora approvato dal Consiglio dei ministri (c’è tempo fino a febbraio). Mentre gli altri tre (dirigenti, partecipate, servizi pubblici) devono di fatto essere riscritti. E questa volta non basterà il mero parere delle Regioni.

Il ricorso alla Corte tra l’altro è partito proprio da una Regione, il Veneto a guida leghista, con il governatore Zaia che esulta e parla di “sentenza storica, un colpo al centralismo sanitario”. A pochi giorni dal referendum costituzionale che di fatto riporta molte materie concorrenti dalla periferia al centro. C’è da dire che la stessa legge “madre” prevede una finestra di tempo per apportare integrazioni e correttivi ai decreti figli. Ma nel mirino della Corte c’è proprio la legge delega, cioè il quadro normativo impostato dal governo Renzi per rivoluzionare l’intero assetto della pubblica amministrazione. “Riforma Madia fallita, fallito Renzi”, brinda Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia ed ex ministro della Pubblica amministrazione.

La notizia è emersa proprio insieme alla convocazione dei sindacati al tavolo per il rinnovo del contratto del pubblico impiego, diramata dal ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, a Cgil, Cisl e Uil per mercoledì 30 novembre alle 11, a Palazzo Vidoni. Accogliendo la decisione della Consulta, la Federazione Lavoratori Pubblici sottolinea che il “decreto attuativo della Legge Delega, relativo alla dirigenza pubblica, approvato ieri dal Consiglio dei Ministri, non è stato preceduto dalla prescritta intesa essendo stato acquisito semplicemente il parere della Conferenza Unificata”. A questo punto, sarebbe a rischio: “Considerati i tempi per l’esercizio della delega, ormai in scadenza, è molto difficile che il Governo possa sanare l’incostituzionalità del Decreto Legislativo sulla Riforma della Dirigenza Pubblica”.

Da Vicenza, il commento del premier Matteo Renzi alla sentenza: “Pensate che abbiamo fatto una legge delega con i decreti legislativi, per rendere licenziabile un dirigente pubblico che non si comporta bene, e la Corte costituzionale ha detto che, siccome non c’è l’intesa con le Regioni, e avevamo chiesto i pareri, il decreto è illegittimo. E poi mi dicono che non devo cambiare le regole del Titolo V. Siamo circondati da una burocrazia opprimente”.

 

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