26/09/2018 – E’ legittimo il licenziamento del dipendente pubblico, già richiamato diverse volte, che si allontana dal posto di lavoro in modo autonomo

E’ legittimo il licenziamento del dipendente pubblico, già richiamato diverse volte, che si allontana dal posto di lavoro in modo autonomo

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 22075, dell’11 settembre 2018, nel respingere il ricorso di un dipendente pubblico nei confronti del suo datore di lavoro (si trattava di una Università Statale) ha affermato che è legittimo il licenziamento per i continui allontanamenti dal posto di lavoro in modo del tutto arbitrario e senza registrare il suo allontanamento , dopo che era già stato sanzionato in passato per tale comportamento.

Il contenzioso

La Corte di Appello aveva accolto il reclamo ex art. 1, comma 58, L. n. 92 del 2012 , proposto da un ente pubblico avverso la sentenza del locale Tribunale che, all’esito del giudizio di opposizione, aveva confermato l’ordinanza con la quale era stata dichiarata la nullità del licenziamento intimato nell’aprile del 2015 ad un funzionario e l’Università era stata condannata a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro, in precedenza occupato, ed a corrispondere allo stesso le retribuzioni maturate dalla data del recesso.

La Corte territoriale, respinta l’eccezione di inammissibilità del gravame, ha premesso che al funzionario pubblico era stato contestato di essersi allontanato dal luogo di lavoro, in assenza di autorizzazione e senza attestare l’uscita nel sistema di rilevamento delle presenze. La circostanza era emersa nel corso di altro procedimento disciplinare, avviato in relazione a comportamenti analoghi; al funzionario era stata inflitta la sanzione della sospensione dal servizio per sei mesi con privazione della retribuzione.

Il giudice del reclamo ha ritenuto provato il fatto contestato sulla base delle dichiarazioni rese dal collega di lavoro, il quale aveva escluso che l’allontanamento fosse giustificato dalla frequenza di un corso di formazione professionale ed aveva dichiarato che il funzionario ricorrente gli aveva riferito di doversi recare in altro quartiere della città per ragioni personali.

La Corte territoriale ha evidenziato che l’illecito doveva essere sussunto nella fattispecie tipizzata dall’art. 55-quater, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 165 del 2001, che si consuma anche nell’ipotesi in cui venga omessa la registrazione dell’uscita dal luogo di lavoro, perché ciò determina un’attestazione non veritiera della presenza in servizio. Ha aggiunto che le fattispecie di licenziamento previste dal legislatore sono aggiuntive rispetto a quelle della contrattazione collettiva, le cui clausole, ove difformi, vanno sostituite di diritto ai sensi degli artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c..

La Corte territoriale ha ritenuto, infine, che la gravità della condotta, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, emergeva dalle plurime sanzioni inflitte per comportamenti analoghi nell’anno 2014, alle quali aveva fatto seguito l’ulteriore sanzione della sospensione per 6 mesi, irrogata nel febbraio 2015 e divenuta definitiva per mancata impugnazione da parte del reclamato dell’omessa pronuncia sull’asserita illegittimità della sanzione stessa.

Il funzionario pubblico è ricorso in Cassazione con una serie articolata caratterizza da ben tredici motivazioni.

L’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione ritiene infondato il ricorso e lo respinge. I giudici di legittimità evidenziano che il legislatore, nell’introdurre fattispecie legali di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo, aggiuntive rispetto a quelle individuate dalla contrattazione collettiva, ha anche affermato con chiarezza la preminenza della disciplina legale rispetto a quella di fonte contrattuale, che, quindi, non può essere più invocata, ove in contrasto con la norma inderogabile di legge.

La Cassazione osserva che detti principi di diritto sono stati richiamati dalla Corte territoriale a fondamento della decisione e vanno ribaditi, perché il ricorso non prospetta argomenti che possano indurre a rimeditare l’orientamento già espresso, al quale la stessa Cassazione intende dare continuità.

Gli “Ermellini” ricordano che l’art. 55-bisD.Lgs. n. 165 del 2001, nel testo antecedente alla modifica attuata dal D.Lgs. n. 75 del 2017, riserva alla competenza del responsabile della struttura le sole sanzioni disciplinari superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni, e prevede che in detta ipotesi il procedimento debba essere avviato entro venti giorni dall’acquisizione della notizia e concluso nei sessanta giorni successivi alla contestazione.

Qualora, invece, il procedimento stesso sia di competenza dell’UPD, in considerazione della maggiore complessità degli accertamenti, solitamente connessa alla diversa gravità dell’addebito, entrambi detti termini vengono raddoppiati, sicché l’ufficio dovrà procedere alla contestazione entro quaranta giorni dalla data di ricezione degli atti o comunque da quella di acquisizione della notizia, e concludere poi il procedimento entro centoventi giorni che, però, in questo caso decorrono, non dalla contestazione, bensì dalla «data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora».

La sentenza impugnata è, quindi, fondata su un’interpretazione della normativa corretta e condivisibile, giacché la Corte territoriale dalla ritenuta riconducibilità della fattispecie all’ipotesi sanzionatoria prevista dall’art. 55-quaterD.Lgs. n. 165 del 2001, ha fatto discendere l’applicabilità dei termini stabiliti dall’art. 55-bis.

Il termine di quaranta giorni previsto per la contestazione risulta nella specie rispettato, sia se si assume quale dies a quo la data di audizione del responsabile , sia se lo si fa decorrere dal 7 gennaio 2015, ossia dal momento in cui il funzionario aveva circostanziato l’episodio, indicando il giorno in cui si era verificato l’illegittimo abbandono del servizio.

A fini di completezza osserva la Cassazione , correttamente la Corte territoriale ha escluso che il termine potesse decorrere dalla prima della seconda audizione, giacché “ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la conclusione del procedimento disciplinare dall’acquisizione della notizia dell’infrazione (ex art. 55-bis, comma 4, D.Lgs. n. 165 del 2001), in conformità con il principio del giusto procedimento, come inteso dalla Corte cost. (sentenza 5 novembre 2010, n. 310), assume rilievo esclusivamente il momento in cui tale acquisizione, da parte dell’ufficio competente regolarmente investito del procedimento, riguardi una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell’addebito, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione…” ( cfr. Cass. Civ. n. 7134 del 2017 e negli stessi termini Cass. Civ. n. 25379 del 2017 e Cass. Civ. n. 6989 del 2018).

Il principio, sebbene affermato in relazione al termine per la conclusione del procedimento, è applicabile anche qualora venga in rilievo la tempestività della contestazione, poiché quest’ultima può essere ritenuta tardiva solo qualora l’amministrazione rimanga ingiustificatamente inerte e, quindi, non proceda ad avviare il procedimento, pur essendo in possesso degli elementi necessari per il suo valido avvio.

Il termine, invece, non può decorrere a fronte di una notizia che, per la sua genericità, non consenta la formulazione dell’incolpazione e richieda accertamenti di carattere preliminare volti ad acquisire i dati necessari per circostanziare I ‘addebito.

L’allontanamento dall’ufficio

Il funzionario ricorrente , nel caso di specie, torna a prospettare la tesi difensiva, ritenuta non fondata dal giudice del reclamo, secondo la quale l’allontanamento non sarebbe stato ingiustificato ed arbitrario, perché finalizzato a consentire la partecipazione ad un corso di formazione. Le giustificazioni fornite dal funzionario sono state valutate dalla Corte territoriale , che le ha disattese attribuendo rilievo alla deposizione di un teste , sicché la censura si risolve in un’inammissibile sollecitazione di un diverso giudizio di merito, non consentito al giudice di legittimità.

Non risponde al vero che la Corte territoriale non abbia valutato la gravità della condotta, nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi. I giudici di legittimità ribadiscono che, anche in presenza di uno degli illeciti tipizzati dall’art. 55-quaterD.Lgs. n. 165 del 2001, va escluso qualsivoglia automatismo nell’irrogazione della sanzione disciplinare , perché della norma deve essere fornita un’interpretazione orientata al rispetto dei principi costituzionali. Il Giudice delle leggi, infatti, esaminando diverse disposizioni legislative che prevedevano automatismi espulsivi, ha ritenuto che la privazione di una valutazione di graduazione della sanzione in riferimento al caso concreto vulnera i principi della tutela del lavoro (artt. 4 e 35 Cost.), del buon andamento amministrativo (art. 97 Cost.) e quelli fondamentali di ragionevolezza (art. 3 Cost. Cfr. Corte Cost. n. 971 del 1988 e Corte Cost. n. 706 del 1996 in materia di destituzione di diritto; Corte Cost. n. 170 del 2015 in materia di trasferimento obbligatorio in caso di violazione di specifici doveri da parte dei magistrati).

E’ stato, però, evidenziato anche, in relazione all’assenza ingiustificata, che « la disposizione normativa cristallizza, dal punto di vista oggettivo, la gravità della sanzione prevedendo ipotesi specifiche di condotte del lavoratore, mentre consente la verifica, caso per caso, della sussistenza dell’elemento intenzionale o colposo, ossia la valutazione se ricorrono elementi che assurgono a “scriminante” della condotta tenuta dal lavoratore tali da configurare una situazione di inesigibilità della prestazione lavorativa.» (Cass. Civ. n. 18326 del 2016).

Nel caso di specie la Corte territoriale, dopo avere escluso, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, la fondatezza delle giustificazioni fornite dal funzionario , ha anche evidenziato che l’addebito contestato, per la sua gravità, era idoneo ad integrare una giusta causa di licenziamento, non solo sulla base della previsione normativa, ma anche perché la condotta del lavoratore appariva «costellata negli anni di violazioni delle regole relative alla presenza in servizio e alla sua attestazione».

In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento anche delle spese del giudizio di legittimità.

Cass. civ., Sez. lavoro, 11 settembre 2018, n. 22075

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