26/11/2016 – La Consulta boccia la riforma Madia: serve l’intesa con le autonomie locali

La Consulta boccia la riforma Madia: serve l’intesa con le autonomie locali

di Donatella Stasio

La parola d’ordine è «leale collaborazione». Che va declinata come «intesa» tra Stato e Regioni – e non semplicemente come «parere» richiesto alle seconde – nelle materie in cui vi è una «competenza concorrente», statale e regionale: riorganizzazione della dirigenza pubblica, lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, partecipazioni azionarie della Pa, servizi pubblici locali di interesse economico generale. Lo scrive la Corte costituzionale nella sentenza n. 251/2016 depositata ieri (relatrice Silvana Sciarra): una sonora bocciatura della legge Madia di riforma della Pubblica amministrazione (n. 124/2015) che di quella «leale collaborazione» non si è fatta carico, pur essendo un principio fondamentale della Costituzione. Un parere, infatti, non è un’intesa e quindi non è, spiega la Consulta, uno strumento adeguato di coinvolgimento delle Regioni (e degli enti locali), a difesa delle loro competenze, spesso intrecciate a quelle statali. Scambiare l’uno per l’altra è un errore da matita blu. L’intesa è un metodo di lavoro inclusivo, e il «luogo» idoneo a realizzarla è la Conferenza Stato-Regioni o la Conferenza unificata. Di qui l’incostituzionalità delle norme della legge Madia là dove, pur incidendo su materie di competenza sia statale che regionale, prevedono che i decreti attuativi siano adottati sulla base di una forma di raccordo con le Regioni che non è l’intesa ma il semplice parere, «non idoneo a realizzare un confronto autentico con le autonomie regionali». E non idonea è anche la sede – la Conferenza unificata – individuata dalle norme impugnate sulla dirigenza pubblica in luogo di quella propria, cioè la Conferenza Stato-Regioni. Stesso discorso per le norme (anch’esse incostituzionali) sul riordino della disciplina vigente del lavoro alle dipendenze della Pa: anche in tal caso sono in gioco interessi che coinvolgono lo Stato e le Regioni, mentre in sede di Conferenza unificata sono coinvolti anche gli interessi degli enti locali. La sentenza, pur nel solco della precedente giurisprudenza, dà un’interpretazione evolutiva del principio di «leale collaborazione» perché considera l’intesa Stato-Regioni un passaggio procedurale necessario anche quando la normativa statale dev’essere attuata con decreti legislativi delegati, adottati dal governo in base all’articolo 76 della Costituzione. Decreti che secondo la Corte non possono sottrarsi alla procedura concertativa, «proprio per garantire il pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze». La sentenza tocca solo le disposizioni di delega specificamente impugnate dalla Regione Veneto, lasciando fuori le norme attuative; e l’illegittimità le colpisce soltanto «nella parte in cui prevedono che i decreti legislativi siano adottati previo parere e non previa intesa». Dunque, i decreti sono di fatto incostituzionali e perciò impugnabili, anche se il governo avrebbe potuto giocare d’anticipo utilizzando i già previsti decreti correttivi, previa convocazione della Conferenza Stato-Regioni per realizzare l’intesa. La Consulta, per rispetto istituzionale, non indica al governo le strade per ripristinare la «leale collaborazione». Ma la bacchettata politica è forte e sta nel richiamo ad attuare le proprie norme di delega seguendo, come “metodo di lavoro”, quello dell’intesa, basata sulla «reiterazione delle trattative per raggiungere un esito consensuale», nella sede della Conferenza Stato-Regioni o della Conferenza unificata, a seconda che siano in discussione solo interessi e competenze statali e regionali o anche degli enti locali. Un richiamo pesante, anche se non l’unico nel lungo e travagliato iter legislativo di una riforma che, a questo punto, forse è davvero meglio riscrivere tenendo conto delle numerose critiche espresse, in sede parlamentare e di Consiglio di Stato. Fino alla Corte costituzionale.

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